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Debiti, diseguaglianze, solitudine: la crisi è sempre più assassina
Creato il 07 gennaio 2012 da David Incamicia @FuoriOndaBlogNon solo Cortina, con l'infinita orda di infami truffaldini giustamente scovati dal "famelico fisco" e abituati a campare nel lusso a spese dei cittadini onesti. E non solo Lele Mora, iscritto per meriti acquisiti sul campo al predetto club di furbastri impenitenti, al quale mi sento di suggerire con una punta di cinico entusiasmo, la prossima volta che sarà percorso da impeti di generosità verso il mondo, di ricorrere a metodi ben più efficaci degli innocui cerottini per la bua. No, lorsignori tutto sono fuorché vittime e non meritano alcuna indulgenza. Perchè la crisi, purtroppo, sta continuando a mietere vittime reali aggredendo soprattutto quei settori della società più esposti ed indifesi.
Il suicidio, che di recente sta guadagnandosi la ribalta delle cronache nazionali, è diventato quasi una tendenza di massa, praticata con drammatica e quotidiana regolarità da ogni sorta di reietto dai meccanismi del sistema. Nelle carceri, sovraffollate ai limiti dell'inumano, la contabilità dei morti per solitudine è ormai attestata su livelli apocalittici; nel mondo del lavoro, decine di giovani precari senza futuro e di padri di famiglia che perdono il posto ricorrono sempre più spesso all'estremo gesto di disperazione; infine le new entry, persone che fino a poco tempo fa venivano considerate privilegiate, piccoli e medi imprenditori divenuti insolventi proprio malgrado, abbattuti dagli effetti nefasti di una crisi economica senza precedenti e strozzati dai debiti.
Il boom del fenomeno ha cominciato a manifestarsi più intensamente a partire dal 2009, certificato da una indagine di Eures condotta sulla prima ondata di fallimenti e di licenziamenti che ha rivelato il lato più cupo della recessione: fra chi ha perso il lavoro, che si tratti di imprenditori o di dipendenti, la decisione di ricorrere al suicidio è aumentata di oltre il 40% in un anno, con la triste media di un morto al giorno.
A livello più generale, benchè frequentissimo fra i giovani in cerca di prima occupazione o segnati da gravi condizioni di precarietà economica, sul piano socio-demografico il suicidio si conferma decisamente più diffuso nella fascia più anziana di popolazione, con maggiore incidenza al Nord (1.600 casi soltanto nel 2009 pari al 53,6% del totale, a fronte dei 561 casi del Centro e degli 825 del Sud). Il dato più preoccupante si riferisce alla comune "matrice economica" dello stato di sofferenza, a conferma della forte interdipendenza, innanzitutto a livello identitario, fra capacità di ruolo sociale e, per l'appunto, autonomia economico-occupazionale.
E' negli ultimi 12 mesi, invece, che gli organi di informazione hanno dovuto battere con crescente frequenza le notizie di suicidi fra i titolari di aziende in crisi. Nel Nord-Est, in proposito, si registra un vero e proprio allarme sociale. Al di là degli episodi più recenti che hanno funestato il periodo natalizio (e che per la verità hanno riguardato pure le regioni meridionali), già nel 2010, soprattutto nel settore dell'edilizia, decine di imprenditori si erano uccisi non potendo più far fronte ai loro problemi economici. Al punto da indurre l'Associazione Costruttori del Veneto, per tentare di arginare il macabro andazzo, a rivolgersi al noto luminare della psichiatria Vittorino Andreoli.
Le cause della disperazione sono sempre le stesse: eccesso di burocrazia, ritardati pagamenti da parte della pubblica amministrazione, insostenibilità dell'imposizione fiscale, inaccessibilità al sistema creditizio, ricorso alla rete illegale dell'usura. E quando un'azienda è costretta a dichiarare default, come è ovvio, tanti operai e dipendenti finiscono per strada assieme al proprio datore di lavoro, andando ad ampliare la zona grigia della sofferenza.
