Dopo un incipit diventa necessario mettere in moto la storia. Ci sono un’infinità di modi ovviamente. Nel Racconto “La casa di Chef” dopo poche righe ci si rende conto che tutto viene narrato dal punto di vista di una donna.
Questo Wes che incontriamo all’inizio del racconto, chiama Edna al telefono più di una volta. Vuole che si rimettano assieme, ma lei tergiversa.
Gli ho detto: Ci penso un po’ su. Ed è quello che ho fatto.
Non si arrende Wes:
Lui ha detto: Ricominciamo tutto da capo.
Questo però non è sufficiente per Edna. In un certo senso, alza la posta:
Allora gli ho detto: Voglio che cerchi di essere il Wes di una volta. Il vecchio Wes. Il Wes che ho sposato. Wes si è messo a piangere (…).
In inglese:
I said, I want you to try and be the Wes I used to know.The old Wes. The Wes I married. Wes began to cry (…)
Fermiamoci perché c’è parecchio da capire e da imparare. Stiamo leggendo la prima pagina di questo racconto, non ci siamo spostati di molto.
Parlare di quello che i protagonisti hanno vissuto è una scelta complicata. Nel nostro caso, Carver riesce in una manciata di righe ad adombrare quello che è accaduto alla coppia. Più avanti ci saranno altri particolari (hanno due figli che però conducono la loro vita distante dai genitori; si scopre che Chef ha gettato via la fede matrimoniale).
Come riuscire a rendere in maniera efficace la lacerazione che si è prodotta tra marito e moglie? Basta non parlarne direttamente. Sembra facile vero?
Voglio che cerchi di essere il Wes di una volta. Il vecchio Wes. Il Wes che ho sposato.
Carver risolve così la sfida. Poteva avvitarsi in una descrizione delle liti (delle botte?) tra i due; bastava descriverne una. Ma è troppo doloroso per lei (che parla). Preferisce allora fare ricorso ai bei ricordi di loro due, a quando la coppia c’era, funzionava. Lui Wes c’era.
Il vecchio Wes. Il Wes che ho sposato.
Nessuna recriminazione, solo una richiesta, un impegno. È come se lei dicesse: C’è un Wes che mi ha cacciato, mi ha costretto ad allontanarmi. Rivoglio quello che ho sposato. Almeno provaci.
Spesso l’efficacia non è nel descrivere in modo asciutto cosa c’è stato tra due persone, o nel rendere in modo perfetto una certa esperienza. Esiste la tentazione di narrare troppo; soprattutto nel racconto. Nel tentativo di rendere situazioni e personaggi convincenti, si finisce con lo scrivere, scrivere, scrivere. La storia si appesantisce e noi non ce ne rendiamo conto.
Se siamo fortunati, ci penserà un editor a mettere a posto le cose.
Non ci sono regole, lo ribadisco. Per questo è bene ricordare che non c’è UN modo di rendere esperienze o situazioni, ma TANTI modi. E probabilmente il migliore è quello che passa attraverso la sottrazione. La cancellazione.
Ci si arriva credo, quando si è innamorati della parola. Allora, lo scopo che si desidera raggiungere è realizzare la vera efficacia. In quale maniera?
Prova ad agire in questo modo. Prendi un paragrafo lungo, che ti sembra riuscito, dove per esempio parli nel dettaglio di un’esperienza che hai vissuto, e che ti ha cambiato.
Ed eliminalo. Cancellalo.
Non devi riscriverlo togliendo qualche aggettivo o avverbio; sarebbe troppo semplice. Devi proprio cancellarlo.
Ripuliscilo della tua esperienza. Riducilo ai minimi termini, all’essenza. Ma questo non basta ancora, sia chiaro.
Non scrivere di ciò che ricordi, che hai visto o provato; dell’esperienza appunto. Puoi mantenerla sullo sfondo, ma cerca di superarla. Sforzati di rendere tangibile la nostalgia per quello che è accaduto. Narrare non è compilare una lista delle cose capitate.
Spesso raccontare una storia significa prendere la propria esperienza, sollevarla (o spostarla), e osservare quello che si nasconde dietro.
Nel racconto di Carver, Edna non fa parola di quello che è accaduto tra loro due, e che li ha condotti alla separazione. Sposta la sua esperienza (dolorosa), e osserva quello che c’è dietro. Il vecchio Wes appunto, di cui ha nostalgia.
Come leggere un racconto – Lezione Uno