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Bisogna abbattere il regime enogastronomico degli chef

Creato il 22 febbraio 2013 da Astorbresciani
Bisogna abbattere il regime enogastronomico degli chef Giovanni Prezzolini, compianto giornalista e scrittore, ci ha lasciato molti brillanti aforismi. Uno dice: “La scuola è fatta per avere il diploma. E il diploma? Il diploma è fatto per avere il posto. E il posto? Il posto è fatto per guadagnare. E guadagnare? È fatto per mangiare. Non c’è che il mangiare che abbia fine a se stesso. Sia cioè un ideale”. Parole profetiche! Viviamo in una società orfana di ideali in cui si sta affermando prepotentemente un interesse (e bisogno) così forte da riuscire a prendere il posto dei valori e dei vecchi ideali rottamati. Di che parlo? Ma del cibo, ovviamente. Il cibo cucinato ancora più di quello mangiato. Si è appena conclusa la seconda edizione di Masterchef, un programma televisivo in onda su Sky in cui si affrontano alcuni aspiranti chef in una gara all’ultima forchetta. È un talent show culinario che va in onda in 25 nazioni, a testimonianza dell’enorme interesse che suscita nel pubblico. Il successo di questa seconda edizione italiana è stato strabiliante e conferma una realtà fenomenica che stupisce e insieme preoccupa. Non mi riferisco alla passione degli italiani per la cucina, che è vecchia come il mondo, bensì alla progressiva conquista del potere mediatico e non solo da parte degli chef, della loro egemonia, dell’instaurazione di un regime enogastronomico che è lo specchio di una società che pensa troppo al ventre e troppo poco al cervello e al suo benessere. La televisione, interprete degli interessi del popolo bue, non fa altro che proporre nuove trasmissioni sulla cucina e la nobile arte culinaria di cui gli chef sono depositari. Va sul sicuro, i programmi di cucina fanno audience. È l’apoteosi della filosofia del fornello e dei guru della padella. Dalla sempiterna La Prova del Cuoco in poi, è stato un succedersi inarrestabile di programmi in cui si cuoce e impiatta. Sugli schermi televisivi furoreggiano i sacerdoti col grembiule e il mestolo e le loro liturgie profane. Alcuni esempi? I Menù di Benedetta, In cucina con Ale, Hell’s Kitchen, Cuochi e fiamme, Cotto e Mangiato, Il Boss delle torte, per tacere di Masterchef, the best. Non ci sarebbe nulla di male, in fondo. Ogni tanto, visto che mia moglie è una cuoca vegetariano-vegana eccellente, mi è capitato di guardare insieme a lei qualche episodio. Cè sempre da imparare. Il problema è un altro. Gli chef si stanno allargando come lo stomaco di chi vive per cibarsi e non per nutrirsi. Coccolati dalla televisione e corteggiati dalla pubblicità, si sono convinti d’essere semidei e non uomini come gli altri. Si atteggiano a maestri del gusto, avendo perso il senso della misura. Chef uguale maître à penser. È come se volessero imporci un nuovo assioma: cucinare e mangiare sono le uniche cose che contano veramente. Si sta instaurando un regime enogastronomico. L’arte culinaria ha superato nell’immaginario collettivo le arti liberali. Poveri noi! È avvilente che gli italiani ignorino i nomi dei premi Nobel nostrani degli ultimi dieci anni ma conoscano perfettamente il nome e la faccia di Gianfranco Vissani, Carlo Cracco, Bruno Barbieri, Davide Oldani, Massimo Bottura, Gennaro Esposito e Gualtiero Marchesi, il vecchio saggio. Anche i nomi stranieri vanno di moda e sono noti. Fra un po’ la Panini, mitica azienda produttrice delle figurine dei calciatori, potrebbe mettere in commercio un album dal titolo “La buona cucina”. Già immagino i ragazzini, istigati dalle madri, che si scambiano la figurina di Gordon Ramsay con quella di Alain Ducasse e Anthony Bourdain o che emulano i protagonisti di Orrori da Gustare e Man vs. Food. Ma insomma, dico io, con tutto il rispetto che si può avere per un cuoco, non è che le sue creazioni rendano migliore il mondo. Al massimo esaltano il piacere gustativo. Mi è difficile accettare la dittatura degli chef, alcuni dei quali non fanno nulla per apparire simpatici. Si danno le arie come se fossero dei pontefici massimi. Forse nemmeno ai tempi di Lucullo e della corte di Versailles i cuochi erano così arroganti. Ah già dimenticavo, non c’era la televisione, che dà visibilità e amplifica. Il fatto è che oggi quella dello chef è una figura sopravvalutata, esaltata, idealizzata. Lo chef è il nuovo idolo avviato a raggiungere nella scala mediatica e del glamour gli attori e i cantanti famosi. Un autografo di Carlo Cracco varrà più di quello di Mario Balotelli. E poi c’è l’indotto! Visto che “oggi non è concesso non saper cucinare, per le donne come per gli uomini” (lo ha dichiarato Allan Bay, famoso giornalista enogastronomico), tutti si buttano sui fornelli. Ne guadagna l’industria alimentare e quella editoriale. Non fa più scandalo la quantità impressionante di libri di cucina (molti dei quali autentica spazzatura) che gli editori sfornano nemmeno fossero pancakes. Il momento di gloria della cucina è testimoniato non solo dalla promozione a star dei cuochi e dalla trasformazione delle tipografie in fornerie, ma anche dal boom delle scuole che formano nuove generazioni di cucinieri e pasticceri. Almeno 30.000 giovani ogni anno si iscrivono alle accademie private degli chef famosi e ai master di cucina, che vanno a sostituirsi ai classici istituti alberghieri, che per altro hanno avuto 158.000 allievi nel 2012. È l’indizio di un’Italia dove non cambiano i mestieri ma li si nobilita. D’altra parte, gli spazzini e le donne di servizio non esistono più, sostituiti dagli operatori ecologici e dalle colf. Fra un po’, anche il termine chef sarà obsoleto. Verrà sostituito con termini più sofisticati, come “Cooking Performer”, “Food Artist”, “Kitchen Creative”, o neologismi innovativi. A quando l’apertura delle facoltà universitarie di cucina? Chissà, fra qualche anno ci si potrà iscrivere a “Filologia della minestra” a Bologna o a “Estetica della cotoletta” alla Statale di Milano. E potremo avere un capo del governo laureatosi in Scienze dell’alimentazione anziché in Filosofia, Legge o Scienze Politiche. Ma forse è giusto così. L’umanità sembra avviata verso una rivoluzione gastrocentrica che un grande precursore della cucinomania, Anthelme Brillat-Savarin, autore nel 1825 di Fisiologia del gusto, teorizzò con questa dichiarazione: “La scoperta di un piatto nuovo è più preziosa per il genere umano che la scoperta di una nuova stella”. Morale: è meglio che gli scienziati si mettano il cuore in pace, non saranno mai famosi come Cracco, Barbieri e Bastianich, i triumviri di Masterchef.Gli chef hanno preso il potere coi loro manicaretti e il regime enogastronomico durerà a lungo. A meno che non li si faccia cadere dalla padella alla brace - ops, intendevo dal piedistallo -  almeno in televisione.Come? Anche qui vale la vecchia regola del cambiare canale.

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