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Ci sono voluti undici anni per illuminare la notte più buia. Era il 21 luglio del 2001, il G8 di Genova era finito da poche ore, i manifestanti stavano preparando le valigie. Dietro di loro, una città devastata e un cadavere, quello del ragazzo Carlo Giuliani.
Nessuno si aspettava quello che stava per accadere dentro la scuola Diaz, un dormitorio d'emergenza per giovani e anziani che avevano preso parte alla mobilitazione di quei giorni. La “catena di comando” che coordinava le forze dell'ordine in servizio a Genova aveva deciso di andare a stanare i black bloc, gli uomini in nero che si erano resi protagonisti degli episodi più violenti di quel G8.
Com'è finita, adesso, lo sappiamo: una “macelleria messicana” - copyright di Michelangelo Fournier, all'epoca vice questore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma – che portò al fermo di 93 attivisti, oltre che al ricovero ospedaliero di 63 persone, tre in prognosi riservata, una in coma. Poi, le violenze sarebbero continuate a Bolzaneto, nella caserma che per qualche giorno uscì dalla Repubblica Italiana ed entrò nel Cile di Pinochet.
Per questi abusi, il tribunale di Genova ha condannato, nel 2008, 15 dei 44 funzionari di polizia coinvolti. Adesso, però, non c'è più via di scampo: alla Diaz non si trattò di “intervento legittimo” come concluse la Commissione d'indagine parlamentare presieduta da Donato Bruno (Forza Italia), ma fu un pestaggio indiscriminato, una mattanza a base di manganellate, ossa rotte, urla disumane, teste sbattute sui muri, insulti, sputi, cori fascisti, umiliazioni di ogni genere. Diaz non è più un generale della Prima Guerra Mondiale, ma il simbolo di una violenza che non conosce pari nella storia della Repubblica.
La Corte di Cassazione, nel tardo pomeriggio di ieri, ha confermato tutte le condanne inflitte ai vertici e agli agenti di polizia nei precedenti due gradi di giudizio, più, ha detto quella parola magica che ha lasciato di stucco anche i giuristi più navigati: “interdizione dai pubblici uffici”, per cinque anni. In pratica, la polizia italiana si ritrova decapitata. Promozioni, carriere fulminanti. Tutto da rifare.
E' la nemesi per chi quella notte agì indisturbato, protetto dall'anonimato, armato di “tonfa”, certo di vivere il resto della propria vita nell'assoluta impunità. E, invece, il giorno del giudizio è arrivato. Giovanni Luperi – all'epoca vicedirettore dell'Ucigos e oggi capo sezione analisi dell'Aisi, condannato a quattro anni. Stessa pena per Francesco Gattieri, ex Sco, adesso capo del Dipartimento centrale anticrimine, nonché (ormai ex) papabile per la successione di Manganelli a capo della polizia. Vincenzo Canterini, ex dirigente del reparto mobile di Roma, attualmente in pensione, vedrà invece ridursi la sua condanna a cinque anni, per sopraggiunti termini di prescrizione. Confermata la condanna a Gilberto Caldarrozzi – tre anni e otto mesi –, che a Genova c'era come vicedirettore della Sco. La sua è una delle condanne che fanno più rumore, era considerato una specie di eroe: si deve a lui, infatti, l'arresto di Provenzano e la “svolta” per la bomba di Brindisi. Tre anni e otto mesi di condanna anche per Spartaco Mortola, nel 2001 capo della Digos di Genova e oggi dirigente della Polfer a Torino.
La colpa di questi dirigenti è di aver mentito nella gestione dell'intervento e nella compilazione dei verbali d'arresto. Gli otto capi squadra agli ordini di Canterini – accusati di lesioni –, invece, vanno incontro alla prescrizione. Menzione a parte per Massimo Nucera, l'agente che si auto-accoltellò, e Maurizio Panzieri, che mentì per appoggiare il collega: per loro la pena è di tre anni e cinque mesi. Resta fuori Gianni De Gennaro, allora capo della polizia e oggi sottosegretario del governo Monti. Nel 2009, i pm chiesero e ottennero la sua assoluzione per il reato di istigazione alla falsa testimonianza, per aver indotto l'ex questore a dichiarare il falso sui fatti della Diaz.
Ma le condanne di ieri sono comunque una sua sconfitta, i “suoi” vertici, il “suo” sistema è crollato come un castello di carte. Le parole della Cassazione sono da leggere anche come un giudizio pesantissimo sulla gestione dell'ordine pubblico durante quei giorni di luglio. Fu lo stesso De Gennaro ad ammetterlo, a botta calda: “L'attività preventiva è stata inferiore alle aspettative”. Già, perché andando a scavare nelle cronache di undici anni ecco che rispuntano fuori le – allarmanti – veline dei servizi, quelle in cui si parlava di rischio concreto di un attacco terroristico, o di infiltrazioni da parte di estremisti islamici, o addirittura di preservativi pieni di sangue infetto da lanciare sui poliziotti.
Un film che non sarebbe mai stato proiettato.
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