Magazine Racconti
Renzo era in ginocchio, piegato sul WC come se stesse vomitando. Dalla
sua nuca colava un rigo di sangue che, scendendo lungo la schiena, colorava
di rosso la camicia bianca fino alla cintura.
Più in alto sulla parete, di fronte, c’era un foro nella mattonella, attorno al
quale colava anche lì del sangue, mischiato ad altra materia organica.
– Il proiettile è un calibro 9 x 21, è stato esploso da distanza ravvicinata,
un colpo singolo, preciso alla nuca, mentre la vittima era intenta a urinare. Il
proiettile ha trapassato il cranio conficcandosi nella parete. Considerando la
traiettoria leggermente in discesa, deve essere stato esploso da una persona
probabilmente più alta della vittima. Al momento non posso essere più preciso.
Concluse il funzionario della Scientifica.
Furono interrogati tutti i presenti, a cominciare da Laura, che riferì di
avere sentito distintamente, all’interno del locale, la voce di Andrea De Felice.
Adesso le cose avevano preso una piega diversa; anche se non si poteva
ancora collegare l’omicidio allo sconosciuto telefonista, ora c’era il morto e
tutto quanto doveva per forza di cose essere visto sotto un’altra luce, senza
tralasciare niente, nemmeno quello che prima poteva sembrare insignificante.
– Ti rendi ’onto di che rischi hai corso? – Disse l’Ispettore Vannucci
rivolto a Mario.
– Che rischi avrei corso? Era meglio se la lasciavo da ssola? O forse è
successo tutto per colpa di que’ ddue che n’ho messo dietro? – Rispose a
tono Mario.
– Non lo so, so solo che ti sei messo a ffa’ ’l poliziotto, senza ’ontà che
hai cominciato anco a girà armato… Rosa m’ha detto tutto. – Aggiunse il
Vannucci pensando di spiazzarlo.
– Ti da noia che io abbia fatto il poliziotto al tu’ posto? Almeno io c’ho
provato, se invece lo avessi fatto te il poliziotto un po’ prima, forse quel
ragazzòtto ora sarebbe ancora vivo.
Luca incassò il colpo. C’era sempre stata una sorta di dominanza psichica
e fisica in Mario che Luca aveva sempre silenziosamente accusato.
Luca Vannucci era più alto di almeno dieci centimetri di Mario e aveva
un fisico più longilineo. A pallone, Luca, si “beveva” Mario fischiettando, ma
le volte che avevano litigato, e da buoni amici era successo sia a parole che
con le mani, Mario aveva sempre avuto la meglio, anche se, e questo Luca
lo sapeva, Mario non gli avrebbe mai fatto veramente male, Mario gli voleva
troppo bene, anzi, con Luca poteva litigarci solo lui, guai agli altri.
Nessun movente, nessuna pista da seguire se non quella di Andrea. Dalla
questura di Napoli, dopo i controlli fatti con la compagnia telefonica, che
confermò l’intestazione di una scheda SIM acquistata un anno prima ad
Andrea De Felice, arrivò anche la conferma che il raffronto con le foto sul
telefonino di Laura era risultato positivo: Andrea e la sua famiglia esistevano
per davvero.
– L’Ispettore Vannucci per favore, sono la moglie.
– Un attimo, signora, vedo se è in ufficio. – Rispose il centralinista.
– Vannucci c’è la tu’ moglie, te la passo?
– La vòi te la regalo? – Domandò il Vannucci al centralinista.
– Tienitela pure. N’ho abbàsta della mia. – Replicò prontamente il centralinista.
– Pàssimela giù! – Disse il Vannucci, alzando gli occhi al cielo.
– Luca?
– Sì ciao Luisa, che c’è?
– T’ho chiamato perché Sara ha la febbre e… e non credo che questo
fine settimana, potrà venire da te. – Disse Luisa.
Dopo un attimo di silenzio, Luca replicò:
– Ma si pò sapé perché, quando tocca a me, c’è sempre qualche problema?
– Cosa stai dicendo? Che te lo faccio apposta? – Rispose inviperita
Luisa.
– Noo! Ci mancherebbe altro. Te sei una santa! Sono io che so’ sfigato. –
Rispose Luca con una buona dose di velenoso sarcasmo.
– Sì! Sei sfigato e pure stronzo!... Ah, se solo avessi dato retta a mia
madre. – Replicò Luisa.