E qui interviene il dibattito su Equitalia ed i suoi metodi di riscossione, con molti osservatori, in particolare proprio nel cosiddetto "popolo delle partite iva", che le lanciano legittimamente strali definendola come una sorta di spietato vampiro che soffoca la libera iniziativa e impedisce la crescita economica, inducendo cittadini e imprese a forme estreme di rivolta e non di rado alla morte.
Circostanza, quest'ultima, che non può in alcun modo diventare un alibi sia per quanti eludono ed evadono le tasse frodando coscientemente lo Stato (soggetti che costituiscono il vero impedimento allo sviluppo e la principale causa del diffuso disagio nel Paese), sia per coloro che vogliono strumentalizzare solo a fini ideologici la dura attualità dispensando pallottole a destra e a manca.
Beppe Grillo ha senza dubbio esagerato con la provocazione di affermare che vanno comprese le ragioni anche di chi compie atti terroristici contro le sedi di Equitalia, ma sono altresì inopportune le intimidazioni verbali rivolte all'Agenzia delle Entrate e alla Guardia di Finanza, solo perchè esercitano il proprio dovere di effettuare controlli e di perseguire le illegalità, da molti esponenti di Pdl e Lega. Due forze politiche che hanno governato per 10 anni l'Italia, fino a due mesi fa, tollerando sistematicamente (spesso perfino incoraggiandoli) i comportamenti illeciti di chi non si è mai curato di partecipare dei sacrifici a cui tutti siamo oggi chiamati per evitare il tracollo del sistema-nazione.
Questo non è più il tempo dei populismi, delle carezze interessate ai settori dell'elettorato ritenuti più prossimi, degli egoismi e degli schiamazzi. La fase attuale è talmente grave che nessuno, specialmente fra chi riveste ruoli di responsabilità politica, può più permettersi di giocare col futuro della gente per i meschini tornaconti di lobby più o meno pulite.
E allora, se essi servono a sostenere l'arduo percorso di salvezza del Paese, ben vengano i blitz degli agenti del fisco, al Nord come al Sud, nel privato come nel pubblico, a dimostrare che non è vero che lo Stato è assente o non è capace di colpire chi si sottrae all'obbligo civile e morale dell'onestà. Ma ben vengano pure leggi più eque sul piano della concorrenza e della crescita, una burocrazia meno vessatoria e onerosa, un sistema creditizio più trasparente e flessibile.
Perchè, tornando alla riflessione di partenza, è fra i meno garantiti che si annidano i rischi maggiori di cedere all'oblio. Fra i derelitti di una società profondamente ingiusta e irresponsabile in cui chi ha troppo non ha mai concesso nulla al senso comunitario anzi, ha sempre spremuto il sistema e preteso di più; e chi ha poco non ha di contro più nulla da perdere, nemmeno la propria dignità.
Dei tanti casi di suicidio degli ultimi giorni, colpisce in modo particolare quello dell'anziano pensionato di Bari che si è tolto la vita per paura di non riuscire a restituire all'Inps la somma di 5 mila euro indebitamente percepita (per un errore di calcolo dell'Inps stesso) e di perdere conseguentemente la propria unica casa. L'uomo, di 75 anni, viveva con 700 euro al mese frutto di una pensione sociale italiana e di due miseri assegni elargiti da Germania e Olanda, dove aveva lavorato per qualche anno da giovane emigrante. L'ente previdenziale gli ha fatto recapitare la lettera fra Natale e Capodanno, invitandolo a rimborsare quanto dovuto con rate di 50 euro al mese che per lui, fra cibo e bollette, erano comunque un'enormità. Così è intervenuta, risolutivamente, la depressione assassina.
