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Democrazia e Stato nazionale: una critica a Galli della Loggia

Creato il 13 marzo 2012 da Animabella

da www.micromega.net

È davvero curioso che per promuovere la necessità del ritorno a una piena sovranità statale si faccia ricorso all'argomento della scarsa democraticità delle istituzioni europee. A farlo, in due articoli apparsi il 7 e il 12 marzo sul Corriere della Sera, è Ernesto Galli della Loggia: “Appena una qualunque decisione, specie economica,” – scrive il professore – “esce dal singolo ambito statale ed è avocata dalla sede sovranazionale europea, essa esce dal circuito della discussione e del confronto interno alla collettività degli elettori di quello Stato. I suoi contenuti non sono più definiti dall'opinione della maggioranza esistente in quel Paese o dall'orientamento del suo governo. E prendono invece la forma ultimativa, calata dall'esterno, del 'prendere o lasciare'”.
Analisi ineccepibile, dalla quale gli europeisti traggono la conclusione della necessità di un rafforzamento della democrazia ai livelli sovranazionali, al fine di rendere quelle decisioni sempre meno “calate dall'esterno” e sempre più frutto di un processo decisionale democratico. Galli della Loggia invece, dalla stessa analisi, fa derivare la necessità di un ritorno a una sovranità statale forte, e lo fa sulla base della tesi di un rapporto strettissimo, anzi necessario, tra democrazia e Stato nazionale, che sarebbe “l'unico contenitore possibile entro il quale possa esercitarsi l'autogoverno di una collettività”, ossia la democrazia.
Il nesso indissolubile tra democrazia e Stato nazionale sarebbe per Galli della Loggia dimostrato sia sul piano storico – e qui nulla da eccepire – sia su quello logico perché “la spinta all'autogoverno non può nascere tra individui sparpagliati che semplicemente 'si conoscono'. Può sorgere solo all'interno di una comunità data, di un demos per l'appunto, che si riconosca preliminarmente come tale”. Ma siamo sicuri che questo demos così necessario alla nascita della democrazia sia completamente “dato” e non anche in qualche senso “costruito”. Quale ruolo Galli della Loggia assegna nella storia all'azione, in senso arendtiano? Possibile che la democrazia sia semplicemente l'automatica e involontaria conseguenza di fattori “dati”? Anche la storia del Risorgimento italiano, forse, ci insegna che il demos quale precondizione prima dello Stato unitario e poi della (faticosa) democrazia è forse più una testarda costruzione che un dato naturale.
L'argomentazione di Galli della Loggia poggia su un'equivalenza che certamente ha un fondamento storico, ma che forse può essere messa oggi in discussione: quella tra sovranità popolare (fondamento della democrazia) e sovranità nazionale. Se fino ad oggi la sovranità del popolo si è sempre espressa nella forma della sovranità della nazione, siamo proprio sicuri che si tratti di una legge di natura? Se, anziché utilizzare l'espressione un po' retorica di “sovranità popolare”, facciamo ricorso a una più formale come “sovranità dei cittadini”, risulta già più chiaro che fondamento della sovranità (del popolo) è la cittadinanza e l'ampliamento della base della cittadinanza porterebbe con sé come conseguenza uno “sfondamento” dei confini della “nazione”. Non solo in direzione sovranazionale, ma anche all'interno dei propri confini: non è un caso che le forze più euroscettiche siano anche quelle più ostili all'idea della cittadinanza per ius soli.
La posizione di Galli della Loggia è ovviamente perfettamente legittima. Ma da essa vanno tratte tutte le conseguenze: usciamo dall'Unione europea (non solo dall'euro) e cerchiamo anche la via dell'autarchia, in un mondo di piccole patrie. A meno che non si voglia accettare l'idea che la democrazia va bene negli affari interni, mentre sulle questioni sovranazionali i cittadini, sovrani nel proprio giardino, debbano essere sudditi di quello che torna ad essere un Leviatano.

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