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Carlo Martello e i Carolingi

Creato il 05 settembre 2012 da Tanogabo @tanogabo2

Una famiglia in ascesa e un nome destinato alla storia.

Pipino il Giovane, conte di Héristal, sedeva accanto alla moglie, quando un valletto, uscito a precipizio da una stanza del palazzo, si fece sull’uscio e di li gridò la parola che in tedesco significa maschio: Kerl! Annunziava cosi la nascita, piuttosto imbarazzante, del figlio naturale di Pipino. Il quale, secondo la fama che lo voleva olimpico e perfettamente padrone di sé, semplicemente commentò:
“Se maschio è, maschio ne sia il nome”. Kerl: Carlo. Nascevano cosi, secondo la leggenda, un nome destinato a rimbombare nella storia dei francesi e un piccolo bastardo che il mondo intero avrebbe più tardi conosciuto come Carlo Martello.

Carlo sembrava nato con poche speranze di fortuna. Morto Pipino, la vedova, preoccupata da problemi di successione, lo cacciò in prigione. Ma Carlo, nient’affatto rassegnato al ruolo della vittima, evase. Da quel momento, una carriera fulminante, di quelle che segnano la storia. Carlo trova alleanze, mette insieme un esercito, subisce un rovescio contro i frisoni, ma si rifà subito, proprio in difesa della matrigna ingenerosa, contro i neustriani, che l’avevano aggredita e umiliata. Ritornavano, trionfanti, verso le loro terre, quando su milizie e carriaggi piomba l’esercito di Carlo e stravince.
È la prima di molte vittorie.
Pochi anni più tardi, una grave minaccia viene dalla Spagna. Le orde della cavalleria araba, da tempo tormentano le regioni meridionali. Ora, forti dell’immunità, presa Narbona, Autun, le sorgenti della Senna, ricevono rinforzi comandati da Abd el-Rahman.
Non si tratta più di scorrerie, ma di guerra di conquista. Il duca d’Aquitania informa Carlo della caduta di Bordeaux, e chiede aiuto. Carlo accetta, mobilita tutte le forze della Gallia e ne ottiene il comando. Traversata la Loira, s’imbatte nelle avanguardie arabe sulla via di Bordeaux, presso Poitiers.

Carlo Martello e i Carolingi
 I due eserciti sono di fronte: da una parte la mobilissima cavalleria araba, dall’altra le compatte fanterie franche. Entrambi gli avversari esitano, si studiano per sette giorni. Tuttavia, gli uomini di Carlo agiscono con il favore di un retroterra intatto, mentre gli arabi si accampano su terra bruciata.
A corto di rifornimenti, gli arabi attaccano. I fanti di Carlo resistono fino al calar della notte. All’alba, si offre agli occhi dei franchi lo spettacolo del nemico in rotta, indimenticabile monito per gli arabi.

Carlo Martello e i Carolingi
Durante i venticinque anni di regno, Carlo Martello riassestò la Gallia, ne riformò la Chiesa, conferì al Regnum Francorum dignità e grandezza. Non ebbe, tuttavia, occasione o volontà di riformare le incongruenze istituzionali che perduravano nella corte, vestigia del dominio merovingio. La sua eredità è raccolta da Carlomanno, Pipino e Grifo. Ma subito l’arrogante Grifo è ucciso dai primogeniti, il potere suddiviso tra i due. Il pio Carlomanno soprattutto si preoccupa dei problemi della Chiesa: convoca il concilio di Liftines e quivi ratifica la revoca di una parte delle confische attuate dal padre ai danni dei religiosi. È il primo passo verso un’intesa che avrà prestissimo il suo ruolo, patrono quel Wynfrith che, venuto dall’Inghilterra con la protezione di Carlo, è poi divenuto l’apostolo di Germania: Bonifacio.
Carlomanno non ha tuttavia la vocazione al potere quanto quella della meditazione religiosa, ereditata dall’avo sant’Arnoldo: dopo sei anni di governo, abdica per ritirarsi in monastero. Rimasto solo, il fratello Pipino detto il Breve approfondisce e mette a frutto i contatti con la Chiesa. Intende risolvere la questione istituzionale. Siede sul trono un re fantomatico, ultimo dei Merovingi, Childerico. Pipino, maestro di palazzo, detiene, di fatto, il potere. Si tratta di abbandonare il principio germanico del Gebliitsreich (diritto di sangue) che ancora regge la dinastia merovingia. Bonifacio risolve il quesito sanzionando il superiore principio del carisma, d’essenza cristiana, e personalmente provvede all’unzione di Pipino. È, in pratica, un colpo di stato: il deposto Childerico si ritira in convento. Papa Zaccaria sancisce l’unzione: Pipino è re cristiano, il primo carolingio. Ma l’alleanza con la Chiesa è destinata a ulteriori sviluppi. Il successivo papa, Stefano II, in dure difficoltà col longobardo Astolfo si reca da Pipino. Nella villa carolingia di Ponthion, avviene un complicato baratto: l’incoronazione di Pipino e dei suoi figli in cambio dell’impegno a difendere la Chiesa contro i longobardi e a donarle le terre da questi strappate ai bizantini e, per sovrappiù, i ducati di Spoleto e di Benevento, la Venezia, l’Istria, parte della Corsica. La Chiesa si prepara a fare del primo re carolingio il proprio paladino in campo, mentre si profilano le inimicizie e gli scontri con i longobardi e, in prospettiva, con gli imperatori bizantini.


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