di Giuseppe Dentice
A nove mesi di distanza dalle dimostrazioni di febbraio che, tuttavia, non hanno sancito la nascita di una “Primavera” kuwaitiana, il piccolo Paese arabo nel Golfo è stato recentemente scosso da nuove violente manifestazioni contro governo, culminatelo scorso 16 novembre con l’occupazione del Parlamento. Lo Sceicco Sabah al-Ahmed al-Jaber al-Sabah, come ha riportato l’agenzia stampa nazionale KUNA (Kuwait News Agency), ha ordinato al governo di “prendere tutte le misure necessarie per contrastare le azioni che potrebbero minacciare la sicurezza del Paese”. La mobilitazione è avvenuta dopo che la polizia kuwaitiana aveva cercato di sciogliere un corteo nel quale si chiedevano le dimissioni del Primo Ministro e nipote dello Sceicco, Nasser Mohammed al-Ahmed al-Sabah, e di alcuni parlamentari accusati di corruzione: è recente, infatti, lo scandalo relativo ad un giro di tangenti di oltre 350 milioni di dollari che ha travolto 16 deputati.
Le radici della crisi
In realtà, l’attuale crisi politica kuwaitiana è figlia tanto della lotta intestina alla famiglia reale e ai propri rapporti di forza interni, quanto del malgoverno e della corruzione della classe politica governante. Qui di seguito analizzeremo brevemente i due fattori.
I dissidi familiari
La crisi politica del Paese trova le sue radici nella successione dinastica all’Emiro al-Jaber (deceduto il 15 gennaio 2006) che aveva fatto affiorare il contrasto, in seno alla famiglia reale degli al-Sabah, frail gruppo degli al-Jaber – maggioritario – e quello degli al-Salem. Infatti, il Primo Ministro Nasser al-Sabah (del ramo al-Jaber) aveva richiesto la destituzione del neo Emiro, il Principe Ereditario Saad al-Abdullah (del ramo al-Salem), per le precarie condizioni di salute di quest’ultimo. Il mancato raggiungimento di un compromesso tra i due rami della famiglia, aveva reso necessario il voto del Parlamento che, riunito il 24 gennaio 2006 in sessione straordinaria secondo quanto previsto dalla Costituzione, decideva la rimozione dello Sceicco Saad e nominava alla carica di Emiro lo Sceicco Sabah.
Dalla conclusione della “crisi” dinastica è emerso con prepotenza il rafforzamento del ramo della famiglia al-Jaber, che, rompendo la secolare tradizione di alternanza fra i due rami familiari, ha assunto una posizione di assoluto dominio dopo la nomina del Principe Ereditario, lo Sceicco Nawaf al-Ahmed al-Jaber al-Sabah, e del Primo Ministro, lo Sceicco Nasser Mohammed al-Ahmedal-Jaber, rispettivamente fratellastro e nipote dell’Emiro.
Il malgoverno e la corruzione
Non è la prima volta, tra l’altro, che Nasser al-Sabah ha subito accuse di corruzione. Fin dalla sua nomina nel 2006, il 71enne Premier è stato oggetto per ben 5 volte di accuse di questo genere da parte dell’opposizione e, nello stesso arco di tempo, il Parlamento kuwaitiano è stato sciolto già tre volte. Nel maggio 2010 due parlamentari dell’opposizione avevano peraltro, presentato una mozione di sfiducia nei suoi confronti per presunte irregolarità finanziarie nella gestione della compagnia di telecomunicazioni “Zain” e nel piano di sviluppo nazionale.
La tensione si è acuita negli ultimi mesi, quando si sono intensificati i sospetti su 16 deputati legati alla maggioranza che avrebbero incassato tangenti per un totale di 350 milioni di dollari. A seguito dell’ennesimo rifiuto da parte della maggioranza di un’interrogazione parlamentare su codesti casi, dallo scorso 9 novembre una ventina di deputati dell’opposizione hanno iniziato a boicottare le sedute del Parlamento. A queste forme di protesta sono seguite le prime violenze di piazza, culminate nell’occupazione del Majlis as-Shura (il Parlamento). Al momento, le uniche dimissioni certe sono state quelle del Ministro degli Esteri Mohammed Sabah al-Salem al-Sabah, ma, come riporta il quotidiano “Kuwait Times”, non è chiaro se il congedo del Ministro dipenda da una sua correlazione con le accuse di corruzione o se, presumibilmente, questo rientri nell’ambito della lotta intestina alla famiglia reale.
L’importanza strategica del Kuwait
Come i vicini arabi del Golfo, le preoccupazioni più rilevanti per il monarca kuwaitiano sono legate alla stabilità della regione e, conseguentemente, alla stabilità del prezzo del petrolio. L’economia kuwaitiana è basata quasi totalmente sulla vendita di greggio. Secondo le stime della British Petroleum, le riserve petrolifere si aggirano intorno ai 102 miliardi di barili (le seste al mondo) e permettono l’esportazione di circa 2,4 milioni di barili al giorno, quantità che rappresenta circa il 95% delle rendite nazionali sul totale delle esportazioni. Nonostante i profitti del greggio incidano sul PILper quasi il 50% del totale, il Paese ha cercato negli ultimi anni di avviare delle riforme in grado di diversificare l’economia, senza però ottenere dei risultati positivi. L’ostacolo più duro si è dimostrato essere il difficile rapporto tra governo e Parlamento, che ha causato, appunto, continue e ripetute crisi politiche interne e che ha frustrato i tentativi di dare maggiore impulso agli investimenti e alle iniziative economiche private. La stagione della “Primavera Araba” ha poi esasperato le tensioni economiche del Paese, costringendo i membri dell’OPEC – tra cui lo stesso Kuwait – a rivalutare la propria produzione petrolifera e a tentare di stabilizzare la crescita incontrollata del prezzo del greggio, che potrebbe produrre effetti negativi alle economie del Golfo.
