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Cannes 67: “Coming Home” di Zhang Yimou (Fuori Concorso)

Creato il 22 maggio 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Coming Home

Anno: 2014

Durata: 111′

Genere: Drammatico

Nazionalità: Cina

Regia: Zhang Yimou

Un uomo, padre e marito, professore e intellettuale scomodo al regime, viene allontanato dalla famiglia e costretto ai lavori forzati. Riesce a fuggire ma, al primo tentativo di riavvicinamento alla moglie, è proprio la figlia fedele al partito a denunciarlo. Passano gli anni, l’uomo viene finalmente rilasciato e, al rientro a casa, un’amara sorpresa lo aspetta: la moglie (ancora una volta la musa Gong Li) non lo riconosce più.

Dopo i recenti cinetici e spettacolari wuxia (Hero, La foresta dei pugnali volanti), l’autore della Quinta Generazione di registi cinesi Zhang Yimou torna sui racconti popolari con Coming Home. Le vicissitudini dei piccoli, quelli su cui si abbattono impietosi i grandi eventi della Storia, sono sotto la lente d’ingrandimento di un autore che nel corso degli anni ha attraversato epoche cinematografiche differenti. Con Coming Home sembra voler ritornare al neorealismo degli anni ’90 (La storia di Qiu Ju, Vivere!, La triade di Shangai), quando affiancato dalla musa Gong Li esplorava l’epica popolare. Al centro della sua indagine visiva prendeva corpo e voce l’uomo ordinario schiacciato dal sistema cinese, dal potere totalizzante e annichilente, dalla memoria collettiva deturpata. In Coming Home è rappresentata ancora una volta la pressione sociale sul singolo, laddove la Repubblica Popolare con la sua burocrazia mostruosa e disumana torna ad asfissiare la sua popolazione. L’ordine impartito a moglie e figlia di tradire – rispettivamente – il marito e padre tuona spietato e senza possibilità di obiezione, con conseguenze devastanti e irreversibili nelle umili esistenze dei cittadini-sudditi.

Coming Home è la storia di un amore, di un tradimento e di una lacerazione. La coscienza critica alimentata dal senso di giustizia che va oltre la fedeltà al partito è pressoché assente nella giovane figlia devotamente assoggettata, la cui ambizione è solo quella di ottenere il ruolo principale nel corpo di ballo del partito. Nella madre (una Gong Li tesa e intensa), invece, è forte l’idea della resistenza e rivolta del piccolo sul collettivo, della protezione del nucleo famigliare a costo di tradire il sistema.

Nella prima parte del film, dove si denuncia il tradimento e si tenta il riscatto, il ritmo è grintoso, gli stacchi netti seguono il tempo della camera che nervosamente si sposta per riprendere fatiche e incertezze dei tre protagonisti della triade asservimento-libertà-tradimento. La prima metà del film esegue narrativamente e visivamente la tensione interiore dei protagonisti, dilaniati dal conflitto tra intimo e pubblico che sfocerà in un secondo tempo contrito e lineare. L’uomo, riabilitato dal partito dopo 20 anni di lontananza da casa, fa ritorno nell’umile dimora per ricongiungersi con la moglie che lo aspetta da sempre ma è incapace di riconoscerlo e con la figlia allontanata da casa dopo il tradimento famigliare. Il momento del ritorno vive di ripetizioni, di attese vacue e di tentativi falliti. Quello che la Storia o il Potere hanno spezzato non si ricompone nel film rigoroso di Yimou.

Un po’ come gli umili e ultimi della Storia di cui parla, Coming Home occuperà probabilmente una posizione minore nella produzione artistica di Yimou e, a differenza dei suoi prediletti che nel piccolo combattono la loro individuale rivoluzione, la sua energia sovversiva è piuttosto infiacchita.

Francesca Vantaggiato


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