Ragione e passione, cervello e cuore, attenzione e sensibilità, statistiche e percezioni: il lavoro di uno scout NBA è un cocktail di elementi opposti e compatibili che rinfresca e complica i pensieri contorti e nebulosi dei dirigenti. Il business si intreccia allo sport, i calcoli del contratto collettivo si uniscono alle richieste degli allenatori, le speranze di vittoria si agganciano alle riflessioni economiche: solo le organizzazioni migliori riescono a trasformare le imbeccate dei loro osservatori in operazioni di successo.
PARSONS E I ROCKETS: UN ADDIO DIFFICILE – Idi di giugno. Daryl Morey e i suoi Houston Rockets suscitano le rispettose invidie di tutta la Lega: le firme estive di James Harden e Dwight Howard testimoniano il fascino della loro franchigia, le scoperte di Patrick Beverley e Chandler Parsons mostrano l’acume del loro scouting, gli “errori” di Jeremy Lin e Omer Asik stanno per diventare opportunità di espansione dello spazio salariale. Mentre la dirigenza sogna per più di qualche notte l’arrivo di LeBron James, corteggia Carmelo Anthony e pianifica l’approdo di Chris Bosh, Chandler Parsons attende segnali dai suoi mentori: l’ala classe 1988 sa che i “pezzi grossi” del mercato assorbiranno le attenzioni di Morey per più di qualche settimana, ma crede che le prestazioni del suo triennio fra i Razzi meritino parecchio credito. È reduce da una stagione da 16.6 punti, 5.5 rimbalzi e 4 assist di media a partita, ha raggiunto un ottimo 37% da tre punti e ha battuto il record della franchigia per triple segnate in una singola partita: niente male per la trentottesima scelta del Draft del 2011, tutt’altro che disprezzabile per un figlio della Florida che ha rischiato a più riprese di essere scambiato per un surfer o di essere ritenuto più adatto agli obiettivi delle macchine fotografiche che a quelli agonistici, estremamente conveniente per un ragazzo che ha portato a casa “solo” 926.500 dollari e si è affacciato alla restricted free agency con la chiara speranza di restare nella città della NASA e di percepire un salario adeguato al suo rendimento.
LA CORTE DEI MAVERICKS – Il tempo passa, Daryl Morey non si fa vivo, i grandi nomi si accasano altrove e i Dallas Mavericks presentano all’agente di Parsons un triennale da 46 milioni di dollari: Chandler firma e vacilla, attende la chiamata della sua dirigenza poiché spera che i Rockets pareggino quel foglio, ma vede che i granelli di sabbia scorrono sempre più rapidamente nella clessidra delle 72 ore e comincia a pensare che Houston non si fidi abbastanza delle sue qualità. Quando il limite scade, Chandler Parsons ringrazia i suoi ex-tifosi, raggiunge Mark Cuban e sorride alle strane leggi dell’estate 2014: mentre i big riflettono sui tagli e sui sacrifici economici, la nuova middle class della Lega si infila nei varchi della delusione e strappa contratti da favola alle franchigie che non hanno catturato i pesci più grossi. Nell’epicentro dell’economia texana Dirk Nowitzki guadagnerà 10 milioni, Parsons ne porterà a casa 15: è l’effetto-Gordon Hayward, una tendenza che è stata inaugurata da Jodie Meeks e che Lance Stephenson ha proseguito con la sua proverbiale carica di energia.
TROPPI SOLDI? – Anche se i proprietari spendono valanghe di dollari e vagoni di entusiasmo, le conseguenze di quest’ondata di contratti non sono prevedibili: i beneficiati confermeranno le aspettative che riempiranno le loro tasche e caricheranno le loro spalle? La storia dell’NBA è piena di giocatori che non sono riusciti a trasformare i loro stipendi faraonici in statistiche prodigiose o in trofei; dal talento incompiuto di Joe Johnson alle contraddizioni insolubili di Jermaine O’Neal, dalla flessione psico-fisica di Andrea Bargnani all’inadeguatezza strutturale di Carlos Boozer, dai tristi infortuni di Derrick Rose alla continuità impossibile di Amar’e Stoudemire, dalle prestazioni rapsodiche di Rashard Lewis – che si è appena legato ai Dallas Mavericks – ai contract years di Trevor Ariza: i giudizi sui free agent e le stagioni inaugurali dei salari più importanti nascondono insidie ineffabili e misteri irrisolvibili sulla candida superficie della carta. Chandler Parsons è un giocatore importante, ma non ha ancora dimostrato una continuità nel lungo periodo che giustifichi un ingaggio così pesante: la sua esperienza con i Florida Gators dimostra che la solidità del suo apporto tecnico e la forza della sua mentalità si sono dipanate sia attraverso le atmosfere appassionate del college basketball, sia fra le patine scintillanti della Lega professionistica più famosa del mondo; la versatilità del suo approccio, l’ottima attitudine al lavoro che ha mostrato negli anni di Houston e la capacità di colpire dai 7,25m depongono a suo favore e inducono molti a pensare che Rick Carlisle possa stimolare ulteriormente il suo orgoglio di underdog, ma i milioni di dollari che rimpingueranno il suo conto in banca rischiano di trasformare la serena furia che ha acceso i suoi occhi nei primi tre anni NBA in un’ansia angosciosa.
Un salario di prima fascia esige un rendimento da All Star e non contempla le esitazioni dell’adattamento; il pubblico di Dallas accenderà il suo occhio di bue e inseguirà la sua nuova ala con l’interessata attenzione che accompagna le grandi firme dello sport americano. La storia recente dei Mavericks richiede alle stelle in arrivo un impatto decisivo: Parsons dovrà riempire il vuoto lasciato da Shawn Marion e crivellare di triple i canestri avversari per non far sentire la mancanza di Vince Carter. Nella primavera del 2011 la poliedricità e la sagacia difensiva di The Matrix hanno spinto Mark Cuban e il suo splendido giocattolo lungo la parabola di un titolo tanto bello ed efficace quanto strano e inaspettato: nel giugno più dolce della Dallas cestistica il Larry O’Brien Trophy assomigliava sinistramente alla bizzarra catapulta balistica di Shawn Marion, brillava negli occhi di Jason Kidd e scintillava nel talento di Dirk Nowitzki. Il tedesco ha continuato a segnare senza soluzione di continuità e Tyson Chandler è tornato a riempire l’area dell’American Airlines Center, ma la perdita di Vinsanity potrebbe lasciare strascichi importanti: Parsons si impegnerà a fondo per non far rimpiangere la sua impennata-Playoffs e per offrire bersagli invitanti ai (pochi) scarichi di Monta Ellis.
Basterà? Per scoprirlo non resta che aspettare con impazienza l’avvio di una delle stagioni più intriganti di sempre.