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Colpisci il lettore

Da Marcofre

Col­pisci il lettore ma non fargli mai ca­pire cosa lo ha colpito; se lui capisce cosa l’ha colpito, non riuscirai più a colpirlo di nuovo.

A parlare così è Flannery O’Connor.
Spesso l’esordiente va a caccia della strategia migliore per scrivere in modo efficace. Per questa ragione legge libri sulla scrittura, e desidera disperatamente (o quasi) carpire i segreti dei suoi autori preferiti. Persuaso che una volta scoperto il Santo Graal, sarà discesa; o almeno una salita meno dura.

In realtà quello che onestamente si deve spiegare (e che per esempio solo le migliori scuole di scrittura insegnano), è che si può indicare il bagagliaio, i vestiti e a grandi linee il percorso. Ma il cammino deve essere del tutto personale.
Dopo aver letto il consiglio di Flannery O’Connor abbiamo forse le idee più chiare? Ci ha indicato il come? Cosa diavolo vuol dire Colpisci il lettore?

Forse devo costruire incipit al fulmicotone? Ma allora il consiglio vale solo per chi scrive romanzi d’azione, thriller e horror? E se non bazzico nessuno di questi generi, come faccio a colpire chicchessia?
Il bello della narrativa è che ciascuno è libero di perseguire il suo obiettivo come desidera, purché l’obiettivo esista. La O’Connor si limita a indicare come si dovrebbe agire, ma più in là non è possibile procedere. Però possiamo ragionare su quel poco che ci viene fornito.

Il lettore: costui (ma in realtà dovrei scrivere costei: sono le donne a leggere), vive calato in una realtà, lasciamo perdere se bella o brutta. Poi apre un libro (o accende un lettore di ebook). Non è detto che aspiri a un autore che denunci e proclami nuove verità, anzi. Questo genere di libri sono i meno interessanti, e dotati di minor respiro, o vita. Il colpo non è detto che sia un incipit “forte”, uno sviluppo spettacolare. Nemmeno un argomento scabroso. Forse, è lo sguardo dell’autore nitido e consapevole. Solo quello permette di colpire.

Quando si comincia a scrivere, spesso si butta giù e si procede a casaccio. Se si è esordienti, si vive questa condizione come fosse la prova che si è proprio nati per scrivere. Si termina, si impacchetta e si pubblica su Amazon, oppure si va all’assalto di un editore, uno qualsiasi.

Se si matura (spesso non accade), si scrive, poi si riscrive, e si riscrive, e si riscrive, e si riscrive… È come se si recuperasse un relitto che giace in fondo al mare. Riportato all’aria occorre quindi tirarlo in secca e lavoraci per far sì che torni a solcare gli oceani.

Per arrivare a questo stato diventa però indispensabile trovare la direzione, e per un lungo tratto mentre si scrive ci si chiede: “E poi?”. Non si ha alcuna idea di come chiudere, o come procedere con la storia. C’è forse un incipit, e una manciata di immagini. Basta.

Quando finalmente tutto o almeno si fissano i cardini, allora la storia assume una forza nuova. Non è ancora in grado di flettere davvero i muscoli, e nemmeno di colpire; però si muove e comincia a respirare. Il sangue inizia a circolare nelle vene, nelle arterie, il pallore cadaverico della creatura si dissolve in un colore più vivo. La storia, racconto o romanzo che sia, muove i suoi primi passi: insicuri, ci impiega un tempo enorme a schiodarsi da dove si trova. Ma c’è.

Per questo motivo si ricomincia a riscrivere (monotono vero?), e si eliminano senza pietà tutti quei lacci che impediscono alla creatura di muoversi, e di colpire, finalmente.

Quello che mi sento dire è perciò di una semplicità sconcertante: sii il segugio della tua storia. Seguila, e quando hai scovato la perla che nasconde, ricomincia. Riscrivi: dialoghi, incipit. Non affezionarti alle prima righe perché sono state… le prime. Devi colpire il lettore e se sono d’inciampo, via. Non puoi restare legato a qualcosa per ragioni affettive, perché finirebbe per immobilizzare la storia. Questa invece la devi slegare e scatenare.


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