Siamo agli sgoccioli di marzo; il torneo NCAA è vicino all’ultimo atto, si spendono parole importanti sui premi individuali di fine stagione e molti speculano già sui Playoff NBA.
Insomma, un periodo idilliaco per noi malati della arancia.
Ma la selezione naturale non ci permette di vedere e di vivere a 360 gradi la bellezza della Lega. Bellezza che risiede anche nel fatto che ci siano 30 squadre a competere.
Prima di venire dolcemente soffocati dalla lucentezza dei vincenti diamo un’occhiata a una franchigia che negli ultimi anni, in queste settimane, stava preparandosi per l’assalto all’anello ma che ora, gioco forza, punta al futuro: la immortale Cleveland targata 2010/2011.
“I personally guarantee that the Cleveland Cavaliers will win an NBA championship before the self-titled former ‘King’ wins one”
Con queste parole scritte a caldo il proprietario dei Cavaliers, Dan Gilbert, aveva dichiarato irreparabilmente rotto il legame fra la franchigia dell’Ohio e LeBron James, ex uomo franchigia e faccia di uno Stato.
Rileggere l’affermazione di Gilbert ora fa sorridere. Infatti i Cavs occupano la scomoda posizione di trentesima squadra della NBA con un pessimo record di 14-57. Il bilancio comprende un’incredibile striscia perdente di 26 (!) partite durata dal 20 dicembre sino al 9 febbraio. Strano che Ken Loach non ne abbia fatto un film.
Ma quel record rispecchia l’operato in campo dei Cavaliers?
Senza dubbio sì, benché siano giunti a quell’impietoso passivo con Antawn Jamison e Anderson Varejao a lungo fermi per problemi fisci. Ma questo non esclude le possibilità, reali, che hanno a di tornare ai vertici.
La Quicken Loans Arena è piena e rumorosa come ai tempi del prescelto e l’ottimismo non manca, proprio come quando si giustificavano le esperienze fallimentari di James nella postseason.
Certo, Cleveland non è una meta ambita e non aiuterà a firmare free agents importanti ma il salary cap è attualmente attorno ai 53 milioni di dollari quest’anno e sarà intorno ai 33 (distribuito su sei giocatori) nella stagione 2012/2013, ciò significa spazio di agire, facoltà di ricostruire. Se poi ai quei 33 milioni si sottraggono i 14 di cui il contratto di Baron Davis è degno si amplifica il tutto.
Proprio Baron Davis è stato al centro di una trade che lo ha portato alla corte di Byron Scott, neo allenatore, a discapito di Mo Williams, spedito ai Clippers. Lo scambio è stato eseguito da Chris Grant, attuale GM dei vinaccia-oro, con l’obiettivo di cedere il contratto del Barone in estate e magari di ricavarne qualcosina, possibilmente un giovane playmaker.
Ma Grant ha portato, silenziosamente, nella città soprannominata “the mistake on the lake” anche due rookie dal futuro roseo: Luke Harangody e Semih Erden, entrambi provenienti dai Celtics.
Attualmente il roster dei Cavs conta su ben otto elementi al di sotto dei ventiquattro anni di età e questo numero andrà crescendo grazie alle scelte al Draft disponibili e alla ineluttabilmente alta posizione in cui verranno prese.
Se il front office di Cleveland puntasse solo sulle palline di giugno commetterebbe un grave errore perché il talento per raggiungere il livello di una stagione non vergognosa c’è tutt’ora. Infatti i tifosi che affollano la Q possono ammirare le lotte quotidiane dei giovani JJ Hickson, Samardo Samuels, Daniel Gibson e Christian Eyenga.
E se alla fine il karma sorridesse alla ex squadra dell’auto proclamato re?
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