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Delle fin troppo precoci previsioni – tre All-Star di domani

Creato il 29 luglio 2012 da Basketcaffe @basketcaffe

Ogni anno in NBA ci sono dei giocatori che fanno il famoso “salto di qualità” ed in particolare quello più difficile da fare fra tutti, cioè il salto da ottimi giocatori ad All-Star. La parola “All-Star” definisce quella ristrettissima cerchia di giocatori che si esibisce un weekend all’anno nell’All-Star Game appunto, dopo essere stati votati dai fan (i quintetti titolari) o dagli allenatori (i panchinari): in pratica sono la crème de la crème, l’elite della lega più competitiva del mondo.

Chiaramente la presenza fissa nell’All-Star Team durante il corso di anni successivi è sintomo che il giocatore sta facendo l’ultimo salto di qualità possibile, quello che porta alla Naismith Memorial Basketball Hall of Fame, cioè all’immortalità cestistica. Recordman di chiamate è Kareem Abdul-Jabbar, con 19 selezioni All-Star, un primato praticamente imbattibile; segue Shaq O’Neal con 15 presenze, un personaggio immancabile sul parquet e di fronte alle telecamere, mentre con 14 presenze troviamo un gustoso quintetto fatto di Kobe Bryant, Kevin Garnett, Michael Jordan, Karl Malone e Jerry West. Per arrivare a questi livelli però, da qualche parte bisognerà pure iniziare ed a questo proposito l’anno scorso ci sono stati ben 6 debuttanti all’All-Star Game, segno di un anno di transizione: infatti dopo molti anni non sono stati chiamati dei veterani come Duncan, Garnett, Ray Allen, Pau Gasol e Stoudemire, a favore degli esordienti Bynum, Aldridge, Gasol (Marc), Deng, Hibbert ed Iguodala. È probabile che qualcuno di questi giocatori non si confermi a livelli di All-Star (Deng? Gasol? Iguodala?) e che qualche altro veterano scivoli fuori dai roster (Pierce? Joe Johnson? Nowitzki? Nash?), liberando quindi dei posti per il prossimo All-Star Game. C’è un parere quasi unanime nel mondo dell’NBA che James Harden ed Eric Gordon (se non dovesse infortunarsi ancora) saranno dei futuri All-Star, ma con ogni probabilità non saranno gli unici debuttanti, motivo per cui con questo articolo voglio presentare altri tre possibili All-Star del 2013.

DeMarcus-Cousins - © 2012 nyfwc.com

Che ci fa quell'etichetta sul colbacco? L'avrà mica rubato?? Non farmi scherzi a DeMà...

DeMarcus Cousins è già adesso uno dei lunghi più dominanti della lega e lo è stato la stagione scorsa, anche se in molti non se ne sono resi conto. Personalmente lo ritengo il miglior centro non chiamato Howard o Bynum, con ancora così tanti margini di miglioramento da poter superare entrambi. Cousins si affaccia al suo terzo anno in NBA forte di due ottime precedenti stagioni: nell’anno da rookie le sue medie dicevano 14.1 p, 8.6 r, 2.5 a, 1 s, 0.8 b in 28.5 minuti, mentre da sophomore è migliorato quasi ovunque, totalizzando 18.1 p, 11.0 r, 1.6 a, 1.4 s, 1.2 b in 30.5 minuti. Inoltre ha migliorato la sua percentuale dal campo (45% vs 43% ed ai liberi 70% vs 69%), mentre la diminuzione negli assist a partita è dovuta più al fatto che ha dovuto trascinare personalmente una squadra disastrata, che ad una personale regressione nella capacità di passare il pallone. I problemi più grandi sul parquet per Cousins nei suoi primi anni sono stati principalmente tre: 1) una tendenza ad accontentarsi (o a fidarsi) troppo del suo jumper dalla media invece di sfruttare il suo fisico ed il suo footwork (già uno dei migliori fra i lunghi NBA) per guadagnarsi canestri più facili, cosa che spiega la sua FG%, un po’ bassa per un centro; 2) i Turnover, cioè le palle perse, che sono ancora molte (2.7 la scorsa stagione, secondo solo a Dwight Howard nei centri), sintomo di una capacità decisionale che deve maturare, ma anche di quanto detto sopra per giustificare gli assist: le palle perse lievitano automaticamente quando si ha tanto la palla in mano e si deve trascinare una squadra da soli (vedasi anche il caso estremo di Jeremy Lin). Anche in questo caso però i segnali di miglioramento sono molto positivi, dato che il primo anno Cousins faceva 3.3 TO a partita. Infine il problema forse più grosso, in quanto limita i suoi minuti sul parquet, sono i falli commessi: la scorsa stagione DeMarcus si è ripetuto nel poco invidiabile primato di essere il giocatore più falloso dell’NBA, con 4 falli a partita, distaccando di mezzo fallo il secondo (Paul Millsap con 3.5) e di ben un intero fallo gli altri centri più fallosi (Chandler, Hibbert, Howard, tutti intorno ai 3 falli a partita). L’arte di limitare i falli è particolarmente importante per i lunghi, dato che per proteggere il canestro, incorrono nel dato rischio ad ogni penetrazione di un avversario, e non è un caso che i sopracitati Bynum, Hibbert e Chandler ci abbiano messo molti anni per imparare a stare lontani dal foul trouble. Anche qua un minimo di miglioramento fra il primo ed il secondo anno c’è stato (4.1 falli vs 4.0), ma se vorrà fare il suddetto salto di qualità dovrà limare di quasi un fallo a partita la sua media, che si traduce poi in quei 7/8 minuti in più a partita che sembrano pochi, ma che fanno la differenza.

