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Delitto Pasolini: una verità tutta da (ri)scrivere?

Creato il 15 dicembre 2011 da Nottecriminale9 @NotteCriminale

Simona Zecchi

I Fatti


Delitto Pasolini: una verità tutta da (ri)scrivere?

 A ritrovare il corpo irriconoscibile tra pozzanghere e fossi, alle ore 6.30 del mattino, la signora Maria Teresa Lollobrigida, un’abitante abusiva delle baracche dell’Idroscalo che aveva scambiato il corpo di Pasolini per un mucchio di spazzatura. 
Il riconoscimento verrà poi effettuato dall’attore e amico Ninetto Davoli. Nella notte, due Carabinieri fermano il 17enne Giuseppe Pelosi mentre sfrecciava in contromano sul Lungomare di Ostia, alla guida di un’Alfa Romeo GT 2000 grigia metallizzata targata K69996, che confessa all’inizio solo il furto dell’auto. 
Pelosi viene tradotto presso l’Istituto di osservazione per minorenni di Casal del Marmo. Quando collegano il furto dell’auto, risultata già essere di Pier Paolo Pasolini, con il suo omicidio, Pino “la rana” Pelosi (nomignolo di invenzione giornalistica del tempo per via dei suoi occhi sporgenti) confessa anche l’omicidio avvenuto - secondo quanto dichiara sin dall’inizio – per reazione a un tentativo di violenza sessuale, a suo danno, da parte di Pasolini. 
Delitto Pasolini: una verità tutta da (ri)scrivere?
Il primo processo, svoltosi a porte chiuse il 2 febbraio 1976 e conclusosi ad aprile del 1976, riconoscerà Pelosi colpevole “in concorso con ignoti”; ad assisterlo l’avvocato Rocco Mangia, intervenuto a metà dell’inchiesta in sostituzione del gruppo di legali Andrea Traldi, Tommaso e Vincenzo Spaltro. 
Il ragazzo verrà condannato a a 9 anni, 7 mesi e 10 giorni e una multa di 30 mila lire. Contemporaneamente evadono di prigione da Casal del Marmo i due minorenni Giuseppe Mastini e Mauro Giorgio, entrambi frequentavano Pelosi presso il circolo creativo e sezione dell’Unione monarchica nazionale zona Tiburtina. 
Il primo verrà sempre tirato in ballo dalle varie inchieste e tesi giornalistiche senza alcuna conferma netta. La Corte di Cassazione riunitasi a dicembre del ’76 confermerà poi la condanna ma ripristinandola unicamente come “omicidio volontario singolo”. 
Pelosi commetterà altri reati successivamente (alcuni poi non riconosciuti) in tutto sconterà in carcere 22 anni della sua vita e ricomincerà a parlare dell’omicidio durante la trasmissione della Leosini “Ombre sul Giallo” a maggio del 2005. Da allora le verità tradiscono più colori, nessuno nitido.


Un caso ancora aperto


Delitto Pasolini: una verità tutta da (ri)scrivere?
Lo scorso anno, le indagini sulla morte violenta di Pier Paolo Pasolini avvenuta 36 anni fa hanno visto nuova luce, ma solo da qualche mese il focus si è spostato sulle analisi scientifiche dei reperti ritrovati allora nella macchina dello scrittore. La differenza rispetto alle volte scorse è che l’indagine non si è ancora chiusa. E non è poco. 
 Puntuale come spesso il sole a mezzogiorno l’anniversario della morte del regista e poeta Pier Paolo Pasolini ricorso il 2 novembre ha visto emergere altre verità. Tra tutte, inclusa l’ultima di Pino “la rana” Pelosi affidata a un libro “Io So... come hanno ucciso Pasolini” (Vertigo, 2011), l’unica veramente ufficiale risulta essere quella apparsa sulle tavolette usate come arma contundente (verosimilmente non le uniche armi). La notizia sul DNA di un terzo soggetto presente quella notte all’Idroscalo di Ostia è uscita il 7 novembre sul Messaggero, ma i reperti sono sotto osservazione del RIS di Roma da mesi.
 
