'Capire il mal di testa e combatterlo con successo' è una lettura irrinunciabile per chi soffre di cefalea
Perché questo libro
Da molto tempo mi occupo di mal di testa. Ogni giorno mi confronto con pazienti, perlopiù donne, che soffrono di dolori e disturbi di vario tipo al capo e nelle regioni limitrofe. L’impegno è complesso ma affascinante. Qualche volta, un po’ provocatoriamente, affermo che curare un’emicrania può essere un compito relativamente facile, purché solo di emicrania si tratti. Ma quando il dolore si cronicizza e si prolunga nel tempo il quadro inevitabilmente si complica. Ci sono moltissime persone che «le hanno tutte» e peregrinano da uno specialista all’altro: neurologi, internisti, otorinolaringoiatri, psichiatri, dentisti. Spesso questi ultimi, dopo averli visitati, hanno confezionato per loro una placca da mettere in bocca giorno e notte o solo di notte.
«Dottore, mi prenda poco, mi hanno già prosciugata!», così si è efficacemente espressa una mia paziente reduce da una miriade di visite e trattamenti.
Ritengo che, in questi, casi l’unico modo per poter sperare di attenuare le sofferenze di chi soffre di mal di testa da lungo tempo e ha già affrontato terapie di vario tipo consista nel cercare di conoscerlo al meglio sotto tutti i punti di vista.
La visita deve essere estremamente accurata: un esame neurologico è di prammatica ma esso deve essere completato con un’ispezione accurata della postura, del viso, della cute nonché con la palpazione dei muscoli più importanti della testa, del collo e delle spalle.
Ma prima di procedere all’esame clinico è necessario raccogliere i dati sulla «storia» della persona. Qui non si tratta solo di compilare quello che in gergo tecnico si chiama l’«anamnesi»: cioè se la nascita della paziente è avvenuta con parto spontaneo o meno, quando la prima mestruazione, se ha avuto gravidanze o aborti, se fuma e assume bevande alcoliche e così via. E ancora: malattie e interventi chirurgici subiti in passato, in che modo sono comparsi e si sono sviluppati i disturbi per cui è venuta a cercare aiuto. Tutto ciò è necessario ma non basta. Ritengo che sia indispensabile conoscere i più importanti eventi di vita della persona che si intende curare: infatti essi rappresentano un’informazione aggiuntiva che permette di completare il quadro e di gestirlo in modo più adeguato.
L’aspetto più immediato e oggettivo di questo «porsi in ascolto» da parte del medico è rappresentato dalla sua capacità di incoraggiare o indurre il paziente a fare ciò che egli in effetti desidera fare e cioè raccontarsi. Nel campo della medicina a cui mi dedico si tratta di un passaggio fondamentale.
Dalle narrazioni dei pazienti sofferenti di mal di testa emergono squarci di vita vissuta a volte drammatici, spesso bizzarri, alcuni ai limiti del credibile. Si pongono così le basi per un rapporto di empatia tra medico e paziente quanto mai benefico ai fini della terapia.
Secondo una vulgata alquanto trita e diffusa «il medico è un po’ come il confessore». In realtà si potrebbe provocatoriamente asserire che se mai è il confessore a essere un poco, ma certo non del tutto, come il medico. Dal confessore ci si reca infatti in atteggiamento penitenziale per liberarsi dei propri sensi di colpa. Con il medico verso il quale si nutre fiducia ci si confida alla ricerca non di un giudizio assolutorio ma di un aiuto.
La propensione a narrare le proprie vicende dipende anche dal tipo di specializzazione del medico a cui il paziente si è rivolto e dalla patologia di cui egli soffre. Le caratteristiche del dolore che lo assilla possono infatti influenzare notevolmente la sua disposizione a fare del clinico il depositario delle sue confidenze.
Che cosa è il dolore? Si tratta di una domanda meno peregrina di quanto si possa immaginare. Tutti noi crediamo infatti di sapere esattamente cosa intendiamo quando parliamo di «dolore», mentre in realtà definire con precisione un’esperienza dolorifica non è sempre agevole.