– Già era meglio, perlomeno ora saresti a rompì ’ccoglioni a qualcun
altro! – Rispose a tono Luca. – Senti madama Butterfly, ora c’ho da fa’ e
po’ t’ho detto d’un chiamàmmi in ufficio, hanno ’nventato ’ttelefonini, lo sai?
Salutami Sara, ciao! – Concluse Luca sbattendo la cornetta sul telefono.
Luca era nero come la pece e Rizzo pensò bene che era venuto il momento
di fare qualche fotocopia. Fece per svignarsela quando il Vannucci lo fermò:
– Notizie dalla Procura?
– Il Sostituto Procuratore ha già inviato àa richiesta alla Procura de Napoli,
penso che nùn cé vorrà molto pe’ sapé qualcosa. – Rispose Rizzo.
– Piuttosto Ispettò, c’è quéla storia dée banconote farse al supermercato.
Bisognerebbe annà a controllà.
– Sì, hai ragione andiamo, così passo ancò in farmacia, m’ha fatto venì ’l
mal di testa vel tegame.
Luisa e Luca erano sposati da dieci anni, un periodo caratterizzato fin
dall’inizio da una così profonda ed incolmabile incomprensione che, dopo
solo cinque anni di matrimonio, portò alla separazione, sostituendo all’amore,
lotte e diatribe varie con la figlia Sara al centro di un’eterna contesa.
Nonostante il Tribunale avesse ufficialmente riconosciuto alla madre l’affidamento
della bambina e al padre l’obbligo degli alimenti, Luca e Luisa si
erano accordati per una sorta di affidamento congiunto, dove Luca avrebbe
potuto tenere con sé sua figlia per un determinato numero di giorni stabilito.
Regolarmente però, vuoi per un motivo o per l’altro, saltava fuori sempre
qualche “grave” problema che impediva a Luca di beneficiare di quanto
concordato e in fondo a lui spettante. Effettivamente sembrava che Luisa
glielo facesse apposta, tanto che questa era ormai per Luca una sorta di
regola annunciata.
C’erano così determinati giorni, che il collega Rizzo poteva benissimo
prevedere con largo anticipo, nei quali il buon senso consigliava di girare al
largo dall’Ispettore, bastava solo conoscere il calendario degli affidamenti,
per scamparla o perlomeno, provarci.
Quel giorno, però, Rizzo se la cavò con un’aspirina, il Vannucci era talmente
preso dal caso che smaltì rapidamente il giramento di scatole assieme
al mal di testa.
Dall’interrogatorio svolto a Napoli, Andrea De Felice e i genitori, negarono
di aver mai conosciuto Laura Maffei. Andrea dichiarò, inoltre, di non
avere posseduto quella scheda SIM con quel numero di telefono. Tutti quanti
avevano fornito un alibi per l’ora dell’omicidio, soprattutto Andrea che
all’ora dell’omicidio si trovava al Pronto soccorso dell’Ospedale Cardarelli
di Napoli per un incidente in moto. I Verbali di Pronto Soccorso e della
Stradale lo confermarono.
– Andrea De Felice, nato a Napoli il 4 agosto del 1975, professione
carpentiere. Suo fratello Antonio De Felice, nato a Napoli il 18 dicembre
del 1968, di professione ricercatore e docente di biologia marina presso
l’Università di Trieste dove vive e lavora da circa dieci anni e dove s'è fatto
pure àa famiglia; è infatti sposato co’ due bambini. Cioè… nun è che è un
pedofilo-poligamo, volevo solo di’ ch’è sposato co’ su’ moglie e che, sempre
da su’ moglie, ha avuto du’ figli… n’so se me spiego Ispettò.
– Oh Rizzo, ma stamattina sei venuto a lavorà o hai mandato la
’ontrofigura?... Ho capito, ’un so’ mmià sscemo, vai avanti.
– No, volevo solo esse’ preciso… n’se sa mai.
– Rizzo, il giorno che te sarai preciso, pisceranno le galline.
– Perché? Le galline nu’ fanno àa pipì?
– Ma c’ho fatto di male?! – Esclamò disperato il Vannucci. – Lasciamo
pérde, va’ avanti per favore.
– Mò c’ho detto?... ’mmazza ’e carattere, va beh, dov’è che ero rimasto?…
Ah sì! Pare che dal 2 aprile 2007, ’sto Antonio De Felice, si trovi a
bordo della nave “Neptunus” dell’OGS, leggo testualmente: Istituto Nazionale
di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale di Trieste, appunto, per
ricerche. Più precisamente si troverebbe a largo delle isole Falkland… Ispettò,
’ndò sarebbero ’ste isole?
