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‘Come si può essere pagani?’

Creato il 23 agosto 2011 da Ussaro @PierNicoOrnano

- Un’opinione di Giovanni sessa sul libro di Alain de Benoist -

Ho avuto il piacere e l’onore – racconta lo stesso Sessa – di curare, per i tipi dell’editore Settimo Sigillo, la nuova edizione italiana del libro “Come si può essere pagani?” di Alain de Benoist, uscito in Francia nel 1981 e la cui prima ed unica edizione italiana risale al 1984. Si tratta di un saggio provocatorio e audace, con il quale il filosofo francese rispose, dopo un secolo e mezzo, a Chateaubriand, l’autore del Genio del cristianesimo, e alle problematiche filosofico-religiose da questi sollevate, con lo scopo di mettere in luce limiti, contraddizioni e gli esiti totalitari, prodotti dalla visione del mondo monoteistica. Un anno dopo la pubblicazione del testo debenoistiano, che suscitò in Europa un ampio dibattito (uscirono solo in Francia oltre cento recensioni), nel 1982, fu pubblicato sullo stesso argomento un volume di Marc Augé, filosofo di formazione opposta a quella del fondatore della “Nouvelle Droite”, intitolato Genio del paganesimo. In esso si discutevano le tesi di de Benoist. Da allora, il libro in questione è divenuto un classico della filosofia europea contemporanea. L’esegesi del mondo precristiano, contenuta nel testo del pensatore transalpino, come cerco di mostrare nell’ampia prefazione, è una filosofia dell’originario che si definisce su tre elementi portanti: 1) una valorizzazione del nominalismo; 2) un recupero del tragico, mediato attraverso Nietzsche; 3) la difesa delle pluralità, delle differenze, della tolleranza fondata sul “politeismo” dei valori, così come si è storicamente manifestato nella religione arcaica d’Europa, in contrapposizione alla vocazione monocausale espressa dalla cultura giudeo-cristiana. Questa, in epoca moderna, attraverso un processo di secolarizzazione, ha prodotto le esperienze totalitarie. Infatti, ci ricorda de Benoist, nell’età classica, il mondo era il luogo per eccellenza della manifestazione del sacro, la sua dimensione spaziale che mostrava compitezza e, quindi, bellezza. Con l’irruzione delle visioni monoteiste, il reale fu degradato a mero simulacro del sovramondo: l’uomo si pose in ascolto della parola di Dio e operò, quale sua immagine, per adeguare il mondo alla realtà divina. Il filosofo, in quest’opera recupera quella che Eric Voegelin definìl’esperienza classica della ragione. La sua  lettura è, inoltre, originale, poiché interpreta il mondo antico al femminile, sotto il segno di Dioniso, del dio che muore e risorge, in sintonia con gli studi più recenti, condotti su questo tema, a partire da quelli di Giorgio Colli, Angelo Sodano e Andrea Emo. Si rileva, un’evidente diffidenza per i culti olimpico-paternalistici, in quanto questi rappresentano la reale matrice delle visioni monoteistiche. Momento centrale del libro è l’interpretazione del tempo e della storia nel mondo antico, secondo una prospettiva sferica, e non semplicemente ciclica. In essa, passato e futuro co-appartengono al presente, rendendo la Tradizione, non una dimensione definitivamente collocata alle nostre spalle, in un lontano passato, ma come il sempre possibile. Questa tesi di de Benoist, ci pare aver definitivamente liberato il pensiero del tradizionalismo integrale, di un Evola ad esempio, dall’incapacitante depoliticizzazione e destoricizzazione, individuata da qualche accorto interprete. Nella nuova edizione, oltre alla mia prefazione, il lettore troverà una nuova traduzione dell’opera e un’Appendice, che mancava nella precedente edizione. Si tratta di un’intervista al filosofo, raccolta da Charles Champetier e pubblicata sulla rivista Eléments nel 1997. In essa, de Benoist distingue nettamente il proprio “paganesimo” filosofico”, fortemente influenzato da Heidegger, da quello praticato da sette o gruppi che, a voler essere generosi, possono essere definiti folcloristici. Inoltre, tra le altre cose, egli dimostra che il nazismo, non ha avuto nulla a che fare con il “paganesimo”: anzi, come ben esemplificato da uno dei suoi motti più scellerati: “Un capo, un popolo, un Impero”,  è stato una delle più coerenti manifestazioni moderne della

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mentalità universalista e monocausale>, conclude Sessa.

(Da Dimmi di più.it, 6 maggio 2011)


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