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Dal patto EuroPlus al “six pack”: come il 2011 ha cambiato la governance economica nell'Unione Europea.

Creato il 04 dicembre 2011 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Antonio Scarazzini

Dal patto EuroPlus al “six pack”: come il 2011 ha cambiato la governance economica nell'Unione Europea.Con la posizione emanata dal Parlamento Europeo il 28 settembre scorso e la decisione del Consiglio Europeo raggiunta nella seduta dell’8 novembre è arrivato a compimento il processo legislativo che porterà in vigore entro fine anno le nuove regole di governance economica per i 27 Paesi membri dell’Unione Europea. Avviata il 29 settembre 2010 con una proposta di iniziativa legislativa avanzata dalla Commissione, la riforma delle misure legislative di sorveglianza delle politiche economiche e di bilancio va ad emendare i dettami dei regolamenti 1496 e 1467 del 1997, in cui si elencavano rispettivamente le norme preventive e correttive previste dal Patto di Stabilità e Crescita (PSC) per l’area euro. Eccezion fatta per gli emendamenti del 2005 con cui si dilatavano i tempi di correzione di disavanzi eccessivi, il pacchetto di sei proposte legislative che andrà ad integrare il prossimo Semestre Europeo costituisce il primo vero segnale di rilancio della governance dell’economia europea, soffocata dalla crisi dei debiti sovrani e rallentata nel suo cammino verso una vera unione economica e fiscale dalle titubanze della Germania.Europa 2020 e Semestre Europeo, gli altri pilastri dell’agenda economica europeaPrima di valutare l’entità delle modifiche apportate al PSC è necessario tuttavia incastonare il cosiddetto “SixPack” nel contesto della nuova agenda economica che è venuto a delinearsi nel 2011, attraverso una serie di iniziative imperniate sul coordinamento delle politiche economiche. Se l’aggravarsi della crisi del debito e delle finanze pubbliche in Paesi come Grecia e Italia ha contribuito a focalizzare l’attenzione sui mercati finanziari e dei titoli di Stato, oltre che sulla fragilità di un sistema bancario depresso dalla scarsa liquidità in circolazione, già dalla prima metà del 2010 i vertici  dell’UE avevano posto l’accento sulla necessità di crescita dell’economia europea. A distanza di più di un anno, le previsioni rilasciate dalla Commissione europea nell’ultimo bollettino (novembre 2011) non fanno che confermare l’affanno che la persistente fase di incertezza sui mercati mondiali ha trasferito sull’economia reale, costringendo gli analisti a rivedere al ribasso le stime di crescita su base annuale del Prodotto Interno Lordo: dopo una buona performancenei primi due trimestri di quest’anno (+1,4% da aprile a giugno),nel terzo trimestre l’area dei Paesi aderenti euro è cresciuta solo dello 0,8% rispetto a quello precedente, prospettando un rallentamento per l’intero 2011 dall’1,6% stimato in primavera all’1,5% attuale. Non fa meglio l’UE – 27, che scende ad una previsione dell’1,6% peraltro allineata con le stime del PIL USA. Cifre che impallidiscono di fronte al circa 6% di incremento previsto per i Paesi emergenti, ben lontane da Cina (+9,1%), India (+7,9%) o Turchia (+7,5%).Sulla scorta di consumi privati pressoché stagnanti e con la disoccupazione sempre sulla soglia del 10%, l’Unione Europea necessita di concentrare le sue potenzialità produttive nelle cinque macro-aree che, secondo l’agenda Europa 2020 approvata nel marzo 2010, dovranno fungere da volano per la ripresa: occupazione, innovazione, energia, istruzione ed inclusione sociale. I tre grandi obiettivi che la Commissione ha elencato a gennaio 2011 nella sua “Analisi annuale della crescita” – stabilità macroeconomica, riforme strutturali del mercato del lavoro e dei sistemi pensionistici, misure di stimolo alla crescita – rimangono tuttora sui tavoli di lavoro dei vari governi, con applicazioni piuttosto eterogenee fra i Paesi membri: Germania e Polonia, in contro tendenza