Per quanto riguarda invece i problemi fuori dal campo, Cousins è stato ripetutamente accusato di scarsa maturità, a mio parere spesso ingiustamente: è famoso l’episodio in cui l’ex coach dei Kings, Paul Westphal lo accusò di voler essere scambiato e lo mise fuori rosa per una settimana, cioè fino al momento in cui gli stessi Kings licenziarono il coach ed affidarono le chiavi della squadra all’assistente Keith Smart, con cui Cousins si è subito trovato a meraviglia: a proposito di questa storia Cousins ha sempre negato le accuse e, considerato l’attaccamento dimostrato alla città e soprattutto ai compagni di squadra, non si fatica a credergli. Più di recente è stato Jerry Colangelo, direttore del programma USA Basketball, a sparare a zero su DeMarcus: in occasione dell’annuncio del roster olimpico di Team USA, Colangelo ha detto che “prima che (Cousins) faccia parte del nostro programma dovrà crescere un bel po’ “, ed anche che “deve essere più maturo come persona e come giocatore se vuole avere una grande carriera NBA”. Considerato che Team USA non ha mai avuto troppi problemi con delle personalità difficili e che Colangelo non è mai stato coinvolto in prima persona con DeMarcus Cousins (e quindi non lo conosce direttamente), le sue parole sanno di frasi fatte, prese dalla stampa, parole che si sarebbe potuto risparmiare per proteggere un giovane talento americano. Inoltre Cousins ha solo 22 anni, ed è quindi ovvio che debba ancora maturare come persona e come giocatore, sarebbe irreale pensare il contrario. D’altronde ci sono esempi molto più eclatanti di immaturità, come quello di Andrew Bynum (ve le ricordate le triple a caso “di protesta” durante questa regular season?), che è stato protetto molto meglio da una dirigenza molto più saggia come quella dei Lakers, o quello di Howard, il cui sorrisone lo ha protetto a lungo dal lato oscuro della stampa, ma forse ancora non per molto. Il Dwightmare in atto sta riuscendo nell’impossibile: essere più esasperante della Decision Lebroniana. DeMarcus Cousins è in rampa di lancio e nel giro di pochi mesi le sue prestazioni saranno così positive che, ci metto la mano sul fuoco, come per magia la stampa si scorderà dei suoi problemucci di maturità. Attenzione perché una stagione da 22/23 punti e 12 rimbalzi con manciate di assist, rubate e stoppate è dietro l’angolo, così come una convocazione all’All-Star Game.

MonroeVSCousins - © 2012 Kim Klement-US PRESSWIRE - sactownroyalty.com

destini intrecciati.