Delitto Pasolini: una verità tutta da (ri)scrivere?
Sin dall’inizio, la nuova apertura delle indagini, fortemente voluta in primis dall’avvocato penalista Stefano Maccioni e dalla criminologa Simona Ruffini depositata nel 2009, si è differenziata dalle altre due, chiuse velocemente, per diversi fattori. 
Intanto le dichiarazioni di un nuovo testimone a conoscenza dei fatti: Silvio Parrello “er Pecetto”. La sua ricostruzione, frutto di anni di indagini personali spese nel quartiere, Donna Olimpia, dove i ragazzi di Pasolini scalciavano i propri giorni, ora è anche suffragata dallo stesso Pelosi nel libro.
 Silvio Parrello è insieme un personaggio pasoliniano e un artista egli stesso: capace di recitare a memoria mille poesie e contemporaneamente di dare vita ai suoi sogni attraverso i quadri che presso lo studio-scrittoio di Via Ozenam mostra ai passanti, alle scuole e agli addetti ai lavori. 
Ma i suoi racconti ottenuti attraverso fonti di un quartiere ancora in bilico fra borgata e costola del centro hanno interessato gli inquirenti e la stampa vista la sicurezza e la forza con cui li propaga.
 Sul posto all’idroscalo di Ostia, direbbe dunque la nuova versione, oltre alla macchina dello scrittore c’era anche una Fiat 1500, un’altra GT uguale a quella di Pasolini e una moto Gilera 125 guidata dai fratelli Borsellino per giungere al posto convenuto. Parrello questa verità la grida da sempre ma aggiunge a questa una Vespa: il posto della mattanza sembra sia stato molto affollato.
 Un posto deciso per uno scambio, quello delle bobine di “Salò”, sottratte mesi prima insieme a film di Fellini e Damiani nello stabilimento cinematografico “Technicolor” sulla Tiburtina. Altro fattore fondamentale (anche questo ripetuto da mesi da Pecetto e confermato nel libro dell’unico incriminato per la morte del poeta) è il livello di conoscenza che esisteva fra i due. 
Non più soltanto limitato alla sera del 1° novembre e il noto percorso Termini-trattoria Biondo Tevere-Idroscalo, bensì precedente di 4 mesi. 
Delitto Pasolini: una verità tutta da (ri)scrivere?
Da lì la fiducia riposta nel ragazzo, nonostante i timori che accompagnavano le ultime giornate di Pasolini inseguito ormai da minacce e aggressioni. Dati di cui il procuratore titolare dell’inchiesta Francesco Minisci dovrà ormai tener conto. 
L’omicidio fu ricostruito 10 giorni dopo dal regista e amico di Pasolini, Sergio Citti scomparso nel 2005, che come molti altri in questa storia sembra avere avuto un doppio ruolo insieme cosciente e inconsapevole. 
Nella verità di Pelosi, Citti avrebbe partecipato al furto delle bobine, per saldare un debito, con la regia di un personaggio che ben si aggirava tra la Roma contaminata dal crimine: Sergio Placidi, seme promettente della Banda della Magliana che maturerà di lì a poco. La testimonianza rimase negli archivi della cineteca di Bologna per oltre 30 anni e il regista di “Storie Scellerate” la commenterà solo in punto di morte davanti all’avvocato Guido Calvi: il tutto ripreso da Martone. 
La ricostruzione di Citti si basava sul racconto di un pescatore, abitante delle baracche, che gli rivelò: la presenza di altre persone, la prima fuga di Pasolini dopo il pestaggio e il breve inseguimento finito sul suo corpo con l’altra Alfa GT di colore azzurro scuro, provocandone la fine fatale fino a fargli scoppiare il cuore. 
Delitto Pasolini: una verità tutta da (ri)scrivere?
Di quella macchina parlerà Pecetto poi ai magistrati facendo nomi e cognomi dei due carrozzieri cui fu richiesta la riparazione, entrambi ancora viventi. Il carrozziere che si rifiutò di farlo (Marcello Sperati), aveva visto le condizioni di quella macchina, condizioni appurate dal perito di parte Faustino Durante. Il carrozziere che la riparò (Luciano Ciancabilla) ancora abita a Donna Olimpia. 