Le preoccupazioni degli USA
Gli Stati Uniti, molto preoccupati dall’instabilità di uno dei loro storici alleati nella regione, stanno prendendo in considerazione la possibilità di incrementare la propria presenza militare in Kuwait, dove sono comunque già dislocati ventinovemila soldati statunitensi, già attivi per controbilanciare le pressioni dell’Iran sui Paesi del Golfo e sull’Iraq (prossimo ormai a vedere il ritiro statunitense). Infatti, secondo quanto riportato dai quotidiani emiratini “Gulf News” e “The National”, il generale Martin Dempsey, Capo di Stato Maggiore del comando interforce in Iraq e Afghanistan, ha ammesso che gli Stati Uniti potrebbero incrementare la loro presenza in Kuwait attraverso truppe navali, aeree e di terra, anche se dati ufficiali non sono stati ancora negoziati tra le parti. A testimonianza dell’importanza della penisola arabica per Washington, bisogna ricordare che gli USA dispongono di importanti basi militari anche in Bahrain e Qatar, dove sono arruolati complessivamente quasi settemila soldati, importanti avamposti di contenimento di eventuali azioni di Teheran nella regione del Golfo. Una cospicua presenza americana, anche se in misuraminore rispetto al passato, si conta anche negli Emirati Arabi Uniti e in Arabia Saudita, due, peraltro, tra i principali partner commerciali di Washington.
I timori delle monarchie del Golfo
La paura di una forte destabilizzazione nella penisola arabica e il timore di un “nuovo” Kuwait, così come avvenuto negli anni Novanta, farebbero propendere le monarchie arabo-sunnite ad un intervento militare del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), sulla falsariga di quanto avvenuto in febbraio in Bahrain, nel caso in cui le proteste dovessero degenerare in maniera esponenziale. A favorire una tale iniziativa ci sarebbero le tante similitudini tra l’emirato e la piccola isola nel Golfo: innanzitutto, il malcontento della popolazione – largamente ansiosa di riforme in senso democratico e con una famiglia reale arroccata attorno ai suoi privilegi –; in secondo luogo, la presenza di una consistente componente sciita (35% della popolazione totale) fortemente discriminata e poco tutelata; infine, il forte nepotismo e la corruzione a tutti i livelli di potere. Inoltre, la paura di un’espansione del “contagio” rivoluzionario agli altri Paesi della penisola arabica e il rischio, quindi, di rendere il Kuwait un nuovo terreno di scontro nella perenne lotta confessionale-politica tra il Sunnismo saudita e lo Sciismo iraniano, così come è accaduto in Libano, Iraq, Bahrain e Siria, farebbe propendere le monarchie arabe del Golfo ad un’azione dei Paesi CCG onde prevenire ulteriori caos politici regionali sotto l’influsso persiano.Il pericolo iraniano, in particolare, è molto sentito nel Paese. Sintomo dei cattivi rapporti intercorrenti tra Kuwait City e Teheran vi è l’arresto, avvenuto loscorso 13 novembre, di due cittadini kuwaitiani, accusati di spionaggio e di ingresso illegale ad Abadan, nel sud-ovest dell’Iran, vicino al confine iracheno. Questo incidente fa seguito ad una serie di episodi avvenuti in marzo e in maggio: tre cittadini iraniani sono stati, infatti, condannati a morte, mentre altri due al carcere a vita, da un tribunale del Kuwait con l’accusa di spionaggio; in secondo luogo, il governo dello Sceicco al-Sabah ha espulso dal Paese alcuni funzionari iraniani accusati anch’essi di far parte di una rete di spie estesa in tutta la Penisola arabica.
A difesa della corona amica del Kuwait, le monarchie arabo-sunnite del Golfo hanno ripetutamente accusato Teheran di ingerenza nei loro affari interni e di incitamento delle proteste nella regione sotto influsso dello Sciismo, con il rischio, appunto, di espandere le contestazioni a tutta la Penisola.
Conclusione
Come Oman e Bahrain, anche il Kuwait ha conosciuto alcuni degli effetti della “Primavera Araba”, pur non essendone stato toccato in maniera incisiva. Questo, che, a differenza dei suoi vicini, sembrava essere stabile e meno sensibile ai recenti sviluppi regionali, alla lunga si è dimostrato vulnerabile di fronte alle pressioni politiche interne. Ecco che una situazione di instabilità di un Paese così strategicamente importante potrebbe verosimilmente contribuire a favorire e ad acuire le tensioni geopolitiche dell’area. Il Kuwait sembra così tornare ad essere un’incognita nella mappa della sicurezza regionale.
* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)