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Conversazioni in università: vicine di culla

Creato il 06 dicembre 2011 da Unarosaverde

Lezione di Scienza delle Costruzioni. Da quando frequento ingegneria mi sembra di avere il cervello imbottito d’ovatta. Non entra e non esce più niente, non sono più quella brava: ascolto le lezioni e mi pare di abitare una terra straniera. Sono seduta in prima fila: potrei essere in fondo, a guardare il soffitto, non cambierebbero i risultati. Ricopio i lucidi delle lezioni, prendo appunti accurati, poco filtra fino allo stadio della consapevolezza. Sfoglio sotto il banco l’inserto di un quotidiano. La ragazza seduta vicino a me (è nuova del gruppo: lo so perché siamo una decina di donne in quest’aula di trecento persone e non possiamo ignorarci. Ha l’aria di una che invece la lezione la sta seguendo benissimo ) si sporge e mi dice:

“Mi leggi l’oroscopo?”

“Certo, di che segno sei?”

“Scorpione.”

“Dai! – le dico – anche io”

“Davvero? Quando sei nata?”

“Il 26 ottobre del 1972″.

“Ehi! Anche io. Dove?”

“All’ospedale di B.”

“Non ci credo. Pure io!  ….Eravamo vicine di culla! Non mi ricordo di te però!

“Sai, sono stata lì per poche ore, poi mi hanno portato via d’urgenza perché ero diventata tutta gialla…” …blah, blah, blah…

Voi ce l’avete un vicino di culla? Vi assomiglia, anche solo in piccola parte? Sono passati quasi vent’anni da questa conversazione e la mia vicina di culla ed io siamo ancora amiche. Ci vediamo pochissimo: proviamo ad organizzarci ma, a volte, sessanta chilometri possono essere insormontabili negli impegni delle nostre vite. La settimana scorsa, sapendo che nel tardo pomeriggio di oggi sarei passata dalla città, le ho proposto un aperitivo. Ci abbiamo impiegato tre secondi ad annullare i tre anni dall’ultimo incontro e a far diventare l’aperitivo una cena, alla faccia della mia lezione di spagnolo e del suo compagno che l’aspettava a casa. Esistono amicizie così, con cui si riannodano i fili solo a guardarsi e la conversazione riprende dal punto esatto in cui era stata lasciata.

Lei è la parte logica e brillante che spesso, negli anni dell’università, ho desiderato essere. Lei è arrivata veloce nei luoghi verso cui  io ho impiegato anni ad arrampicarmi. E’ un ingegnere vero, razionale, ma è anche una donna, con tutti gli annessi e connessi del genere. Lei è la brutalità e la schiettezza, lei arriva  attraverso la lucida osservazione delle cose del mondo alle stesse conclusioni a cui io giungo per le lunghe vie dei libri e per i miei annidati pensieri. Io le riferisco una mia conclusione e lei me le riassume, in sintesi, con lo stesso significato: nella sua testa sono già informazioni acquisite da tempo. Lei, come me, non ha mai temuto di dare un nome alle immagini e ai fenomeni del mondo, per quanto difficile possa essere. Mi specchio in lei e un piccolo frammento mi restituisce me stessa; anche per lei so che avviene lo stesso.

“Dimmi come sei stata”.

“Dimmi dove stai andando, cosa stai imparando adesso.”

“Dimmi se hai conservato qualcosa, di ciò che eravamo allora, raccontami le parti nuove”

Guido verso casa, tra la nebbia della periferia, pensando al tempo trascorso, all’immutabilità di certe parti di noi, alla  trasformazione da ragazze ad adulte, ai nostri rapporti con il mondo, alle vittorie e sconfitte, alla voglia, che abbiamo sempre condiviso, di ricominciare da capo, anche quando finiamo al tappeto. Dopo la prima galleria, venendo dalla città, inizia il lago. La nebbia è dissolta. Le luci a fuoco perfetto fanno risaltare i contorni dei paesi di qua e di là dallo specchio nero dell’acqua.  Ci vorrebbe una panchina, lontana dalla strada, su cui sedersi a guardare il buio del cielo nuvoloso illuminato dalla terra, gli zig zag luminosi  che risalgono il fianco scuro delle montagne, le onde che increspano appena appena la superficie, il santuario sulla sommità dell’isola che sembra una piccola luna. Ci vorrebbe una sera pigra d’estate e non il freddo di dicembre che si mescola al pensiero della giornata piena di domani a far da sfondo ad un panorama così.


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