rispetto ad un generale rallentamento estivo, hanno ad esempio registrato a settembre un aumento nella produzione industriale rispettivamente del 5,7% e del 7,8 su base annuale. Grecia e Italia, entrambe alla prese con l’imposizione di piani di austerità, hanno invece affrontato cali per oltre il 2%, denunciando la difficoltà di estrapolare dalle finanze pubbliche dei progetti di sviluppo all’altezza degli obiettivi europei.La soluzione alla disomogeneità fra la priorità economiche dei vari Stati e quelle delineate dall’UE passa quindi attraverso il rispetto di  regole di concertazione e coordinamento; ne sono una prova l’istituzione del Semestre Europeo e la stipulazione del Patto EuroPlus.Il Semestre Europeo ha dotato infatti l’UE ed i suoi membri di un quadro organizzativo entro cui stabilire termini rigidi per la presentazione e l’integrazione delle priorità economiche comunitarie, espresse dall’ Analisi annuale della crescita presentate dalla Commissione in gennaio, e quelle nazionali inserite nei programmi di riforma e nei piani di stabilità e convergenza che gli Stati presentano nei mesi primaverili. La sincronizzazione dei programmi di riforma, a livello orizzontale fra gli Stati e verticale fra l’UE ed i Paesi membri, precede quindi il momento della vera attuazione delle misure nel corso del secondo semestre dell’anno, in un contesto di mutua sorveglianza.La mutualità dell’azione europea trova ulteriori segnali di evoluzione verso un’unione economica proprio nel Patto EuroPlus, deliberato dal Consiglio Europeo del 24 e 25 marzo, in cui l’Analisi annuale della Commissione si completa di un piano di riforme aggiuntive in quattro macro-aree: competitività, occupazione, sostenibilità delle finanze pubbliche e rafforzamento della stabilità finanziaria. Il valore politico di questo accordo è duplice: da un lato il coinvolgimento insieme ai Paesi dell’Eurogruppo di sei Paesi “non-euro” come Lituania, Lettonia, Polonia, Bulgaria, Danimarca e Romania, segnala la volontà di evitare la frammentazione del mercato unico. Dall’altro, il contenuto del Patto indica una ricetta economica (riforma del mercato del lavoro per adeguare le retribuzioni alla produttività, rimozione di distorsioni della concorrenza, semplificazione normativa, investimenti inR&S, promozione della flexicurity ed innalzamento dell’età pensionabile) che sembra stare alla base di un mutamento più ampio del modello di Welfare State europeo, in crisi di competitività rispetto ai modelli di sviluppo che giungono, ad esempio, dall’Asia Orientale. I sei passaggi della riforma del Patto di Stabilità e crescitaIl piatto forte del pacchetto legislativo entrato in vigore a metà novembre è, come detto, l’implementazione delle norme di coordinamento delle politiche economiche e di disciplina di bilancio che spettano in capo ai Paesi membri in forza degli artt. 121 e 126 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). La forte attenzione sulla sorveglianza dei bilanci deriva, oltre che da una forte crisi di credibilità dei mercati verso i Paesi dell’UE, da un irrigidimento della posizione tedesca verso la condivisione di elementi di finanza pubblica (come gli Stability Bonds presentati da un recente green paper della Commissione) o da prospettive di riforma dei trattati per adattare la BCE al ruolo di prestatore di ultima istanza. Gli alti livelli di debito in Paesi come Grecia, Italia, Irlanda e Portogallo o i deficit pubblici come quelli spagnoli, rappresentano comunque un’ovvia fonte di incertezza riguardo la capacità dell’Unione Europea di individuare e sanare con celerità i fattori di rischio sistemico: un esempio che l’Unione non è stata evidentemente in grado di compiere nel soccorso alla Grecia, laddove la scarsa sorveglianza ha giocato, accanto a debolezze strutturali del Paese, un ruolo centrale nello scatenamento della crisi dei debiti sovrani.Volendo scomporre i contenuti del pacchetto approvato lo scorso 8 novembre, occorre sottolineare