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La ‘‘cura tedesca’’ propinata alla Grecia ebbe immediate ripercussioni sugli altri paesi zoppicanti dell’eurozona, facendo schizzare all’insù gli interessi sui loro titoli pubblici. A quel punto l’euro sembrava morente. Un fatto ha però inceppato i piani di battaglia teutonici. La Banca centrale europea ha sostenuto, con operazioni di mercato aperto, i corsi delle obbligazioni degli stati in bilico, abbassandone così i rendimenti. Il suo presidente Mario Draghi ha poi inoltre dichiarato d’essere pronto a fare tutto quanto necessario per impedire il frantumarsi della moneta unica. Avrebbe cioè acquistato senza limiti i titoli statali dei paesi in difficoltà. Se l’Italia, o la Spagna, o la Grecia, o il Portogallo, o l’Irlanda non sono finora usciti dall’euro lo si deve dunque a Mario Draghi.L’operato della Bce non è affatto piaciuto al governo tedesco che, per rintuzzarlo, ha subito alzato la posta, costringendo i paesi dell’Unione a sottoscrivere il cosiddetto patto di bilancio (fiscal compact). La trovata, bisogna ammetterlo, è micidiale. Obbliga gli stati a perseguire il pareggio di bilancio e a ridurre in venti anni il debito pubblico, al ritmo di un ventesimo all’anno, entro la soglia del sessanta per cento del pil. Nessuno, naturalmente, ci riuscirà mai.Non solo, ma la corte costituzionale tedesca si è di recente rivolta alla corte europea affinché dichiarasse illegittimo il proposito espresso dal presidente della Banca centrale europea di acquistare senza limiti titoli pubblici sul mercato secondario, in quanto violerebbe il trattato di Maastricht, che proibisce all’istituto d’emissione di finanziare gli stati.E’ insomma una guerra senza esclusione di colpi e c’è da chiedersi se vale davvero la pena combatterla. Una cosa è certa, se l’Unione europea a trazione tedesca non cambia rotta, rimanere nell’euro a tutti i costi prima o poi diventerà un inferno.Dunque, delle due l’una: o i tedeschi cambiano registro, oppure diciamo ciao all’unione monetaria.
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