– Patagonia, Sud America, credo o giù di lì. Comunque vai avanti, ’un ti
fermà più per favore. – Rispose il Vannucci.
– In fonno a destra, praticamente? – Continuò Rizzo.
– Rizzo, ’un è ggiornata oggi, se dici ancora una bischeràta ti sparo. – Gli
ordinò il Vannucci.
– Stia bono Ispettò, nun se alteri, era solo ’na domanda… comunque
dove se trovi il Dottor De Felice è tutto ancora da verificà. Sembrerebbe,
inoltre che, sempre il Dottor De Felice, sia un fervente attivista di Green
Peace. Poi… il padre Gennaro De Felice, nato a Napoli il 10 gennaio del
1947, professione Guardia Giurata. La madre Carmela Giordano, nata a
Salerno il 21 ottobre del 1950, professione casalinga. Tutti residenti, escluso
il figlio più grande, Antonio, a Napoli, in via Santa Brigida 242.
– Ora férmiti e piglia fiato Rizzo, ’un ci sei abituato a parlà troppo a lungo
in italiano e ’un voréi ’e ti facesse male. – Lo interruppe l’Ispettore.
– No aspetti Ispettò, nun ho finito: i De Felice avevano anche una figlia.
Aggiunse il Sovrintendente Rizzo. – Anna De Felice, nata il 15 agosto del
1973 e scomparsa il 15 agosto del 1990.
– Ah, il giorno del suo compleanno… poveraccia. – Commentò il Vannucci.
– Sembra si sia buttata o non si sa se l’hanno buttata, giù da ’na scogliera
de Procida. – Continuò Rizzo. – Il corpo non fu mai ritrovato, pare che la
conformazione dée scogliere e le corénti abbiano dato una mano, fu ritrovata
solo la borsetta con pochi effetti personali e, qualche giorno dopo, una scarpa
da alcuni pescatori, che i genitori riconobbero come della figlia. Di tutti i
membri dàa famiglia, risulta avere precedenti penali solo Andrea De Felice,
e comunque roba de poco conto, solo una denuncia per rissa. – Concluse
Rizzo.
– Delafìa! Siamo a ccavallo! – Borbottò l’Ispettore Vannucci. – Nessun
testimone e in più quel ragazzo, quel… Renzo, non aveva nessun motivo per
esse’ ammazzato. Fuori da qualsiasi giro particolare, nessuno screzio o particolari
nemici, mah!... Laura ha detto che hanno passato tutta la sera insieme
senza parlà con nessun’altro… un po’ pògo pe’ lavoràcci sopra. – Disse
il Vannucci guardando il Sovrintendente Rizzo.
– C’è solo ’sto Andrea De Felice, che sicuramente è uno scemo che ha
voluto giocà càa bimba del Maffei, e con l’alibi che c’ha lo si può solo
accusà d’esse’, appunto, scemo e pure tanto, visto che per fassi le seghe al
telefono ha usato il proprio numero. – Disse Rizzo, ricevendo dal Vannucci
un’occhiataccia che lo fece immediatamente pentire di aver parlato. Per un
attimo si era scordato che stava parlando della figlia del miglior amico dell’Ispettore.
– Novità dalla scientifica? – Domandò il Vannucci, passando sopra alla
poca delicatezza del Sovrintendente.
– A parte quello che già sapevamo, c’è la conferma che l’assassino
doveva esse’ alto circa un metro e ottanta, ha usato un silenziatore e non ha
lasciato tracce. Ah! Hanno trovato ar collo della vittima, una collanina de
perline de plastica colorata, come quelle de’ bambini e pare che prima nun
c’aavesse, bisognerà chiéde a Laura conferma. Impronte c’è ne sono quante
ne vuole, basta solo capì se ci sono anche quelle dell’assassino. Ne hanno
isolate e contate 96 tipi diverse. – Concluse Rizzo.
– Ecco bravo! Passale sul Database, vedi se esce qualcosa. – Gli ordinò
con gusto il Vannucci.
Capitolo 11
Il confronto delle foto di Andrea De Felice e della sua famiglia con le
immagini sul telefonino di Laura risultò positivo e la stessa Laura confermò,
indicando Andrea De Felice come la persona con cui lei aveva avuto la
relazione telefonica. Non restava, a questo punto, che comparare le voci. Su
richiesta della Procura di Lucca fu eseguito, così, un confronto vocale a
mezzo di apparecchio telefonico tra Laura, Andrea De Felice e i suoi genitori.
