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Dei delitti e delle pene à la carte

Creato il 07 settembre 2011 da Dagored

Dei delitti e delle pene a la carte
Anche in questi momenti così delicati dal punto di vista economico e finanziario non possono essere fatti passare sotto silenzio questi episodi di cronaca che, in un modo o nell'altro, non fanno che confermare l'evaporazione dello Stato italiano, o almeno di alcune sue istituzioni, tra le quali una delle più importanti e rappresentativi, quella dell'ordine giudiziario.
Già altre volte mi sono soffermato a ragionare sull'incredibile varietà di giudizi emessi dai vari tribunali dello Stato in merito a medesime fattispecie di reato,ma ancora una volta non ho potuto non stupirmi di fronte all'ennesima e per me incomprensibile decisione di un giudice, stavolta del tribunale di Milano, che ha condannato a un anno di reclusione un insegnante di musica per aver più volte palpeggiato e arringato con frasi volgari più di una sua alunna, tutte tra i 15 e i 16 anni di età. Il giudice ha respinto la richiesta di cinque anni di reclusione del pubblico ministero, che aveva accusato l'insegnante di violenza sessuale, derubricando il reato a semplici molestie, giustificandio la sua decisione con un articolato ragionamento, col quale spiega che :""il comportamento dell’imputato, certamente integrante un "corteggiamento invasivo", non abbia superato la soglia del tentativo del reato contestato".
Da notare che è sembrato insignificante il particolare che alcune allieve non avessero compiuto i 16 anni di età, condizione per far scattare anche l'accusa di corruzione di minore.
Magari il giudice ha pure ragione ed il suo è stato un giudizio illuminato, ma non è questo il nocciolo della questione.
Il problema è che di fronte a simili situazioni, lo stesso atteggiamento e gli stessi gesti sono stati giudicati ben più gravemente, con conseguenti condanne molto più pesanti.
Senza mai dimenticare il famoso caso della "professoressa Monteroni", nel quale l'imputata non era nemmeno soggetto attivo, ma passivo delle toccatine.
Eppure in quel caso i giudici furono severissimi, contestando fino alla fine il reato di "atti sessuali con minori" e arrivando solo alla fine del procedimento, durato tre anni, per far decadere quello di corruzione di minore,  dal momento che tutti i coinvolti avevano compiuto i 16 anni di età.
Se poi si pensa che mentre a Milano le studentesse avevano esse stesse sporto denuncia contro il loro professore, mentre a Lecce l'inchiesta fu promossa d'ufficio, dopo la diffusione del famoso filmato e che alla fine all'insegnante salentina, pur patteggiando la pena, furono inflitti due anni di reclusione, non si può che concludere che Umberto Bossi ha ragione e che  Lecce e Milano non fanno parte dello stesso Stato e non hanno nemmeno lo stesso ordinamento giuridico.
 Un'altra considerazione che mi viene da fare è che, anche in questo caso, l'Italia sembra essere in controtendenza. Negli Stati Uniti infatti, è idea comune che in casi come quelli ricordati le donne imputate per questi tipi di reati vengono gereralmente trattate in modo più comprensivo e gentile dalla giustizia, spuntando spesso condanne molto più lievi che gli uomini.
Sarà forse che da noi, specialmente al Sud, manchi il trascorso di una vera lotta femminista, ma i fatti sembrano dimostrare spesso il contrario e che siano le donne ad essere più avversate e non solo dall'apparato della giustizia, ma pure dall'azione dei media.


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