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Che cosa è successo sull’Airbus A380 della Germanwings?

Da Psiconauta

A380Quanti di voi hanno notato una una inquietante similitudine tra quanto accaduto all’Airbus Germanwings e la trama del film prodotto da Pedro Almodovar dal titolo “Storie Pazzesche“? In uno degli episodi del film di Damian Szifron un pilota di linea decide di suicidarsi proprio facendo schiantare il suo aereo, dopo essersi barricato all’interno della cabina di pilotaggio. Nel mondo reale vi sono diversi precedenti andando a ricercare nella storia dell’aviazione. Il primo che sono riuscito a reperire è accaduto il 9 febbraio del 1982 quando un DC-8 della Japan air lines è stato fatto precipitare in mare appena prima dell’atterraggio all’aeroporto di Tokyo dal comandante Seiji Katagiri il quale, secondo la commissione dell’epoca, avrebbe sofferto di disturbi nervosi. Nell’agosto del 1994, un volo della Royal Air Maroc, con 44 persone a bordo, diretto a Casablancafu fatto precipitare deliberatamente dal comandante Younis Khayati. Il 19 dicembre del 1997 un Boeing 737 diretto a Singapore cadde all’improvviso a Palembang, in Indonesia. La commissione d’inchiesta rivelò che fu il comandante, colpito da problemi finanziari e da “oscure” vicende personali, il responsabile della distruzione del velivolo. Ancora un grande episodio documentato risale al 1999: un volo della EgyptAir, che percorreva la tratta New York – Cairo con 217 persone a bordo, fu fatto precipitare nell’Oceano Atlantico subito dopo il decollo da Gameel El-Batouty, il co-pilota il quale, secondo gli inquirenti americani avrebbe manifestato propositi suicidi nel periodo precedente. Infine il 29 ottobre del 2013 un volo dal Mozambico all’Angola con a bordo 27 passeggeri e 6 membri dell’equipaggio fu fatto cadere “volontariamente” dal pilota. Oltre ai casi maggiori vi sono anche alcuni episodi minori: per l’episodio del Pirellone, il 18 aprile del 2002, in cui vi furono 3 vittime si ritenne verosimile l’ipotesi del suicidio dato che a pilotare il velivolo c’era un uomo rovinato finanziariamente, forse a causa di una truffa. Andando ancora più indietro nel tempo nel 1976 un pilota russo fece schiantare un velivolo da lui pilotato sull’abitazione dell’ex moglie: nell’impatto morirono 11 persone.  Esiste un database dell’Aviation safety network che raccoglie i casi di disastri aerei in qualche maniera correlabili ad eventi di volontaria distruzione. L’episodio dell’airbus A380 della Germanwings sembrerebbe appartenere a questa triste raccolta di eventi. Il pm di Marsiglia Brice Robin avrebbe affermato che “Ci si suicida da soli, non quando si ha la responsabilità della vita di 150 persone. Per questo non ho usato il termine di suicidio”. Questa è una prima affermazione che va discussa se si vuole provare a far luce su di un evento così tragico. Infatti è l’esatto opposto: non ci si suicida mai da soli. In ogni suicidio vi è una quota altissima di aggressività rivolta agli altri insita nel gesto in se. Quale suicida tiene in considerazione l’angoscia e la tristezza che rimarrà nelle persone a lui legate, amici o famigliari, dopo il suo gesto? Inoltre, per muoversi su elementi ancora più banali, quale suicida che, ad esempio, si lancia giù da una finestra, tiene in conto delle persone che sono giù in strada sulle quali impatterà? Quale suicida che apre il gas in casa ha l’accortezza di prevedere una eventuale esplosione del palazzo in cui abita? L’aneddotica al riguardo è tutt’altro che scarna. Inoltre quello avvenuto sul velivolo della Germanwings non è stato un gesto connotato da impulsività. Secondo la ricostruzione sempre fornita dal pm di Marsiglia “Nei primi 20 minuti, gli scambi verbali tra i piloti sono stati normali, cordiali, non c’è nulla di anomalo. Poi si sente il comandante che chiede al copilota di prendere il comando e si sente il rumore di un sedile che si ritira e la porta che si richiude”, ha raccontato Robin. È in quel momento che il copilota, rimasto “solo al comando” dell’aereo, “manipola i bottoni per azionare la discesa”. “L’azione”, sottolinea il pm, “non può che essere volontaria”. Il passaggio dalla quota di crociera a quella dell’impatto ha richiesto molti minuti come documentato dalla scatola nera. Questa dinamica elimina completamente l’elemento dell’impulsività suicidaria, che è la dimensione più frequente nei gesti autolesivi o, più in generali, distruttivi e aggressivi. Il co-pilota ha avuto tutto il tempo di udire le urla delle altre persone ed i richiami del primo pilota che bussava per tentare di rientrare in cabina di pilotaggio. Che cosa è accaduto quindi a questa persona? Vorrei essere volontariamente asettico, scientifico e algido nell’esporvi il mio punto di vista, in un momento in cui il tasso di emotività è altissimo. I meccanismi psicologici che sottendono il comportamento di un suicida sono molto simili a quelli presenti in altre forme di comportamento auto od etero-distruttivodistruttivo, come l’utilizzo di droghe o alcool, la guida pericolosa, o i più frequenti comportamenti aggressivi antisociali. Le esperienze traumatiche infantili, soprattutto le sofferenze derivanti da famiglie disgregate o dalla perdita dei genitori, sono significativamente più comuni tra le persone con una tendenza al comportamento autodistruttivo, forse perché queste persone sono più predisposte ad avere difficoltà a impostare rapporti stabili, sicuri, significativi. La depressione è implicata in oltre la metà di tutti i tentati suicidi, ma non sembra essere questo il caso poiché una persona autenticamente depressa ha un comportamento, dei segni psichici e fisici che vengono rilevati dagli altri e dai famosi tests psicoattitudinali a cui sono sottoposti i piloti. Anche gli individui con disturbi della personalità sono predisposti ai tentativi di suicidio. In particolare modo gli individui immaturi da un punto di vista emotivo, che tollerano poco le frustrazioni e reagiscono allo stress con aggressività, violenza e rivendicatività rivolta a tutto e tutti. L’incapacità di creare relazioni mature e durature può condurre, nel corso della vita, alla riduzione delle opportunità sociali, a solitudine e a tristezza esistenziale anche in persone apparentemente realizzate e soddisfatte. In tali individui, i fattori precipitanti sono gli stress causati dalla rottura delle relazioni e alla fatica a stabilirne di nuove. Il co-pilota della Germanwings sembrerebbe aver avuto un episodio in passato di “burnout”, neppure di vera depressione, in cui si sarebbe rifugiato in una attività fisica esasperata (lo definivano un fanatico del fitness). Il suicidio, perlomeno quello pianificato a lungo, non impulsivo e poco correlato a disturbi veri dell’affettività, ha quindi anche delle dimensioni esistenziali, di vendetta e di reazione ad un senso di profonda insoddisfazione esistenziale. La persona che medita sul proprio suicidio si sente vuota, spenta e vive senza dare senso alla vita. Dietro la normalità vissuta, si nasconde sempre una totale insoddisfazione ed un profondo cinismo nei riguardi degli eventi della vita. In questi casi non è presente una conclamata disperazione comunicata al mondo, ma uno strisciante andamento esistenziale non appagante, poco esaltante legato ad una personale aridità, ad una evidente incapacità di innamorarsi della realtà. Un suicida su sei lascia uno scritto e le parole che vengono lasciate riguardano le relazioni interpersonali e gli eventi che faranno seguito alla morte del soggetto. Gli scritti delle persone più giovani possono esprimere rabbia o persino rivendicatività. Dato che il contenuto può essere indicativo delle dimensioni psichiche che ha condotto all’atto suicida, sarà inevitabile la ricerca di qualche traccia in questa direzione anche se, inevitabilmente, una così alta quota di dolore generata da questo evento non potrà che essere indissolubilmente legata ad una altrettanto alta quota di mistero e di non comprensibilità.


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