Napoli, la Galleria Umberto I
Compiango sinceramente i musicofili che - per ragioni anagrafiche - non hanno fatto in tempo a sperimentare cosa fosse davvero un negozio di dischi. E non mi riferisco, sia chiaro, alle grandi, asettiche, tristissime grandi superfici di distribuzione che si diffusero nel corso degli anni '90 e che oggi scompaiono (niente affatto rimpiante), soppiantate da Amazon e iTunes. No, io parlo dei veri negozi di dischi, quelli nei quali spesso titolare e commessi erano a loro volta degli appassionati, e che oltre alla funzione strettamente commerciale assolvevano anche al ruolo di luogo di ritrovo e di scambio di informazioni fra adepti. A Napoli nei miei anni universitari nella sola Galleria Umberto c'erano addirittura due negozi del genere: Ricordi e Luxor Radio. Erano posti che a me all'epoca apparivano magici, stipati e odorosi di dischi in vinile che all'epoca ancora abbondavano, e nei quali si potevano facilmente perdere intere mattinate passando da uno scaffale all'altro o prestando orecchio alle conversazioni che vi si tenevano. Me ne è rimasta impressa una fra due signori di mezza età elegantemente vestiti che dibattevano su quale fosse il miglior duca di Mantova fra Pavarotti e Alfredo Kraus: ricordo che il paladino di quest'ultimo si riferiva sprezzantemente a Pavarotti definendolo "'o chiattone c'a bbarba longa".Fu appunto in uno di questi antri fatati che ebbe luogo il mio primo contatto col progetto (che all'epoca si era concluso da poco o volgeva alla conclusione) di incisione integrale delle sinfonie di Mozart edita da Decca (nella benemerita collana delle Editions de l'Oiseau-Lyre) e affidata alla Academy of Ancient Music sotto la guida di Jaap Schroeder e Christopher Hogwood.
Pochi sono stati nella mia carriera di ascoltatore gli shock culturali paragonabili a quello che sperimentai quando inserii per la prima volta nel lettore uno dei CD tratti dal cofanetto che vedete riprodotto qui a fianco: ricordo ancora che si trattava della sinfonia n. 39, K543. L'adagio introduttivo, che conoscevo nella versione levigata, ieratica, solenne di Karajan, diventava qualcosa che ricordava molto da vicino le ouverture "in stylo francese" di Bach. Le differenziazioni dinamiche erano marcate da transizioni brusche, il sound orchestrale era un brulicare di timbri chiaramente differenziati anzichè fusi in un unicum totalizzante. E lo shock proseguì sia durante i successivi ascolti sia durante la lettura del libretto che accompagnava i CD: non era il solito saggio di letteratura agiografico-immaginifica sulle recondite bellezze dell'universo mozartiana, ma un autentico studio di filologia nel quale per ogni sinfonia si cercava di risalire al contesto nel quale era nata, alle modalità della prima esecuzione, finanche all'organico e alla disposizione dell'orchestra cui era destinata. Era un Mozart calato dal piedistallo, lontano dal cliché del divin fanciullo: era un fenomeno umano che si cercava di capire e spiegare con mezzi umani. Quelle note di copertina tanto straordinarie erano opera di un grande musicologo americano, Neal Zaslaw, che a seguito di questa esperienza raccolse ed ampliò il materiale scritto per la circostanza e diede alle stampe quello che rimane un esempio insuperato di saggio critico mozartiano: il volume Mozart's Symphonies - Context, Performance Practice, Reception.
Nei ringraziamenti posti in esergo al libro, Zaslaw riconosce il suo debito nei confronti del progetto discografico con queste parole:
Raramente uno studioso di prassi esecutive si è trovato in una posizione migliore di quella nella quale mi sono trovato io, con musicisti di prim'ordine nel numero che io avevo determinato, seduti secondo le disposizioni orchestrali che io avevo suggerito e che suonavano strumenti d'epoca con piena cognizione di causa. Era come se uno storico che stesse studiando diciamo la battaglia di Waterloo fosse stato in grado di valutare gli effetti che un mutamento degli ordini, o l'aggiunta della cavalleria qui o dell'artiglieria lì avesse avuto sul seguito e sull'esito della battaglia.
E in effetti il libro di Zaslaw e l'integrale di Hogwood costituiscono un esempio a mia conoscenza unico di saggio musicologico nel quale le parole e i suoni siano usati coerentemente per capire e illuminare.
Ma in questa ricerca tanto puntigliosa, in questa acribia filologica non c'è traccia di aridità: tutto alla fine si spiega e si giustifica sulla base del dato musicale. Suonare la sinfonia n. 38 Praga col ridottissimo organico per cui era stata concepita non è un esercizio di stile fine a sé stesso: in questo modo le linee interne, inevitabilmente perse in una esecuzione con forze più nutrite, riacquistano la leggibilità e la trasparenza che Mozart aveva per loro in mente durante la stesura del brano; o al contrario, gli impasti densi dei fiati della sinfonia K297 Parigi vengono valorizzati quando l'orchestra ha le ragguardevoli dimensioni e la peculiare composizione delle orchestre francesi dell'epoca.
Questo dittico costituisce insomma uno spartiacque, una sorta di ne varietur delle sinfonie mozartiane, qualcosa di cui qualunque interprete e qualunque ascoltatore minimamente avvertito non può non tenere in considerazione, anche se si propone di andare oltre.
Christopher Hogwood, 1938-2014
Christopher Hogwood, studioso, didatta, tastierista, direttore d'orchestra, è venuto a mancare lo scorso 24 settembre.E queste righe vogliono essere un omaggio a una figura luminosa dell'interpretazione musicale degli scorsi decenni. Un musicista che - come tutti i grandi interpreti - ha sempre messo sé stesso al servizio della musica che interpretava e ha profuso in essa i tesori di conoscenza accumulati in un'intera esistenza di studi e di ricerche.
Trent'anni dopo la loro prima apparizione, le sinfonie mozartiane dirette da Hogwood non hanno perso un grammo del loro smalto, della loro brillantezza, della loro capacità di stupire e catturare l'ascoltatore. Sono un lascito perenne di bellezza per tutte le future generazioni di appassionati.