Magazine Cucina

Come diventare esperti di vino in 20 minuti

Da Lollychant @rossellaneri

Cena con gli amici: al terzo bicchiere di vino un commensale comincia a utilizzare espressioni come “sentori di criceto in gabbia” o “effluvi di calzini sporchi”. Voi arrivate perfino a dire: “Il rosso cerasuolo e l’intenso bouquet avevano lasciato intendere un sapore più robusto, ma l’esame gustativo ha rivelato un vino muto, con una forte nota umami”. Tranquilli, forse non sono solo gli effluvi dell’alcool, forse avete preso la malattia del secolo: l’enologia. Ormai è chiaro i beoni sono roba superata, ora ci sono i wine lovers. E se l’esercito dei degustatori/intenditori di vino un po’ di invidia ve la fa, sappiate che un modo di uscirne salvi c’è, con un po’ di faccia tosta e qualche dritta per andare a colpo sicuro.

Soprattutto un po’ di francese.
Gli ingredienti del vino hanno il loro nome, da ripetere dieci volte davanti allo specchio prima di uscire a cena con l’amico intenditore (ovviamente sarebbe meglio dire connaisseur).
Guai a dire terreno, in enologia si parla di terroir, che ovviamente ha tutte altre caratteristiche organolettiche rispetto alla ‘volgare’ terra. Se sul terroir ci sono dei vigneti tutti dedicati a un unico vino, quello diventa un cru (sono cru la zona dello Champagne o la Borgogna). Il cru si divide per prestigio in Grand Cru, Premier Cru e così via.
Se avete la fortuna di avere un’azienda vinicola da queste parti (ed è un gran fortuna) potete dire di avere un domain o un clos. Ma se invece il vino lo comprate e basta, badate bene ad apprezzarne il bouquet (dire “odore” è molto parvenu). Se poi prendete uno spumante, parlate di metodo champenoise, che si chiama Charmat solo se avviene in autoclave. Attenzione: solo in questo caso usare varianti local potrebbe conferirvi una nota di merito. Se volete
lo Champagne, potete parlare anche di metodo classico; ma se i vostri amici sono dei campanilisti preferite il Prosecco (sempre spumante, ma fermentato con un metodo diverso).
Per il rosso orientatevi sempre su un barrique, che è il vino invecchiato in botti di rovere, costa di più e va tanto di moda. Se preferite i passiti, andate sul sicuro ed etichettateli moelleux.

Abbinamenti.
La prima pietanza ad aprire le porte a un abbinamento eretico fu la pizza, poi venne la volta del pesce col vino rosso, oggi tocca al sushi.
Per abbinare i vini in modo corretto c’è una regola fondamentale: il vino si scelgie non per affinità col gusto del cibo ma per opposizione. Il che vuol dire che se al ristorante ordinate lo stracotto di agnello con le olive e ci bevete un frizzantino bianco, o (apriti cielo) un novello, sarete definitivamente espulsi dalla confraternita dei degustatori/intenditori di cui sopra.
Altra dritta è quella freddo/caldo, che risale addirittura al medioevo: antipasti crudi con bianchi ghiacciati (tutti gli Champagne e i Prosecchi), rosso caldo (va bene un Bordeaux) con le carni e i formaggi, e un passito (dalla Malvasia al Recioto) con i dolci.
Ricordate sempre che se in Francia non ordinate il Sauternes con il foie gras vi cacciano da qualsiasi ristorante. Se invece siete al giapponese e volete proprio metterli in imbarazzo avete due scelte. La prima è chiedere se hanno il Sushiwine, il vino creato dal viticoltore della Loira, Bernard Germain, appositamente per accompagnare sushi e sashimi. Altrimenti chiedete il vino di Koshu, il vitigno autoctono del Giappone. E sperate che la prendano in ridere.

L’etichetta.
Saper leggere l’etichetta è fondamentale, allora cominciamo dalle basi.
I.G.T., D.O.C., D.O.C.G. non sono le sigle di un linguaggio cifrato per giovani utenti di sms, si tratta delle denominazioni più usate per classificare la qualità dei vini e possono essere accompagnate dalla indicazione del vigneto (o cru). Se poi il vino è da superstar ci troverete anche l’annata e l’indicazione “riserva”, che indica un vino con un periodo di invecchiamento più lungo rispetto a quello previsto dal disciplinare (sì, esiste un disciplinare). State sicuri che un’etichetta così, ordinata al ristorante, vi prosciuga il conto in banca.

Il momento della verità.
E’ arrivato il momento. Seduti al ristorante il sommelier vi porta un vino e avete deciso: per una volta volete prendervi il gusto di rimandarlo indietro.
Che dire per dargliela a bere e dimostragli che ne sapete assai? Calma. Innanzi tutto andate per gradi: prima il vino si guarda, poi si annusa, poi si assaggia e occhio al bicchiere: la mano va tenuta sul piede, e va agitato solo nel caso si tratti di un rosso.

Caso n. 1 : è arrivato un rosso.
All’esame visivo andate sul sicuro, potete dire che è il colore è spento, o addirittura torbido, e se volete stendere il sommelier ditegli che le sfumature purpureo violacee sono proprie di un vino giovane e non della riserva che avevate ordinato. Poi agitate il bicchiere, ficcateci dentro il naso e dite: “Il bouquet è svanito e vagamente acetoso con forti note di putrido”. Se il sommelier ancora non è svenuto sferrate il colpo finale, date una sorsatina e con faccia schifata. “sa anche un po’ di rancido, deve aver preso la filante” (malattia del vino n.d.r.).

Caso n. 2: è arrivato un bianco frizzante
Prima cosa da fare è sicuramente parlare di perlage. Peggio non può andare: le bollicine sono grossolane e molto scarse con una eccessiva rapidità di risalita e una persistenza a dir poco evanescente. Il colore di una volgarità del genere sarà sicuramente verdolino, e (mon dieu) torbido. Dopo una solenne annusata sbizzarritevi pure: potrebbe sapere di smalto per unghie, di lievito o di farina, o anche di pipì di gatto (che è l’odore tipico dei Sauvignon). Breve assaggio e preparatevi al gran finale: “Provoca un pizzicore irritante e il retrogusto è eccessivamente sapido”.
Questo articolo è apparso su 2night magazine a marzo 2009.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :