Il limite principale del film di Vicari è quello del voler mettere in scena un evento che ha goduto della filmabilità maggiore di questi ultimi anni, divenendo un fenomeno mediatico ripreso da più angolazioni e prospettive, eccetto ciò che all'interno della Diaz è avvenuto nella sua integralità.Si potrebbe parlare anche di mancanza di sufficiente distanza storica, ma in un paese come il nostro non sembra esservi mai abbastanza distacco dagli eventi controversi della nostra storia al punto tale da poterli raccontare secondo una prospettiva ampiamente condivisibile. Eppure, come detto sopra, questo è stato forse uno degli eventi mediatici più emblematici di questo millennio e Vicari ha giustamente provato a fornire una sua visione e versione dei fatti, per quanto fondata su documenti e carte processuali.Il film però per la sua struttura narrativa non convince del tutto, perchè tenta di emulare un'apparente molteplicità prospettica, che oltre a risultare leziosa, rischia anche di banalizzare alcuni aspetti della vicenda stessa, per quanto il male e la violenza siano spesso intrisi di banalità.La violenza messa in scena da Vicari, seppur cruda e realistica, trascende in alcuni momenti in una retorica della stessa, rischiando di svuotare di senso e di potenza il messaggio di accusa tant'è, che i vari personaggi che costituiscono il variegato mondo di vittime e carnefici di tale dramma, finiscono col diventare banali se non addirittura stolti nella loro rappresentazione idealizzata e cristallizzata per immagini. Tutto ciò scaturisce dal limite di fondo che un evento come questo, filmato e fotografato, nonché studiato e infine divenuto oggetto di una serie di procedimenti penali con esiti frustranti per le vittime, si pone come filmicamente irrappresentabile, senza incorrere in visioni a tratti semplicistiche, per quanto sia innegabile lo sforzo profuso dal regista, ma tutto non sembra alla fine girare come dovrebbe e il senso ultimo della realtà sembra diventare sempre più sfocato.
Magazine Cinema
Il limite principale del film di Vicari è quello del voler mettere in scena un evento che ha goduto della filmabilità maggiore di questi ultimi anni, divenendo un fenomeno mediatico ripreso da più angolazioni e prospettive, eccetto ciò che all'interno della Diaz è avvenuto nella sua integralità.Si potrebbe parlare anche di mancanza di sufficiente distanza storica, ma in un paese come il nostro non sembra esservi mai abbastanza distacco dagli eventi controversi della nostra storia al punto tale da poterli raccontare secondo una prospettiva ampiamente condivisibile. Eppure, come detto sopra, questo è stato forse uno degli eventi mediatici più emblematici di questo millennio e Vicari ha giustamente provato a fornire una sua visione e versione dei fatti, per quanto fondata su documenti e carte processuali.Il film però per la sua struttura narrativa non convince del tutto, perchè tenta di emulare un'apparente molteplicità prospettica, che oltre a risultare leziosa, rischia anche di banalizzare alcuni aspetti della vicenda stessa, per quanto il male e la violenza siano spesso intrisi di banalità.La violenza messa in scena da Vicari, seppur cruda e realistica, trascende in alcuni momenti in una retorica della stessa, rischiando di svuotare di senso e di potenza il messaggio di accusa tant'è, che i vari personaggi che costituiscono il variegato mondo di vittime e carnefici di tale dramma, finiscono col diventare banali se non addirittura stolti nella loro rappresentazione idealizzata e cristallizzata per immagini. Tutto ciò scaturisce dal limite di fondo che un evento come questo, filmato e fotografato, nonché studiato e infine divenuto oggetto di una serie di procedimenti penali con esiti frustranti per le vittime, si pone come filmicamente irrappresentabile, senza incorrere in visioni a tratti semplicistiche, per quanto sia innegabile lo sforzo profuso dal regista, ma tutto non sembra alla fine girare come dovrebbe e il senso ultimo della realtà sembra diventare sempre più sfocato.
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