La definizione elaborata dalla più importante società internazionale per lo studio del dolore parla di «una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata a una lesione dei tessuti in atto o potenziale, o descritta nei termini di una tale lesione». Viene dunque sottolineato che il dolore è una «esperienza» che comporta una partecipazione «emozionale» (e quindi affettiva) del soggetto. Si noti poi che, affinché questa partecipazione emozionale si verifichi, non è necessaria la presenza di una vera e propria lesione dei tessuti, ma è sufficiente che questo danno sia soltanto considerato come in via di compimento anche se questa valutazione da parte del soggetto può essere del tutto inesatta.
Altri hanno peraltro giustamente evidenziato che ogni esperienza dolorifica è accompagnata dalla sensazione di essere vittima di un’intrusione più o meno minacciosa. È stato però acutamente osservato che il grado di intrusione,e quindi di potenziale minaccia percepita, può variare a seconda del tipo di dolore e anche a seconda della sua collocazione. Anche se il fatto può apparire incongruo, un dolore a un piede viene avvertito meno invasivo di un dolore al capo di pari intensità. In fondo ciascuno di noi, più o meno inconsciamente, tende a considerare il capo, ben più di un piede, quale sede della propria identità, del proprio «sé». È probabilmente questa una delle ragioni per cui spesso un dolore alla testa viene vissuto con un’intensa partecipazione emotiva.
Ciò è particolarmente vero per il dolore definito «psicogeno» presente senza che alcun danno apparente sia stato arrecato al corpo. È importante sottolineare che questo dolore non è simulato ma è altrettanto «reale» quanto qualunque altro dolore: sarebbe quindi un grave errore da parte del medico chiamarsi fuori dal problema gestendolo con una liberatoria scrollata di spalle accompagnata da frasi del tipo «è lui che se lo vuole». Questi pazienti invece hanno bisogno quanto o più degli altri di tutta l’attenzione del clinico.
Ma, se la presenza del solo dolore psicogeno rappresenta un problema essenzialmente psichiatrico, in molti altri casi il grado di sofferenza di fronte a qualunque stimolo dolorifico è condizionato vistosamente anche dal contesto psicologico. Una simile considerazione si può pure porre di fronte a banali eventi quotidiani. A seconda delle condizioni in cui interviene lo stesso stimolo può essere infatti percepito come più o meno doloroso, a volte addirittura come piacevole. Si pensi, tanto per fare un esempio che può apparire dozzinale ma che è in realtà calzante, alla diversa sensazione determinata da un morso della persona amata in un momento di intimità e a un morso somministrato con la stessa energia da un cane che ci ha inaspettatamente assalito per via.
Tornando al mal di testa, il dolore che esso provoca, specie quando è intenso e cronico, è caratterizzato da una forte componente emozionale e anzi, relativamente spesso, si associa a un disturbo d’ansia o depressivo.
Non è quindi sorprendente che il desiderio di raccontarsi sia particolarmente forte in chi soffre di mal di testa da lunga data.
Questa aspirazione ha caratteristiche di spontaneità ancora maggiori di quella del paziente che si reca da uno psichiatra. Dallo psichiatra si va appunto per raccontare le proprie cose e ciò può talvolta rendere meno sincero l’atteggiamento di chi sa già che questo è quello ci si attende
da lui e forse inconsciamente si chiede «e adesso, che cosa gli dico?». Nulla di tutto ciò nei pazienti che si rivolgono a me: essi non giungono per raccontarsi ma nella speranza di star meglio. È al momento in cui raccolgo la loro storia e li interrogo con discrezione che le confidenze prendono a fluire con la massima naturalezza.
