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ti scrivo come se fossimo amiche e da amica avrei una confessione da farti.
Da bambina avrei sempre voluto essere un bambino, di quelli coraggiosi che si arrampicano sugli alberi, che un ginocchio sbucciato è una ferita da indossare con orgoglio, che le bambine non ce le vogliamo perché piangono quando uccidiamo una lucertola e nessun galeone imbarcherebbe una femmina.
Volevo essere uno di quei bambini che a nascondino si nascondono per sempre, scandendo i giorni con lo sfiorire degli alberi, che un bastone è una spada avvelenata e il cane della zia un'Idra di Lerna.
Da ragazzina avrei voluto essere un ragazzino, lasciare liberi i miei ricci selvaggi, invece di castigarli tra nastri e frontini; avrei voluto imbarcarmi con il Capitano Nemo, andare a caccia di balene con Achab, sporcarmi il viso come un indiano d'America, zoppicando verso un lieto fine. Avrei voluto essere spavalda e ambiziosa come un eroe di Stendhal oppure ricca e rancorosa come un epilogo scritto da Dumas.
Se fossi una scrittrice sarei uno scrittore. Come Moravia -perdonami Elsa- così sessualmente raccapricciante. E se fossi buona avrei voluto essere una poesia di Pavese. A dire il vero Elsa, se potessi essere qualsiasi cosa tranne me stessa sarei una finestra spalancata su uno sterminato silenzio di colline disordinate e macchiate d'autunno.
Se fossi stata D'J Pancake non mi sarei mai uccisa, se fossi stata Hemingway non avrei aspettato tanto. E' una scomoda costante della mia vita quella di immaginarmi migliore nei panni degli altri. Ma ho imparato a volermi bene, Elsa. Ho imparato disegnarmi le labbra con il rossetto rosso, a camminare su dodici centimetri di tacco, a vestirmi alla moda. Quando la timidezza non mi paralizza il battito cardiaco, riesco anche a mantenere vivaci conversazioni sul meteo e sul precariato.
Se fossi un libro, Elsa, sarei il tuo, per smetterla di combattere e lasciarmi trascinare dalla storia.
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