di Federica Castellana
Lo scorso aprile la Turchia è entrata a far parte come “partner di dialogo” della Shanghai Cooperation Organization (SCO), nota anche come Gruppo di Shanghai, che riunisce diversi Paesi dell’Asia Centrale. Membri ufficiali sono Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan e in qualità di osservatori vi partecipano Afghanistan, India, Iran, Mongolia e Pakistan. Oltre alla new entry turca, sono titolari dello status particolare di dialogue partner la Bielorussia e lo Sri Lanka. Con la firma del Memorandum di Cooperazione (avvenuta il 26 aprile ad Almaty, Kazakistan, dopo circa due anni di trattative) Ankara compie il primo passo verso l’ingresso vero e proprio nel Gruppo aprendosi ad una realtà nuova e importante sebbene ancora in definizione.
Un club asiatico - La SCO è un’organizzazione intergovernativa relativamente giovane. Fondata nel 1996 a Shanghai in un’ottica principale di sostegno militare, nel 2001 è stata modificata e potenziata a livello sia di struttura sia di campo d’azione: alla cooperazione regionale in materia di sicurezza – che resta prioritaria – sono stati affiancati lo sviluppo economico e la collaborazione culturale, scientifica e tecnologica. Nell’area centroasiatica, infatti, questioni spinose come il separatismo, il fondamentalismo islamico e il narcotraffico interessano quasi tutti gli Stati e molto spesso assumono anche carattere transnazionale. Per tutelare la stabilità della regione dai rischi legati al terrorismo e alla criminalità organizzata si è ritenuto dunque necessario un approccio multilaterale nella forma, appunto, della SCO.
Alle minacce interne si aggiungono poi quelle esterne: sono soprattutto i piani di difesa missilistica degli Stati Uniti e della NATO in Europa Orientale a suscitare preoccupazione tra i membri dell’Organizzazione, i quali al summit di Astana (Kazakistan) del giugno 2011 hanno dichiarato che “lo sviluppo unilaterale e illimitato di un sistema missilistico di difesa da parte di un Paese o di un gruppo di Paesi può danneggiare la stabilità strategica e la sicurezza internazionale”. L’allusione è piuttosto chiara e l’attrito con il mondo occidentale è testimoniato tra l’altro dalle posizioni contrastanti in merito all’attuale contesto globale, in particolare su temi caldi come Afghanistan, Siria, Nord Africa e Iran [1].
Nonostante le varie esercitazioni e simulazioni militari già condotte, il Gruppo di Shanghai è fermo comunque nel ribadire che – come da statuto costitutivo – l’organizzazione è solo un’ampia cooperazione regionale e non un’alleanza contro altri soggetti del diritto internazionale. In effetti, al momento è ragionevole ritenere che la SCO sia ancora lontana da una reale evoluzione in senso militare-difensivo: il suo intento cruciale resta perciò il contenimento della presenza statunitense (e nord-atlantica in senso lato) nella regione, ripristinando e/o conservando un clima il più possibile disteso che non presti il fianco a conflitti e all’eventualità di un intervento occidentale in loco. Inoltre, l’Organizzazione si sta rivelando una nuova vetrina e un ulteriore strumento strategico nelle mani di Russia e Cina per affermare la propria egemonia regionale, con Mosca più interessata a diventarne garante e supervisore della sicurezza e Pechino invece più allettata dalle opportunità economiche (in pratica, costruendo basi militari la prima e negoziando accordi commerciali bilaterali e prestiti la seconda).
Va rilevato, infine, che attualmente non è previsto alcun allargamento della SCO. Infatti, per quanto auspicata da molti degli Stati osservatori e partner di dialogo, la loro membership a tutti gli effetti nel Gruppo sembra uno scenario problematico per svariate ragioni: tra queste, le sanzioni ONU a carico dell’Iran, la disputa storica tra l’India e il Pakistan e la vicinanza a Bruxelles da parte della Bielorussia.
La novità turca - La recente adesione della Turchia alla SCO ha attirato l’attenzione in quanto già membro ufficiale della NATO (dal 1952) nonché candidata all’accesso nell’UE (dal 2005): un equilibrio singolare, che però non sembra turbare né Ankara né l’Organizzazione. Il Ministro degli Esteri turco Davutoğlu ha dichiarato infatti che il suo Paese “condivide la stessa sorte” del Gruppo di Shanghai e che “solo seguendo una logica da guerra fredda, NATO e SCO possono sembrare istituzioni che si escludono reciprocamente; ma la guerra fredda è finita e la Turchia non sarà schiava di questa logica”[2]. Anche secondo il Segretario Generale Dmitry Mezentsev tra le organizzazioni internazionali non ci sarà alcuna tensione e la Turchia “non solo osserverà la lettera e lo spirito della carta, ma utilizzerà anche le potenzialità del suo ruolo nella regione a beneficio dell’intera organizzazione”. Il Primo Ministro turco Erdoğan si è spinto oltre e ha definito il Gruppo di Shanghai come un’alternativa “molto migliore” e “più potente” rispetto all’Unione Europea [3].
In ogni caso, al di là della retorica di circostanza, l’avvicinamento della Turchia alla SCO ha un certo peso. Da un lato è sicuramente una provocazione simbolica nei confronti dell’UE, con la quale i negoziati (ormai quasi decennali) sono bloccati da indugi politici e ideologici e dalla cosiddetta “capacità di assorbimento”. Dall’altro è effettivamente in linea con quella “profondità strategica” enunciata dal Ministro Davutoğlu, una politica estera nuova e vivace che ricerca nuovi interlocutori non solo nel Vecchio Continente ma anche in Asia ed in Medio Oriente.
Eppure, come si è visto, il Gruppo di Shanghai è tuttora allo stato embrionale e in cerca di una mission precisa, con meccanismi di sicurezza distanti dai propositi iniziali e la contrapposizione interna tra gli interessi di Cina e Russia che non fa che ostacolare il pieno sviluppo dell’organizzazione. Di conseguenza, considerare la SCO come la “NATO dell’Est” o il “blocco anti-Occidente” appare francamente anacronistico o comunque prematuro. Alla base della mossa turca c’è allora essenzialmente lo straordinario fiuto per gli affari di un Paese in crescita (+3%) nei confronti di una regione che offre oggi altrettante prospettive di espansione economica: in Asia Centrale ci sono le grandi riserve energetiche, c’è il gigante cinese, ci sono i piccoli Stati con incrementi annuali del PIL oltre il 5%, ci sono le ipotesi di un’area di libero scambio e di una banca per lo sviluppo nella SCO. Un quadro decisamente diverso rispetto all’Europa, primo partner commerciale e fonte di investimenti diretti esteri, avvitata però in una spirale di crisi, austerity e recessione senza apparente via d’uscita.
* Federica Castellana è Dottoressa in Scienze Politiche, Relazioni Internazionali e Studi Europei (Università di Bari)
[1] Niccolò Locatelli, “Il mondo visto dalla SCO“, in Limesonline, 10.06.2012.
[2] “Turkey first NATO state with Shanghai Cooperation Organization ties“, in Hurriyet Daily News, April/29/2013.
[3] Joshua Kucera, “Turkey Makes It Official With SCO“, in Eurasianet, April 28,2013.
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