Vi è certamente una grande variabilità di comportamenti a seconda del paziente e del sesso. All’inizio la donna può essere reticente, ma ben presto si apre al colloquio e giunge talvolta a riferire fatti di cui nessun altro è a conoscenza. La psiche maschile, invece, pare seguire percorsi diversi e l’impressione che spesso se ne ricava è quella di una maggiore resistenza, direi quasi di una certa riottosità. È una sensazione che talvolta provo fin dall’inizio, quando il paziente uomo mi rivolge uno sguardo che sembra esprimere una sfiducia profonda, verso tutto e tutti, anche verso di me.
Come ho già detto, una conoscenza approfondita del paziente e un corretto esame clinico sono i presupposti necessari per riuscire a individuare e cercare di rimuovere le tessere di un mosaico di fattori che possono causare o facilitare le sofferenze del paziente. Tra questi, due problematiche interferiscono di frequente più o meno pesantemente sul mal di testa e non solo su quello: un’eccessiva e persistente contrazione dei muscoli di capo, viso e collo e la presenza in modo larvato o esplicito di un disturbo d’ansia o depressivo.
Bisogna inoltre considerare che in presenza di ansia o depressione (o di tutte e due insieme, come spesso avviene) la contrattura muscolare non può che aumentare. Tutto ciò va spiegato al paziente in modo naturale e facilmente comprensibile così che egli si renda conto del perché certi argomenti vadano approfonditi e determinate domande vengano poste. In altre parole del perché il medico debba per così dire «conoscere i fatti suoi».
«Per il mio mal di testa ho già tentato di tutto!» Così spesso esordisce il paziente che convive con questo disturbo da anni. Quasi sempre il problema sta nel fatto che non soffre di un solo tipo di mal di testa o, come sarebbe forse meglio dire, di male alla testa. Il medico deve quindi discutere col paziente le conclusioni che ha tratto dall’esame clinico in modo che egli si faccia un’idea sufficientemente precisa della natura e dell’origine delle sue sofferenze.
C’è in questo approccio un aspetto che tecnicamente si può definire «cognitivo». La conoscenza del disturbo di cui si soffre, delle sue possibili cause e concause e dei mezzi di cui si dispone per combatterlo rappresenta un primo passo importante della terapia.
È inutile prescrivere al paziente farmaci da assumere per lunghi mesi per combattere una supposta emicrania se poi si ignora del tutto la presenza di una depressione, di un disturbo d’ansia, di una situazione di continua e marcata con trattura dei muscoli del capo, del viso e del collo. Sono problemi molto più frequenti di quanto non si creda, a cui non sempre viene prestata quell’attenzione che essi meritano.
Depressione e ansia sono termini molto diffusi fra la gente che tuttavia spesso non ne possiede una nozione precisa. Si tratta quindi di spiegare di che cosa in realtà si tratti e quali siano gli elementi che autorizzano il medico a sospettarne la presenza. Solo così, procedendo con calma e per gradi, si può ottenere dal paziente una convinta accettazione della propria diagnosi e delle cure proposte.
Più agevole risulta la spiegazione del perché si ritiene che il paziente contragga i propri muscoli in maniera eccessiva. Si tratta di abitudini viziate che tendono a produrre sul viso alcuni segni caratteristici. È bene in questi casi far posizionare il paziente di fronte a uno specchio in modo che li possa osservare e prenderne coscienza.
Con questo libro mi sono proposto di compiere insieme al lettore un percorso in qualche modo analogo, discutendo con lui di alcuni dei «mali» che spesso possono, per così dire, sovrapporsi e talvolta ammassarsi in ciascuno di noi. Vaglieremo insieme accadimenti, modi di pensare e comportamenti che li accompagnano ed esamineremo i segni che testimoniano la presenza di un disagio più o meno marcato e che tuttavia passano spesso inosservati.