Un confronto dal vivo poteva essere condizionato e influenzato dall’ambiente
e dalle emozioni, il Vannucci pensò che poteva essere, quindi, più
attendibile se si fossero ricreate le condizioni in cui si svolgevano realmente
le conversazioni.
Laura si prestò al confronto ma l’esito della prova non fece altro che
complicare le cose, lei non riconobbe nella voce di Andrea De Felice la
stessa del telefonista misterioso, ma riconobbe, invece, le voci dei genitori
per come si erano presentati.
– Bene ora ’un lo possiamo neanco accusà d’esse’ scemo. – Disse deluso
il Vannucci. – Non ci sono elementi per perseguì Andrea De Felice, né
per le molestie né per l’omicidio di Renzo Ghilarducci, mah… Ascolta rizzo:
della telefonata ricevuta da Mario la sera che Laura è stata portata in ospedale,
hai controllato ’ttabulati?
– Sì e risulta fatta da ‘na gabina telefonica a Pisa, per la precisione da
Migliarino. – Rispose Rizzo.
– E oh, ti pareva! Era troppo facile sennò. – Commentò l’Ispettore.
“A meno che Laura nel Pub non sia stata vittima della sindrome di
Stendhal, il che pò anco esse’ probabile visto il grado di coinvolgimento della
ragazza, questo telefonista fantasma rimane pratiaménte l’unio indiziato”.
Pensò il Vannucci. “Si fa chiamà Andrea De Felice ma non è Andrea De
Felice ma allora perché utilizzà l’identità del De Felice e tirà in ballo tutta la
su’ famiglia? Li ha scelti a caso o li ’onosceva? E come si è procurato le foto
di tutta la famiglia e i documenti di Andrea necessari per acquistà una SIM?
Poi, comunque, Laura aveva rionosciùto le voci de’ggenitori e ci sono i tabulati
telefonici della SIM di Andrea e di Laura che confermano il tràffio di
chiamate sia in ingresso che in uscita e le celle di provenienza, questo, se
non altro, esclude che Laura si sia ’nventato tutto. Ma perché ammazzà il
ragazzo? Gelosia? Pazzia? Uno scemo da solo lo si pò definì un maniaco, un
gruppo di sscemi si chiama organizzazione”.
La teoria del gioco l’aveva già verificata, c’erano stati effettivamente
casi analoghi un po’ in tutta Italia ma ogni indagine intrapresa non era approdata
a nulla. Addirittura si era formulata anche l’ipotesi di una setta religiosa
ma la cosa era finita lì.
“Ma se fosse questa la pista giusta”, continuò a pensare l’Ispettore, “allora
i De Felice potrebbero esse’ tutti d’accordo e si sarebbero, inoltre, serviti
dell’aiuto di un complice esterno, dotato di una voce “suadente”, armato
di una calibro 9x21 e magari non necessariamente giù a Napoli ma qui a
Viareggio. Usà poi un numero di telefono intestato a uno di loro potrebbe
esse’ una sorta di tagliando necessario per riscuote il montepremi in caso di
vincita, una regola obbligatoria del gioco per attestarne la partecipazione. E
l’obbiettivo del gioco? Spaventare, plagiare, soggiogare una ragazza fino a
falla impazzì e portarla al suicidio. Certo che deve esse’ alta la posta in giòo
per giustificà questi mezzi”. Restava comunque ancora da verificare la voce
del fratello Antonio ma finché lo stesso non avesse fatto ritorno in terra
ferma, questo non sarebbe stato possibile o perlomeno attendibile.
– Rizzo! Andiamo a fa’ colazione, dai!
Capitolo 12
Era una bella mattina di maggio, il sole era caldo, una piacevole anteprima
dell’estate.
Guardando tre ragazzi in pantaloncini e ciabatte con tanto di rastrello in
spalla e diretti verso la spiaggia davanti a piazza Mazzini, Luca pensò che
avrebbe rinunciato anche a sei mesi di stipendio pur di poter andare anche
lui “a ffa’ nnìcchi”, invece di restare lì, in fila, a bollire in macchina.
Aveva appuntamento col Dottor Bertuccelli per mezzogiorno nel suo studio
al Marco Polo, l’aveva chiamato la sera prima, voleva qualche informazione
sulle motivazioni che avevano spinto sua moglie al suicidio.
Questa era la parte del suo lavoro che odiava di più: parlare con i vivi dei
loro morti.
