Qualcosa di intravisto con la coda dell’occhio, di sfuggita.
Nel libro “Il mestiere di scrivere” di Raymond Carver, lo scrittore statunitense riporta questa frase, di V.S. Pritchett, per dare una definizione di racconto. E qui troviamo sia la forza che la debolezza di questa forma di raccontare.
Quello che ci sfiora, sembra sempre qualcosa di poco importante, sul punto di essere inghiottito dall’indifferenza. O dalla fretta. Forse per questa ragione i racconti sono sempre stati considerati meno importanti del romanzo. Perché impegnarsi su qualcosa di tanto minuto? La risposta potrebbe essere: “Al diavolo, non c’è niente di tanto piccolo che non abbia valore”.
Tocca solo mettersi al lavoro, rimboccarsi le maniche.
Occorre una capacità un poco differente per acchiappare quell’attimo, e procedere.
In passato ho già parlato di “caccia” nel riferirmi al racconto: quando si intravede qualcosa, è necessario mollare tutto e correre nella selva. All’inseguimento della preda.
Domanda: ma se il racconto è un inseguimento, una sorta di battuta di caccia, allora il romanzo è una specie di safari? Non ne ho idea, ma di sicuro è una brutta gatta da pelare.
La stesura di un racconto richiede una straordinaria capacità nello sviluppare quello che si intravede. Si deve fare silenzio, osservare per recuperare i pochi elementi a disposizione. Non è necessario che siano molti, solo quelli giusti (se fossero quelli sbagliati… la nostra attenzione non sarebbe stata attirata, giusto?).
Per questo si dice che una delle caratteristiche della lingua da usare è l’efficacia. Visto la scarsità di materiale che si ha a disposizione, il rischio di danneggiarlo è sempre alto. Di perderlo pure.
In un caso del genere (quando cioè si è compromessa la storia), è possibile recuperare qualcosa? Non saprei. La mia idea è che non esista un modo per riportare in vita, o alla condizione precedente, ciò che si è rovinato. Se si sbaglia tono, se non si riesce a essere precisi e onesti, alla fine saremo alle prese con una storia mancata.
Meglio lasciarla andare, far tesoro degli errori e tentare di fare meglio la prossima volta.