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Beppe Grillo ha letto Mein Kampf?

Creato il 16 settembre 2012 da Stanza51 @massimo1963
Beppe Grillo ha letto Mein Kampf? Una sola preoccupazione spinge a costruire programmi nuovi o a modificare quelli che già esistono: la preoccupazione dell'esito delle prossime elezioni. Non appena nella testa di questigiullari del parlamentarismo balena il sospetto che l'amato popolo voglia ribellarsi e sgusciare dallestanghe del vecchio carro del partito, essi danno una mano di vernice al timone. Allora vengono gliastronomi e gli astrologi del partito, i cosidetti «esperti» e «competenti», per lo più vecchiparlamentari che, ricchi di esperienze politiche, rammentano casi analoghi in cui la massa finì colperdere la pazienza, e che sentono avvicinarsi di nuovo una minaccia dello stesso genere. E costororicorrono alle vecchie ricette, formano una «commissione», spiano gli umori del buon popolo,scrutano gli articoli dei giornali e fiutano gli umori delle masse per conoscere che cosa questevogliano e sperino, e di che cosa abbiano orrore. Ogni gruppo professionale, e perfino ogni cetod'impiegati viene esattamente studiato, e ne sono indagati i più segreti desiderii. Di regola, in queicasi diventano maturi per l'indagine anche «i soliti paroloni» della pericolosa opposizione e non dirado, con grande meraviglia di coloro che per primi li inventarono e li diffusero, quei parolonientrano a far parte del tesoro scientifico dei vecchi partiti, come se ciò fosse la cosa più naturale delmondo.
Dopo quattro anni, o nelle settimane critiche in cui si fa sempre più vicino lo scioglimento dellaCamera, una spinta irresistibile invade questi signori. Come la larva non può far altro chetrasformarsi in maggiolino, così questi bruchi parlamentari lasciano la grande serra comune ed,alati, svolazzano fuori, verso il caro popolo. Di nuovo parlano agli elettori, raccontano dell'enormelavoro compiuto e della perfida ostinazione degli altri; ma la massa ignorante, talvolta invece diapplaudire li copre di parole grossolane, getta loro in faccia grida d'odio. Se l'ingratitudine delpopolo raggiunge un certo grado, c'è un solo rimedio: bisogna rimettere a nuovo lo splendore delpartito, migliorare il programma; la commissione, rinnovata, ritorna in vita e l'imbroglio ricomincia.Data la granitica stupidità della nostra umanità, non c'è da meravigliarsi dell'esito. Guidato dalla suastampa e abbagliato dal nuovo adescante programma, l'armento «proletario» e quello «borghese»ritornano alla stalla comune ed eleggono i loro vecchi ingannatori. Con ciò, l'uomo del popolo, ilcandidato dei ceti produttivi si trasforma un'altra volta nel bruco parlamentare e di nuovo si nutredelle foglie dell'albero statale per mutarsi, dopo altri quattro anni, nella variopinta farfalla.
C'è forse qualcuno, almeno in Italia, che possa non condividere simili affermazioni? Qualcuno che abbia un'immagine dei nostri partiti molto diversa da quella appena descritta? Proseguiamo.
Il pentolone bolle. Il fuoco è acceso. Ci sono ospiti per cena. Dovrebbero portare con sé il cibo (come sempre), salumi e cotechini, salmone e parmigiano, vini e dolce, ma sono a mani vuote. I partiti li accolgono come se fossero stati invitati, ma sono arrivati da soli senza avvisare nessuno. Qualcuno ha una carota e qualche cipolla per insaporire l'acqua. I nuovi arrivati hanno fame, una fame atavica di democrazia. I partiti li trattano da salvatori. I cittadini autoinvitati e i partiti sono, devono essere, diventeranno, una nuova, inscindibile, monolitica prova della democrazia. Lo dicono i segretari di sinistra, di centro e di destra! Deve essere vero se nessuno li smentisce. Nessun partito ha perso. Quasi tutti hanno vinto con i candidati degli altri, spesso contro i candidati degli altri, ma che importa... Scurdammoce 'o passato. I segretari di partito e i loro lacchè, i giornalisti, si sentono come meravigliosi surfersopra l'onda del cambiamento, un'onda usata per salire ancora più in alto, per viaggiare con il vento in poppa. La tavola è infine apparecchiata, il solito desco al quale i cittadini fanno da camerieri e mangiano gli avanzi. I piatti sono però desolatamente vuoti, la fame è tanta. Qualcuno propone, forse Veltroni, idea geniale, di sacrificare il vitello grasso per il ritorno dei figli prodighi alla casa comune della partitocrazia. Di vitelli grassi non c'è neppure l'ombra, ma i vitelloni grassi non mancano. Il pentolone bolliva per loro sin dall'inizio e non lo sapevano, e i vitelloni grassi sono lì, seduti con la forchetta in mano, i vari Bersani e Letta, Fassino, Fini e Casini, Vendola e Cicchitto. Un pentolone celtico a parte è riservato a Borghezio. I cannibali della partitocrazia non faranno sconti, sono a dieta da decenni. Dei partiti non rimarranno neppure le ossa. Il vento del cambiamento spira sempre più forte e non può essere imbrigliato. Ha iniziato a soffiare in Grecia, poi in Nord Africa, ora in Spagna, domani in Italia. La democrazia diretta non tollera l'intermediazione dei partiti, non delega il proprio futuro a dei leader televisivi di cartapesta. A cialtroni che si autoeleggono rappresentanti per lucro o per visibilità. Nel nuovo mondo ognuno conta uno. I nuovi cannibali hanno fame. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure. 
A parte la diversità della prosa e delle metafore in essa contenute - il primo scritto risale ad un secolo fa, il secondo ha un solo anno di vita - le analogie sono imbarazzanti. Noi però non siamo sufficientemente fessi da credere che un modo di sentire comune riguardo ad una situazione politica, seppur rafforzato da sorprendenti somiglianze d'eloquio, significhi che le anime dei due autori siano identiche. Un tale sillogismo avrebbe il sapore della mistificazione e condurrebbe a risultati aberranti. Si pensi, ad esempio, alla recente vicenda Favia-Grillo ed alle relative strumentalizzazioni mediatiche: è sufficiente l'espulsione dall'alto di un movimentista per fare del movimento stesso un corpo antidemocratico? La risposta più semplice si dà con un'ulteriore domanda: è indice di democrazia in un partito non espellere dall'alto un membro che si è macchiato del reato di corruzione? Per quanto i rozzi sofismi mediatici attecchiscano con la forza della sanguisuga nelle menti del povero e confuso popolo italico, Adolf Hitler e Beppe Grillo non si assomigliano affatto. Perfino il demone Casaleggio - nuova "Sua Oscurità" gettata in pasto dai media alle famiglie di piranha teledipendenti - merita al massimo un po' di compassione per il crollo del suo già non esaltante fatturato dopo il matrimonio con Grillo. Quel che mi sembra oggettivamente simile è invece la situazione politica dei due Paesi, Germania del primo dopoguerra ed Italia di oggi, entrambi vestiti dell'abito reazionario a tutela delle posizioni e delle rendite di coloro che occupano le poltrone del parlamento. E' questo che spiega le similitudini del populismo sfascista dei due "fuhrer", un populismo tutto sommato migliore dei pericolosi distinguo che la casta tenta invano di operare e di far digerire al televisivissimo popolo italiano.

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