Il Dottor Emilio Bertuccelli era un noto chirurgo, rimasto involontariamente
al centro di una brutta vicenda, nei primi anni novanta, con la morte
per suicidio della moglie Eleonora, dopo una presunta relazione con una
persona, la cui identità non fu mai veramente accertata. Si dice che nemmeno
la signora Bertuccelli avesse mai visto realmente dal vivo questa persona,
la relazione, infatti, da quanto sostenuto sempre dal marito, si svolse
esclusivamente e solo per telefono, una cosiddetta relazione al “buio”, che,
sempre da dichiarazioni del Dottor Bertuccelli, portò la moglie all’inspiegabile
gesto estremo.
Il professionista indicò sempre questa persona come unico responsabile
della tragedia, ma le indagini e le ricerche fatte non portarono mai all’identificazione
dello sconosciuto né fu possibile attribuire alcuna responsabilità a
suo carico, arrivando così all’archiviazione del caso come suicidio. Il Dottor
Bertuccelli, che fino allora era stato un brillante medico, Primario di Chirurgia
all’Ospedale Santa Chiara di Pisa, subì dalla vicenda un pesante tracollo
psicofisico che lo tenne a lungo lontano dalla professione, quanto bastò a
fargli perdere fama e notorietà.
– Dottore buongiorno!
– Ispettore è un piacere vederla, a cosa devo l’onore della visita?
“Ecco ora viene ‘l bello!” Pensò il Vannucci.
– Avrei bisogno di falle, purtroppo, qualche domanda sulla scomparsa di
sua moglie.
– E come mai? Se posso permettermi di chiederlo Ispettore, in fondo è
stato solo un suicidio, lo avevate detto anche voi no? Come mai adesso la
Polizia mostra nuovo interesse per la cosa?
– Il caso non l’avevo seguito io, ma, se non riòrdo male, lei sostenne che
c’erano delle responsabilità da parte di quella persona, per altro mai identifiàta,
che aveva intrecciato una relazione per telefono con sua moglie.
– Cos’è? È morto qualcun altro? – Chiese il Dottor Bertuccelli.
Il Vannucci schivò la domanda proseguendo nel suo interrogatorio.
– Ho a che fare con un caso che, per certi versi, mostra diverse analogie
con la metodologia relazionale con la quale quello sconosciuto diciamo…
catturò sua moglie. – Continuò il Vannucci.
– Tutto quello che avevo da dire lo dissi a quel epoca. – Rispose il Dottore.
– Chiesi anche aiuto, ma a tutta risposta ricevetti solo delle prese per il
culo! Mi perdoni la terminologia.
– Non si preoccupi. – Rispose il Vannucci.
– Mia moglie non aveva solo perso la testa per quell’individuo, lui l’aveva
plagiata, era come se lei avesse perso il senso della ragione; non la faceva
dormire la notte, la svegliava in continuazione…
“Ecco, appunto, questa è una delle ’ose che volevo sapé!” Pensò il
Vannucci.
– Ma lo sa che queste sono tecniche di tortura usate dai militari per
cancellare ogni forma di resistenza ai prigionieri? E mia moglie aveva perso
la sua volontà, la sua identità.
– Capisco. – Annuì il Vannucci. – Un’ultima domanda Dottore: sa dìmmi
se questo individuo usava minacciare sua moglie di lasciarla, o meglio, se
usava la tecnica del ricatto per indurla a tacere della relazione con tutti?
– Le confesso una cosa Ispettore, lo so non è legale, ma all’epoca registrai
a loro insaputa alcune conversazioni fra Eleonora e quel “bastardo” e
devo dire, che lui faceva sempre questo gioco, mia moglie passava continuamente
dalla serenità alla disperazione proprio grazie a questi giochetti,
finchè… – E s’interruppe, lasciando la frase incompleta.
– Quelle registrazioni le conserva ancora? – Chiese il Vannucci.
– No, quando è morta Eleonora ho distrutto tutto… capisce?
– Capisco Dottor Bertuccelli, capisco e stia tranquillo, noi non ci siamo
mai detti nulla. Le tolgo il disturbo Dottore, la ringrazio per il tempo che mi
ha dedicato.
– Non è stato un disturbo Ispettore, è stato solo un po’… un po’ doloroso
ricordare.
– Comprendo Dottore. Grazie e buona giornata!
– Grazie a lei Ispettore per il lavoro che sta facendo.
Il Vannucci stava per uscire quando il medico lo chiamò.
– Ispettore!
– Si? – Rispose il Vannucci
– Per favore… lo prenda.
– Stia tranquillo Dottore, stia tranquillo, arrivederci.
Continua...
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