Per quanto riguarda il trattamento, l’esperienza che ho progressivamente accumulato mi ha indotto a ritenere che nella maggioranza dei casi i mal di testa cronici si debbano affrontare e gestire oltre che con i farmaci adeguati anche con elementi aggiuntivi non farmacologici. L’aspetto «cognitivo» cui ho accennato è già di per sé molto importante. L’eccessiva contrattura dei muscoli può essere gestita con mezzi non farmacologici estremamente utili. Qui non si tratta della cosiddetta «medicina alternativa», ma di accorgimenti che si possono efficacemente associare all’assunzione delle medicine più opportune.
Tuttavia, le convinzioni che un medico può maturare in base ai risultati ottenuti si fondano su considerazioni che in linguaggio medico-scientifico vengono definite «aneddotiche». Perché tali convinzioni acquisiscano una valida consistenza scientifica devono essere comprovate da ricerche che rispondano a criteri rigorosi e precisi. Penso di poter affermare di avere compiuto questo passo e di avere ottenuto elementi che confermano la validità di quanto sostengo.
Il percorso è stato lungo e complesso, non privo di momenti di scoraggiamento, ma nel complesso esaltante. Si tratta di un’avventura che vale la pena di raccontare.
Si fa presto a dir mal di testa
«Dottore, si è finalmente trovato qualche cosa di nuovo contro il mal di testa?». Quante volte mi sono sentito rivolgere questa domanda! Essa rivela un’aspettativa quasi messianica di un farmaco capace di stroncare una volta per tutte un mal di testa di cui il paziente soffre da anni e contro il quale ha già tentato ogni genere di cura, tradizionale o «alternativa».
Si tratta di una speranza che i media concorrono ad alimentare. A intervalli regolari compaiono infatti servizi con titoli quanto mai ottimistici del tipo: «Finalmente un rimedio contro l’emicrania», «Un’importante scoperta in tema di mal di testa», quando non addirittura «Mal di testa, addio!» Ciò non fa che aumentare la confusione di idee.
In effetti non esiste un mal di testa, bensì parecchi tipi di mal di testa o, come si è detto, di «mali alla testa» in senso più ampio. Quelli di gran lunga più frequenti sono la cefalea tensiva e l’emicrania. La prima è descritta come una sensazione di stringimento, di pressione, di «cappello stretto»… può diffondersi in varie zone del capo e durare molte ore o talvolta molti giorni. L’emicrania si caratterizza invece per dolore molto intenso, collocato spesso ma non sempre su di un solo lato del viso o del capo, pulsante, martellante, a volte perforante e accompagnato da nausea e talvolta da vomito.
Detto così, fare diagnosi del tipo di mal di testa di cui soffre il paziente e curarlo di conseguenza potrebbe sembrare facile. In realtà le cose non sono così semplici. I pazienti o, più spesso, le pazienti accusano tutti e due i tipi di dolore che si alternano senza apparente ragione o regola. Talvolta li distinguono a loro modo: «Vede dottore, il mio mal di testa “normale”, quello lo sopporto, diciamo che ci sono abituata. Ma l’altro è terribile, è per questo che sono venuta da lei».
Rimango sempre in qualche modo stupito dal modo con cui molte donne accettano il loro mal di testa «normale» con l’atteggiamento fatalistico con cui accettano o hanno accettato il dolore da parto, la maternità e le bizze dei figli e le sfuriate del marito.
Per far meglio comprendere che non posso curare un mal di testa e ignorare l’altro, ma che si tratta di problemi in qualche modo congiunti, racconto loro la storia ipotetica di un dolore al capo comparso in giovinezza, magari subito dopo il primo ciclo mestruale, all’inizio presente due o al massimo tre volte al mese, specie durante le mestruazioni. Gli attacchi erano violenti con nausea e talvolta vomito, ma tra l’uno e l’altro la situazione era di completo benessere. Poi nel corso degli anni l’intensità degli episodi è a volte un poco diminuita ma la loro frequenza è gradualmente aumentata.