Dunque già allora era possibile verificare la presenza di quest’auto e ricostruire una diversa dinamica. Secondo quanto raccolto da Pecetto fu Antonio Pinna a portare la macchina sporca di fango e sangue a riparare. Antonio Pinna era già adulto al tempo e conosceva giri altri, forse riferiva di quest giri allo stesso scrittore. 
 L’uomo scompare, ma non il suo corpo, nel 1976 il giorno stesso dell’arresto dei due fratelli Borsellino, poi scarcerati: sul suo fascicolo da allora la sola scritta TOP SECRET rinvenuta grazie alla ricerca di un sedicente figlio illegittimo Massimo Boscato. La presenza dei due fratelli ormai morti, inoltre, non verrà più ritratta dal Pelosi. 
Delitto Pasolini: una verità tutta da (ri)scrivere?
La lista degli oggetti rinvenuti nell’Alfa Romeo di Pasolini comprendeva anche un plantare destro numero 41 con sopra delle lettere (una M e una T): una sequenza consunta o cancellata di un nome. 
Questi pochi dati porterebbero a Johhny Lo Zingaro, alias Giuseppe Mastini che Pelosi conobbe in carcere durante gli anni sfregiati. Il collegamento con Mastini al plantare, non appartenente né al Pelosi né allo scrittore, è rimasto spesso su carte e tesi senza il coraggio di un vero accertamento, visto che un plantare veniva usato da Mastini a seguito delle conseguenze di una sparatoria. 
Forse il reperto non appartiene a lui ma manca questo dettaglio e andrebbe appurato. Così come andrebbe appurato un altro elemento, ossia la testimonianza di un collaboratore di giustizia, Damiano Fiori, che nel 2000 affermò di aver raccolto una confidenza in carcere dello zio di Johnny, Aldo Mastini, il quale confermò la partecipazione del nipote all’omicidio. 
A seguito di quella testimonianza, incrociata con altre dello stesso tipo, furono interrogati Pelosi e Lo Zingaro che ovviamente negarono. L’unico a non essere stato interrogato fu lo stesso Aldo Mastini, attualmente collaboratore di giustizia. 
 L’implicazione dello Zingaro è sempre stata, e lo è tuttora, confutata dal Pelosi che anche durante l’ultima intervista su Rai Due ha dichiarato: «Quella notte Johnny non c’era, ma se il magistrato vuole togliersi qualsiasi dubbio faccia pure il confronto e inviti Mastini a fare il test del dna». «Johnny» - continua - «ha sempre ammesso i suoi delitti, lo avrebbe fatto pure per Pasolini». 
Sicurezza su quanto conosce o un messaggio implicito a qualcuno? Pelosi parla la prima volta nel 2005 in carcere davanti alle telecamere di “Ombre sul Giallo” e riferisce un’ancor più parziale verità per paura.
Delitto Pasolini: una verità tutta da (ri)scrivere?
Da sempre dunque misteri, depistaggi sembrano tutti confluire: la morte sospetta per suicidio di un giornalista free lance collaboratore della Fallaci, Mauro Volterra, avvenuta nel 1989 e la ritrattazione di testimoni vicini a Pasolini, come quella della cugina ed erede Graziella Chiarcossi sul furto subito in casa all’Eur e sul rapporto della macchina di Pasolini. 
La versione ufficiale parla dell’arresto di Pelosi sul lungomare di Ostia mentre viaggiava velocemente contromano, escludendone invece il ritrovamento sulla Tiburtina alle 3 del mattino. Ma su questo fatto rivelato a suo tempo da Citti non si è mai approfondito. Nella messe di tutti questi dettagli fondamentali ma non unici (la storiografia di questa vicenda ne attraversa molti altri impossibili da sintetizzare qui) incastrare gli assassini materiali ancora vivi non può essere l’ultimo passo. 
Lo hanno spiegato bene in “Profondo Nero” (Chiarelettere, 2009) Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza in una tesi che collega le morti di Mauro de Mauro e Pasolini alla scomparsa dell’allora presidente dell’Eni, Enrico Mattei. La morte dell’intellettuale ha fermato l’ampia azione culturale e di denuncia posta da lui in atto, beneficiando molte persone così che i moventi si sovrappongono e dipanano alimentando la confusione, ma il filo conduttore è unico ed è incastonato tra le crepe di questo Paese.

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