di Mariano Bizzarri*
*docente universitario di biochimica
Recentemente, l’Arcivescovo di Milano, il Cardinale Angelo Scola, ha avuto modo di esprimere un’acuta riflessione sul rapporto tra “Verità scientifica” e “verità metafisica”: «Chiediamoci: si può ancora sostenere che una simile forma di esperienza, l’esperienza cristiana, sia ragionevole? La sua rivendicazione della verità poggia su solide basi? Pensiamo, ad esempio, alla obiezione di quanti, a partire dalle strabilianti scoperte della scienza, sostengono che tutto è solo Natura (“naturalismo biologico”). Ebbene noi possiamo, come credenti, accettare tutti i risultati comprovati delle scienze naturali – sottolineo tutti i risultati, non tutte le loro interpretazioni e non ogni loro uso – integrandoli con l’esistenza di un Dio Creatore e Redentore dell’universo. Non sono pochi gli scienziati credenti a testimoniarlo».
Il passaggio chiave dell’omelia è il seguente: «noi possiamo, come credenti, accettare tutti i risultati comprovati delle scienze naturali – sottolineo tutti i risultati, non tutte le loro interpretazioni e non ogni loro uso». Questa osservazione ci permette di mettere a fuoco due aspetti, spesso trascurati da una certa pubblicistica volutamente interessata a mettere in ridicolo il messaggio della Bibbia. Innanzitutto ci viene implicitamente ricordato che il senso profondo delle Sacre Scritture vada inteso in senso metafisico e simbolico, non già interpretato alla lettera, dacché “la lettera uccide lo spirito”. Quanti, alla stregua di Odifreddi, si sforzano di rendere evidenti le incongruenze (palesi) del dettato biblico con i dati scientifici, rimarranno delusi: solo uno sciocco può, infatti, pensare di attenersi alla lettera di una sentenza sapienziale il cui significato, non a caso, come ammonisce il Cristo, sfugge ai “sapienti di questa terra”.
In secondo luogo le parole dell’Arcivescovo di Milano riaffermano la fondamentale distinzione che intercorre tra il dato scientifico e la sua interpretazione. Dati eguali possono dare luogo a teorie interpretative affatto simili. Basti pensare alla Rivoluzione Copernicana: le osservazioni astronomiche avevano per lungo tempo sostenuto una teoria capace di reggere alla prova dell’esperienza e in grado di produrre predizioni esatte e verificabili, ma rivelatasi successivamente “falsa”. E questo a dispetto del fatto che, sin dai tempi più remoti, fosse già stata formulata una più corretta interpretazione che poneva il Sole al centro del sistema planetario (Aristarco di Samo ed Eraclide Pontico) e che postulava la rotazione della Terra intorno al suo asse (Platone). La storia della Scienza è piena di casi del genere ed è anche assai istruttiva a tal proposito. Ed è una storia che regolarmente porta alla “falsificazione” di vecchie teorie, sostituite da nuove, dimostrando come il rifiuto delle costruzioni interpretative da parte della realtà è la sola informazione che possiamo ottenere dal mondo delle cose. Come ricorda Popper, «anche le migliori teorie sono sempre invenzioni. Esse sono piene di errori. L’ardita struttura delle teorie scientifiche si eleva , per così dire, sopra una palude. E’ come un edificio costruito su palafitte […] il fatto che desistiamo dal conficcare più a fondo le palafitte non significa che abbiamo trovato un terreno solido. Semplicemente ci fermiamo quando siamo soddisfatti e riteniamo che almeno per il momento i sostegni siano abbastanza solidi da sorreggere la struttura» (Logica della scoperta scientifica). Non diversamente Platone sottolineava nel Timeo come la conoscenza che possiamo avere del mondo del divenire – ontologicamente imperfetto – fosse necessariamente anch’essa “imperfetta”. Lo scientismo contemporaneo pretende invece di poter decodificare “leggi” assolute ed assolutamente vere, quasi che le teorie scientifiche fossero naturale conseguenza dei dati sperimentali realmente osservati. Disgraziatamente dimenticano ciò che, con grande acume già Kant aveva affermato: «Il nostro intelletto non trae le sue leggi dalla Natura, ma impone le sue leggi alla Natura».
Detto con le parole di un fisico contemporaneo (F. Selleri, “Fisica senza dogma”): «ogni creazione scientifica è profondamente condizionata dai pregiudizi dei suoi creatori, consci o inconsci che siano». Una constatazione dal sapore agrodolce, se si ricorda la definizione che lo stesso Einstein dette della Scienza: «una creazione dell’Uomo fatta nel tentativo di comprendere le proprietà del mondo reale». L’incompletezza delle teorie scientifiche assume poi un carattere tutto particolare quando si ponga mente alla loro traduzione tecnologica. Una teoria imperfetta, comporta spesso lacune gravissime sugli effetti inattesi che una determinata tecnologia può comportare a medio o a lungo periodo. Effetti “inattesi” che non di rado confliggono non solo con l’etica cristiana, ma con l’idea stessa di decenza, tout court. Pensiamo all’uso militare del nucleare, agli orrori delle sperimentazioni farmacologiche inadeguate, ai rischi delle modificazioni genetiche. E chi più ne ha, più ne metta.
Alla scienza non compete esprimersi quindi in termini di verità assoluta nell’ambito del cosmo manifestato, soggetto a continuo divenire e caratterizzato da leggi che, di tutta evidenza, esprimono la loro validità solo entro una determinata scala (si pensi alla relazione tra fisica quantistica e fisica newtoniana). Le affermazioni che riguardano invece la metafisica – il mondo della perfezione in accordo con la lezione platonica – sono atemporali e riguardano quella verità certa che invano l’Uomo si affanna a cercare altrove. Senza trovarla.