Alle crisi violente di dolore pulsante se ne sono sovrapposte altre contraddistinte da un senso di oppressione a buona parte del capo. Ma anche in ciò non c’è regola precisa e spesso le caratteristiche si sovrappongono o si alternano nel corso dello stesso episodio o della stessa giornata. Le mestruazioni possono sempre rappresentare un problema ma altri fattori scatenano il dolore con più facilità di un tempo: freddo, vento e cambiamenti climatici, preoccupazioni e stress, condizioni di stanchezza psico-fisica. In altre occasioni tuttavia la crisi compare senza alcuna causa apparente. Spesso la paziente si riconosce del tutto o in buona parte in questa descrizione.
Un mosaico di fattori si è detto. Tra quelli principali due sono già stati menzionati: il fattore psicologico e l’eccessiva contrazione di vari gruppi muscolari. Il primo fattore va indagato, insieme a tutti gli altri, senza atteggiamenti preconcetti tendenti a sopra o a sottovalutarlo. Se poi il paziente mantiene i muscoli contratti in continuazione è facile ipotizzare che abbia qualche problema. Ma il medico deve saper distinguere tra chi si trova in un generico stato di stress e chi soffre di un disturbo d’ansia o depressivo.
Il fattore ormonale, insieme ai problemi vascolari e neurologici, svolge spesso un ruolo rilevante nell’emicrania. Si pensi, ad esempio, alle condizioni, a volte burrascose, cui vanno incontro non poche donne durante il periodo mestruale, che può essere caratterizzato, come si è detto, da violenti attacchi di emicrania. La crisi può ripresentarsi con caratteristiche analoghe al momento dell’ovulazione. Se essa non muta nel tempo le sue caratteristiche si può sperare che scompaia al momento della menopausa. Ciò peraltro non sempre accade. Nel frattempo, se gli attacchi di mal di testa si limitano a due o tre al mese, si può individuare il farmaco più adatto da assumere alla comparsa di ogni crisi: oggigiorno ve ne sono di altamente efficaci nella maggioranza dei casi. Le cose si complicano se le crisi sono più frequenti. Bisognerà allora attuare una cosiddetta «terapia preventiva» e la scelta del farmaco dipenderà molto dalle caratteristiche della paziente.
Ma, come ho già accennato, le crisi oltre a farsi più frequenti possono presentarsi di volta in volta con caratteristiche diverse. Sono pazienti che nel tempo hanno spesso tentato varie forme di terapia con un risultato iniziale soddisfacente, ma che non si sono più rivelate efficaci quando sono state ripetute a distanza di tempo quando il mal di testa si è ripresentato.
Ciò a volte può determinare un deterioramento dei rapporti medico-paziente. Da una parte c’è la delusione di chi soffre e non vede via di uscita; dall’altra c’è la frustrazione del clinico che si trova in una situazione di stallo. La tentazione di uscirne con una metaforica scrollata di spalle è molto forte. Poiché, come si è detto, spesso il paziente è donna, questa soluzione è anche suggerita, più o meno inconsciamente, da un maschilismo, larvato ma compiaciuto, che induce a considerazioni del tipo: «Le donne sono complicate!… Le donne ne hanno sempre una! È un’isterica, è lei che se lo vuole…» Se poi la paziente, nubile o separata, non ha un compagno, inevitabilmente ne consegue l’ipotesi che i suoi problemi siano semplicemente ascrivibili alla mancata soddisfazione di pulsioni sessuali.
Si noti bene, anche questo può davvero rappresentare una componente del problema. Quello che è profondamente errato è l’atteggiamento quasi irridente che il medico sembra assumere nei confronti di una persona che, dopo tutto, incomincia a irritarlo. Ed è per questo che egli utilizza brutalmente la «mancanza di sesso» a fini autogiustificatori e risolutivi di una situazione conflittuale in cui si è venuto a trovare.
Spesso però le cose sono ancora più complicate perché, oltre a quanto descritto, si sovrappongono altri dolori e fastidi che per le loro caratteristiche e zone di comparsa non rientrano nella categoria di un «mal di testa» più o meno classico.
Estratto da "Capire il mal di testa e combatterlo con successo"