Intervista di Silvia Lanzi del 5 aprile 2011
Spesso si cita la Bibbia come fonte principale di condanna degli atteggiamenti omosessuali? È davvero così? L’ho chiesto a padre Alberto Maggi* biblista, teologo.
Ecco cosa mi ha detto: "Quando si affronta la Bibbia, Sacra Scrittura per Ebrei e Cristiani, occorre avere una grande onestà, spirituale, teologica, scientifica, intellettuale. Uno degli errori più madornali e strumentali è quello di cercare nella marea di testi contenuti nella Bibbia una frase, un’affermazione a favore della propria tesi o contro quella altrui.
Oppure cercare nella Bibbia la spiegazione di argomenti che in essa non vengono trattati, confondendo questo libro sacro con testi di materie scientifiche che esulano da quanto trattato nella Sacra Scrittura.
La Bibbia è essenzialmente un libro di teologia. In essa non si trovano narrati fatti di cronaca che riguardano la storia, ma verità che concernono la fede.
Per questo non è possibile un approccio alla Bibbia come un libro di archeologia (anche se contiene elementi archeologici), cercando di dimostrare le proprie tesi, o di geografia, topografia.
Né tantomeno si può avere un approccio alla Bibbia come se fosse un testo di astrofisica o di biologia".
Perché questa premessa?
Perché quale studioso della Parola di Dio mi trovo in grande difficoltà quando mi vengono poste domande riguardo l’insegnamento della Bibbia sull’omosessualità, sia questo contro o, più raramente, a favore.
Una risposta onesta dal punto di vista scientifico è che non si possono cercare nella Bibbia affermazioni riguardo tematiche che in essa non vengono affrontate.
Il termine omosessualità, assente nella Bibbia, traduzione italiana della parola tedesca Homosexualität (dal greco omoios “simile”, e dal latino sexus,), venne coniato solo nel 1869 (prima di allora il termine usato era sodomia con riferimento al noto episodio narrato nel Libro della Genesi, cap. 19).
Appunto. L’episodio di Sodoma…
Andare a cercarne tracce in brani biblici è fuorviante oltre che non onesto dal punto di vista scientifico e teologico.
Cercarne la condanna nell’episodio della distruzione di Sodoma significa stravolgere il senso del brano, che non è un trattato di morale (Lot agli uomini che volevano abusare dei suoi ospiti offre senza battere ciglio le due figlie vergini), non riguarda la sessualità o i suoi abusi, ma la trasgressione al dovere sacro dell’ospitalità nella civiltà beduina del tempo.
L’ospite era considerato talmente sacro che si era tenuti ad offrire la propria vita per la sua salvezza. Ugualmente nelle tavole della Legge non è possibile trovare riferimenti o condanne all’omosessualità.
Il tanto citato versetto del Libro del Levitico, non tratta di omosessualità, in esso viene considerato abominevole l’uomo che si corica con un uomo come si fa con una donna (Lv 18,22), ma nulla viene detto della donna che si comporta allo stesso modo.
Ma, allora, come si deve leggere la condanna che Paolo fa dell’omosessualità?
Anche i brani nei quali Paolo nelle sue lettere condanna certe depravazioni vanno presi per quel che sono: condanna di depravazioni. Sconosciuto a quel tempo il termine etero come lo era omosessuale, un uomo che si unisse con un altro uomo era semplicemente uno che deviava dalla sua natura per provare nuove emozionanti passioni.
Paolo tuona infatti contro quanti hanno lasciato “il rapporto naturale con la donna” (Rm 1,27), perché nella sua cultura questo era quanto le conoscenze permettevano, ci vorranno secoli prima che fosse coniato il termine e il significato di omosessualità.
Padre Maggi prosegue, quando gli chiedo, invece, di episodi come quello di Davide e Gionata, o della guarigione del centurione, operata da Gesù
Non si possono trovare espliciti riferimenti o condanne a tematiche inesistenti all’epoca, ugualmente non è possibile, a meno di forzare il significato del testo, trovarne a favore.
Il canto funebre attribuito a Davide in onore del suo amico Gionata, morto in battaglia insieme al padre, il re Saul, contiene l’espressione: “Tu mi eri molto caro; la tua amicizia era per me preziosa, più che amore di donna” (2 Sam 1,26), è un elogio all’amicizia, non all’amore tra i due.
Un’amicizia tra uomini, ovvero tra pari, era più importante del rapporto con un essere considerato inferiore quale era la donna.
Infine la guarigione operata da Gesù per il servo del centurione di Cafàrnao non può essere portata come prova a favore di un atteggiamento comprensivo del Cristo nei confronti di un rapporto amoroso tra i due, a meno che, anche qui di stravolgere il testo.
Nel brano di Matteo infatti si parla di servo, in greco pais, che significa anche ragazzo e può essere tradotto sia con “il mio servo” che con “il mio ragazzo” (Mt 8,5-13).
Ma non si parla di affetto del centurione nei suoi confronti, come invece viene espresso nel vangelo di Luca, dove però non si tratta più di servo, bensì di schiavo (gr. doulos), questo sì “caro” o “prezioso” al suo padrone (Lc 7,1-10).
Se si vuole parlare del comportamento del Cristo nei confronti degli omosessuali non si può quindi fare affidamento su testi che sono o anacronistici o che esulano dall’argomento.
“Bella storia”, penso io ironicamente, ma allora?
Allora si può invece ricorrere al comportamento di Gesù per quelli che nella sua epoca erano emarginati, rifiutati, disprezzati, come lo erano i pubblicani, o i lebbrosi¸ categorie di persone che erano considerate responsabili della propria impurità e per le quali non c’era alcuna possibilità di salvezza.
Gesù accoglie tutti e a tutti offre amore, dimostrando che queste categorie di persone non devono purificarsi per essere degne di avvicinarlo ma è accogliendolo che vengono purificate, ovvero poste in piena comunione con il Signore, perché, per il Dio di Gesù, come professerà Pietro, “non si deve dire profano o immondo nessun uomo” (At 10,28).
Padre Maggi conclude dicendomi: ‘forse rimarrai delusa e magari ti aspettavi altro... ma questo è quanto ho potuto e saputo fare’.
Delusa? Se è vero che proprio pubblicani e i lebbrosi sono portati da Gesù come esempio di fede, non direi proprio…
* Padre Alberto Maggi e' Direttore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci», cura la divulgazione, a livello popolare, della ricerca scientifica nel settore biblico attraverso scritti, trasmissioni radiofoniche e televisive e conferenze in Italia e all’estero.
Ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana (Roma) e all’ École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Collabora con la rivista Rocca e ha curato per la Radio Vaticana la trasmissione La Buona Notizia è per tutti!
Attualmente sta lavorando alla traduzione e al commento del Vangelo di Giovanni e, insieme a Ricardo Pérez, a quello di Matteo.