Depressione e solitudine, accanto alle motivazioni economiche, sono le altre principali cause del suicidio, capaci di infierire anche per futili motivi o comunque senza apparenti e valide ragioni. Come a Vicenza, dove una ragazzina di 15 anni si è ammazzata, stando allo sfogo da lei stessa affidato al profilo di facebook prima di andarsene per sempre, perchè "delusa dal Capodanno". O come a Ferrara, dove uno stimato avvocato, presidente delle Camere penali e impegnatissimo sul versante della lotta alla mafia, ha deciso improvvisamente di impiccarsi in garage.
L'angoscia letale è dunque un sentimento trasversale e beffardamente democratico, che non tiene affatto conto dell'età o del ceto sociale quando sceglie la propria vittima. Chi pare non poter sfuggire alle sue grinfie, ancor più che i disoccupati o gli imprenditori falliti, è la dannata categoria dei detenuti, definita dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano nel suo discorso di fine anno come una "prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile" . Forse fra le questioni eticamente più pressanti, assieme a quella della cittadinanza ai figli degli immigrati nati nel nostro Paese, con cui il governo dei tecnici e il parlamento degli screditati dovranno presto misurarsi.
Anche dentro le carceri l'anno appena iniziato sta seguendo la stessa scia di morte di quelli precedenti, con il bollettino dei suicidi continuamente aggiornato dall'osservatorio dell'Associazione Antigone e dall'Agenzia Radicale. I numeri parlano chiaro: dal 1997 a tutto il 2011 si sono tolti la vita negli Istituti di pena 882 detenuti e 90 agenti di custodia; solo lo scorso anno si sono contati 66 casi di suicidio fra i reclusi (ma su altri 23 casi le ingadini sono ancora in corso), un terzo dei quali stranieri; nella prima settimana del 2012, infine, sono già quattro i suicidi accertati. A tutto questo bisogna aggiungere che negli ultimi 24 mesi, grazie all'intervento del personale di vigilanza, sono stati sventati 2000 tentativi di suicidio fra i detenuti, quasi tutti di età inferiore ai 40 anni e perlopiù sottoposti a custodia in attesa di giudizio.
Le organizzazioni italiane da sempre attive nel campo dei diritti civili, cogliendo proprio la rinnovata apertura di sensibilità del Presidente della Repubblica, tornano ora a chiedere a gran voce alle istituzioni di porre fine a questa strage infinita, attraverso misure in grado di risolvere finalmente l'annosa problematica del sovraffolammento e mediante controlli più accurati sulle condizioni di permanenza dei detenuti all'interno dei penitenziari e sul trattamento loro riservato.
Considerando i moti tempestosi di rinnovamento che stanno attraversando l'intero pianeta a livello politico ed economico, con effetti non sempre positivi sulle popolazioni interessate, è del tutto evidente come proprio questo sia il momento di mettere da parte egoismi e interessi di parte per sforzarsi invece di contribuire al benessere della comunità alla quale si appartiene innanzitutto sul piano dell'affermazione dei diritti e delle opportunità, ciascuno secondo le proprie possibilità. Solo così si potrà sperare di abbattere realmente il muro delle sperequazioni, offrendo a chi soffre del "male di vivere" l'appiglio della dignità umana.
L'Italia, in particolare, sperduta provincia del decadente impero occidentale, se non saprà dimostrarsi all'altezza delle sfide presenti e future cancellando con un deciso colpo di spugna le proprie ataviche storture morali e culturali (dai rapporti di Transparency risultiamo anche nel 2010 fra i Paesi più corrotti al mondo, Censis e Istat continuano a ripeterci che il 30% dei nostri giovani non lavora, Openpolis descrive la classe politica italiana come la meno competente e la più pagata d'Europa, senza scordarci della criminalità organizzata e del debito pubblico e della già citata evasione fiscale), condannerà se stessa all'autoannientamento.
Sarà poi la storia a decidere se bisognerà parlare della nostra fine ingloriosa come di un imprevisto incidente di percorso o come di un suicidio collettivo consapevole.
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