Nato nel 1990 e quindi coetano di Cousins è Greg Monroe, ed i due sono separati solo da due mesi (Giugno Monroe ed Agosto Cousins) e da due posizioni al draft del 2010, con Cousins scelto 5° assoluto e Monroe 7°. Quest’ultimo è il classico lungo che esce dal college di Georgetown, con ottimi fondamentali e capacità di passatore che vengono esaltate dalla Princeton offense degli Hoyas, ed è anche l’ultimo di una gloriosa scuola di big men che comprende Roy Hibbert, Alonzo Mourning, Mutombo ed Ewing. Dopo una stagione da rookie un po’ in sordina con 9.4 p, 7.5 r, 1.3 a in 28 minuti a partita, Monroe si è migliorato in tutte le categorie che contano, finendo il secondo anno con 15.4 p, 9.7 r, 2.3 a in 31.5 minuti di media, inoltre migliorando molto la percentuale ai liberi (74% vs 62%), che oltre ad essere un aspetto chiave nello sviluppo di un lungo, è sintomo di una meccanica di tiro che migliora e quindi di un jumper sempre più affidabile e con sempre più range. Come Cousins, Monroe si è trovato in una squadra con moltissimi problemi e poca identità (i Detroit Pistons degli ultimi due anni), fatto che lo ha aiutato ad avere uno spazio prominente nel gioco offensivo dei Pistons ma che ha fatto lievitare i turnover (2.4 vs 1.0 del primo anno, comunque un numero accettabile). Inoltre Monroe mostra la sapienza, rarissima nei giovani, nell’evitare il sovraccarico di falli (2.7 di media in 31 minuti), cosa che lo aiuta nel suo sviluppo dato che gli regala ulteriori minuti di gioco; l’unico difetto riscontrabile in Monroe come lungo è che non è un intimidatore di livello superiore nei pressi del canestro (0.7 stoppate di media l’anno scorso, 0.6 l’anno prima) pur essendo un 6’11” (2.11 m circa). È chiaro che il meglio di sé lo può quindi dare in compagnia di un lungo stoppatore molto forte in difesa, motivo per cui il frontcourt composto da Monroe ed il fresco rookie Andre Drummond sembra sposarsi molto bene e può essere, in prospettiva futura, il migliore dell’NBA.

L’ultimo di questi tre giocatori è quello che avrà bisogno più di tutti gli altri di una combinazione di fortuna ed opportunità per esplodere. Stiamo parlando di Nicolas Batum, ala piccola francese classe 1988, già da 4 anni in NBA, che pochi giorni fa ha firmato un contratto da $46 milioni in 4 anni con i Minnesota Timberwolves, contratto poi pareggiato da Portland, sua squadra originale, in quanto restricted free agent. Se andiamo a vedere le statistiche di Batum degli ultimi anni (grazie alla seguente immagine presa da NBA.com, cliccare per ingrandire), notiamo un miglioramento costante ma minimo, non esattamente di quelli che potrebbero preannunciare un’improvvisa esplosione qualitativa di un All-Star in divenire:

 

Delle fin troppo precoci previsioni – tre All-Star di domani

Ci sono nondimeno degli aspetti molto interessanti, come le statistiche difensive e le buonissime percentuali ai liberi e da tre punti. Purtroppo però le sue capacità difensive ed il suo tiro da tre sono proprio il motivo per cui Batum è stato utilizzato male dai suoi coach precedenti (e di conseguenza sottovalutato), che lo hanno relegato a specialista difensivo da un lato, e dall’altro lo parcheggiavano in un angolo in attesa di una tripla uncontested. Un ruolo alla Bruce Bowen, decisamente frustrante per un giocatore con il talento globale di Batum che non per nulla quest’anno ha tentato la fuga… nella fredda Minnesota (quindi potete immaginare quanto stesse bene a Portland). Anche se alla fine resterà a Portland, giorni migliori sembrano arrivare per Batum poiché tutta l’organizzazione dei Trail Blazers è in fase di rinnovo, dal GM (Neil Olshey) al coach (ancora vacante ma dovrebbe essere deciso nei prossimi giorni): la dirigenza sembra comunque puntare forte sui giovani con un quintetto super futuribile che dovrebbe recitare Lillard – Matthews – Batum – Aldridge – Leonard.

BatumMcMillan - © 2011-2012 Christian Petersen/Getty Images North America - zimbio.com

"Maledetto McMillan, quand'è che te ne vai?" Foto e pensieri di repertorio...

Ma in tutto ciò, starò forse esagerando? Perché pensare che un buon (e basta) giocatore come Batum potrebbe all’improvviso diventare un All-Star? La risposta è da trovarsi nel Febbraio scorso, in cui Batum ha sfruttato un momento (uno dei tanti della stagione NBA appena passata) di anarchia Portlandiana per ritagliarsi più spazio e più palloni giocabili: in quel periodo Batum ha catturato l’occhio di tantissimi addetti ai lavori, sparando medie di 18 punti, 5 rimbalzi, 2 assist e quasi 2 stoppate e 2 rubate a partita, il tutto mantenendo sempre bassissime le palle perse (meno di 2 a partita) e non intaccando le percentuali (vicino al 50% dal campo, il 43% da tre). Un giocatore incredibilmente efficiente quindi, ed uno che a mio parere è rimasto fino ad oggi “nascosto” (ma non a tutti, vedasi Minnesota o anche gli Spurs, anch’essi molto interessati) a causa del sistema di gioco e della maniera con cui è stato utilizzato: non sarebbe di certo la prima volta che succede una cosa simile, basti vedere il caso di Baylor della scorsa stagione.

Con Batum si chiude il capitolo delle fin troppo precoci previsioni riguardante gli All-Star di domani; nel prossimo, daremo un’occhiata ai possibili All-Star di dopodomani.


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