la corrispondenza dei sei provvedimenti a tre macro obiettivi:1) Rafforzamento dell’azione preventiva del Patto di Stabilità e Crescita: approvazione delregolamento 1175/2011 che abroga il reg. CE 1496/97 in materia di rafforzamento della sorveglianza sui bilanci pubblici e di sorveglianza e coordinamento delle politiche economiche; regolamento 1173/2011 in materia di sorveglianza sui bilanci pubblici.Fermi restando i criteri di sostenibilità già affermati nel primo PSC successivo al Trattato di Amsterdam (deficit di bilancio non superiore al 3% del PIL, debito pubblico non superiore al 60% del PIL), con il nuovo regolamento si rafforza il criterio della sostenibilità della spesa pubblica in rapporto alla crescita del PIL. In particolare, agli Stati che sforano i requisiti del Patto è richiesto di fissareobiettivi di bilancio a medio termine all’interno dei programmi di convergenza e stabilità richiesti nell’ambito del Semestre europeo. Il maggior livello di integrazione fra obiettivi comunitari e nazionali fa sì che la crescita annuale della spesa non vada oltre il livello di riferimento di crescita a medio-lungo termine del Prodotto Interno Lordo, che all’art. 5 del regolamento 1175 viene fissato intorno allo 0,5%. Uno sforzo suppletivo è richiesto invece ai Paesi maggiormente indebitati, cui è invece richiesto all’art. 9 un aggiustamento che sia indicativamente più alto dello 0,5%. Anche in via preventiva è previsto l’intervento di Commissione e Consiglio in caso di rilevazione di potenziali distorsioni degli obiettivi di bilancio: l’art. 10 del regolamento, secondo quanto stabilito dal quarto comma dell’art. 121 TFUE, dispone l’emanazione di un avvertimento da parte della Commissione affinché il Paese membro adotti i necessari correttivi; in caso di inadempienza, la stessa Commissione prepara un’ulteriore raccomandazione che il Consiglio approverà a meno che la maggioranza qualificata degli Stati membri non si dimostri contraria. Lo Stato membro ha a disposizione non più di 5 mesi per applicare i dovuti correttivi, decorsi i quali il Consiglio presenterà, su proposta della Commissione,un’ulteriore raccomandazione in cui si segnalerà l’inadempienza dello Stato in questione. Questo meccanismo di sorveglianza si accompagna inoltre ad un ulteriore strumento punitivo sotto forma di un deposito infruttifero presso la Commissione pari allo 0,2% del PIL.2) Rafforzamento dell’azione correttiva del Patto di Stabilità e crescita: regolamento 1177/2011, che emenda il reg. CE 1497/97 rendendo più chiara e rapida la procedura di correzione per disavanzi eccessiviA disciplinare la procedura per i disavanzi eccessivi è l’art. 126 TFUE, che al comma 1 assegna alla Commissione il ruolo di sorveglianza sul rispetto dei criteri di sostenibilità. Al comma 3 si prevede invece la stesura di un rapporto da parte della Commissione laddove uno Stato abbia violato i requisiti minimi o nel caso in cui, pur rispettandoli, la previsione economica lasci presagire una futura situazione di disavanzo. Per la prima volta, il regolamento 1177 fornisce un criterio numerico per la riduzione del debito pubblico, affermando che per rientrare nella fattispecie dell’art. 126 comma 2 il riavvicinamento al valore del 60% del PIL debba esser avvenuto nell’ultimo triennio ad una media annua di un ventesimo della differenza  fra il debito del Paese in questione ed il valore di riferimento. Al dato numerico si aggiungono comunque una serie di indicatori economici cui la Commissione fa riferimento per stilare il suo rapporto: è l’art. 1 comma 2, par. 3 del reg. 1177 a richiedere la valutazione dello stato di avanzamento di eventuali politiche di bilancio, dei valori di produttività e crescita del sistema economico oltre che della situazione di investimenti, risparmi e debito privato. Si inasprisce poi il meccanismo correttivo dei disavanzi per i Paesi dell’area-euro, la cui struttura viene disciplinata all’art. 126 ai commi 5-11: su proposta