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Boston Celtics: l’arte del sapersi arrangiare

Creato il 20 gennaio 2013 da Basketcaffe @basketcaffe

L’osservatore che si estrania dal contesto della regular season attuale può immaginare le trenta squadre militanti in NBA come le altrettanti vetture partecipanti ad una gara di automobilismo. Il tratto di strada che divide le monoposto dalla partenza all’ipotetico arrivo segna il “tragitto” nel corso delle diverse stagioni NBA. Prima dello start tutte partono più o meno appaiate con la speranza, nel corso della competizione, di poter superare le dirette concorrenti, al fine di agguantare il titolo di campione NBA.

Nell’affollato schieramento di partenza si fa notare la squadra che pretende di scattare al via senza inserire le giuste marce, ma anche chi dopo un inizio stentato (e dopo una doverosa sosta ai box per rivedere l’architettura della propria squadra) ritorna in pista e riguadagna posizioni, portandosi al comando.
Se immaginiamo che tutte le squadre presto o tardi saranno costrette a “tornare ai box”, è anche vero che indovinare il momento giusto per fermarsi e ripartire non è per nulla semplice. Appare quindi comprensibile che una squadra, per esempio i Boston Celtics, decida “dal muretto” di lasciare in pista la propria freccia bianco-verde ancora qualche giro prima di richiamarla ai box.

Una scelta difficile che presenta il rischio, molto concreto, di farsi doppiare dalle altre squadre dotate di vetture in grado di proseguire la competizione a ritmo elevato.
Il progetto Celtics ha fin qui potuto contare sulle solide basi garantite dal trio Kevin Garnett, Paul Pierce e Rajon Rondo, in aggiunta alle tante ore di collaudo sotto la gestione di coach Doc Rivers, il quale ha plasmato una squadra con spiccate attitudini difensive, in grado di tenere il passo rispetto alle “diavolerie tecniche” schierate in campo dai propri avversari.

Limitando la valutazione dei Celtics alle prime 39 partite della stagione, Boston occupa il ottavo posto nella classifica Est dell’ NBA con un record di 20W-19L. Una posizione che di certo non renderà felici tutti coloro abituati a veder lottare Boston per la conquista del titolo, ma che può rappresentare quel momento, nel corso della gara, in cui bisogna sapersi arrangiare, guidando al massimo, anche se non si dispone della vettura più veloce.

Ma la deficitaria produzione offensiva (circa 95 punti a partita) è segnalata da un opportuno campanello d’allarme, che ai box si cerca di valutare adeguatamente. La partenza di Ray Allen ha indubbiamente indebolito la line-up di partenza, priva di un tiratore scelto non del tutto rimpiazzato dagli arrivi di Jason Terry, Courtney Lee e Leandro Barbosa.
E anche nel reparto lunghi, i primi scricchiolii indicano la necessità di un intervento di manutenzione straordinaria: Paul Pierce è stato messo sul mercato (come accadde l’anno scorso), mentre all’eterno Kevin Garnett sono affiancati Brandon Bass (onesto lavoratore ma non certo un trascinatore), il piuttosto indecifrabile Jeff Green ed il rookie Jared Sullinger il quale, oltre a mettere pressione allo stesso Bass non ha ancora del tutto convinto Rivers a schierarlo nella lineup titolare.

Benché molte componenti essenziali stiano transitando sul viale del tramonto, un buon nucleo (composto principalmente da Rondo, Avery Bradley e Sullinger) sul quale costruire i Celtics del futuro c’è, anche se appare oramai evidente che, per ritornare ai vertici nel più breve tempo possibile occorre molto più di un semplice cambio gomme, agendo con il minimo margine d’errore sia nelle trade che nelle scelte al draft, che inevitabilmente delineeranno il volto dei Celtics del futuro.


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