della Commissione, il Consiglio emana una raccomandazione in cui si afferma l’effettiva esistenza di un eccessivo disavanzo. La procedura è avviata con la richiesta di deposito infruttifero pari allo 0,2% del PIL, cui segue un’ulteriore raccomandazione da parte del Consiglio, in cui si richiede allo Stato di applicare le dovute misure correttive. L’inadempienza dello Stato si traduce nella conversione del deposito in ammenda, aumentabile sino ad un massimo dello 0,5% nel caso in cui lo Stato membro non abbia adempiuto agli obblighi correttivi.3) Riduzione e correzione degli squilibri macroeconomiciregolamento 1176 e 1174,rispettivamente dedicati alla prevenzione degli squilibri macroeconomici e di competitività ed al potenziamento della procedura di riduzione degli stessi. Pur avendo concentrato la massima attenzione sulla sostenibilità dei bilanci pubblici, la nuova legislazione in materia di coordinamento nella definizione e sorveglianza delle politiche economiche rende più esplicita la necessità di un’unione economica. Il regolamento 1176 introduce infatti un innovativo meccanismo di allerta (art.3) in cui la Commissione è investita dell’obbligo di confutare i piani di convergenza e stabilità con una piattaforma di indicatori macroeconomici (art. 4) che tengono conto della tenuta finanziaria di uno Stato (indebitamento pubblico e privato, situazione dei mercati mobiliari ed immobiliari) e della sua forza produttiva (disoccupazione, investimenti in R&S, politiche energetiche). L’eccessivo squilibrio macroeconomico – inteso all’art. 2 come trendnegativo di un’economia di un singolo Paese che rischia di diffondersi all’intera unione monetaria – viene rilevato attraverso una specifica analisi della situazione economica dello Stato in questione: sempre in riferimento agli art. 121 e 126 TFUE, anche per gli squilibri macroeconomicisi instaura una disciplina preventiva-correttiva in cui Commissione e Consiglio interagiscono per fornire raccomandazioni e piani di correzione al Paese membro, prospettando anche sanzioni (reg. 1174) sino ad ammende pari allo 0,1% del PIL.4) Introduzione di standards minimi per le finanze pubbliche: direttiva del Consiglio 2011/85/EULe implicazioni della nuova governanceDa un lato il duumvirato Germania-Francia, dall’altro la Commissione come perno dell’integrazione economica e della sorveglianza sullo stato di salute dell’economia europea: mai come in questi ultimi mesi le anime comunitarie ed intergovernative dell’Unione Europea sono arrivate a confrontarsi per assumere il ruolo di guida nella creazione di una vera unione economica e fiscale. Le pressioni francesi, ma soprattutto tedesche, verso una modifica dei trattati nel senso di un ulteriore rafforzamento dei meccanismi di sorveglianza e sanzioni stridono con le necessità di crescita dell’UE, il cui incremento del PIL per il 2012 viene rivisto ad un misero 0,5%. E’ ineccepibile l’obiezione di chi richiede ai singoli Stati il ripristino di condizioni minime di credibilità delle sostenibilità dei debiti pubblici nei confronti dei mercati finanziari, ma le ultime previsioni economiche evidenziano l’obbligo di arrestare la trasmissione della crisi finanziaria all’economia reale. Il secondo Semestre europeo che inizierà a gennaio avrà per la prima volta a disposizione una serie di strumenti che apriranno la strada per una sempre maggiore integrazione fra le ventisette economie: le ricette per la crescita si dimostreranno tanto più efficaci quanto più la Commissione saprà legittimare la sua posizione all’interno del Semestre non come impositore di misure di austerity macome mediatore di diverse istanze di crescita e sviluppo, emergendo come organo indipendente nella gestione della politica economica complementare ad una Banca Centrale libera nel difendere la stabilità finanziaria della moneta unica. *Antonio Scarazzini è Dottore in Studi Internazionali (Università di Torino)

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