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Disconnect, la recensione: utenti disconnessi dentro

Creato il 12 gennaio 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

12 gennaio 2014 • Recensioni Film, Vetrina Cinema •

Il giudizio di Rosa Maiuccaro

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Disconnect: utenti disconnessi dentro

Attuale, emozionante e girato molto bene. Così si potrebbe definire Disconnect, primo lungometraggio del regista statunitense Henry Alex Rubin. La pellicola esplora gli effetti distruttivi di internet in un dramma sociale supportato da un cast di brillanti attori come Jason Bateman (Juno), Hope Davis (American Splendor) e Alexander Skarsgard (True Blood, Melancholia). Il regista era stato precedentemente candidato all’Oscar per il suo documentario Munderball, sulle Paraolimpiadi. Insieme allo sceneggiatore Andrew Stern, Rubin ha confezionato un film coinvolgente ed intelligente che fin da subito scaraventa lo spettatore all’interno del dramma familiare e personale attraverso le storie. Al centro vi sono un ragazzo (Jonah Bobo) vittima del cyber bullismo; una coppia (Alexander Skarsgard e Paula Patton) alle prese con un hacker che fa leva sul loro dolore per la perdita del figlio; un’ambiziosa reporter (Andrea Riseborough) che decide di curare un servizio sui ragazzi protagonisti di un sito pornografico, salvo poi invaghirsi di uno di questi, il prorompente Kyle (Max Thieriot). Un dramma avvincente su adulti ed adolescenti distrutti dall’abuso di Internet.

Jason Bateman e Hope Davis in Disconnect

Jason Bateman e Hope Davis in Disconnect

Da mesi leggiamo sui giornali le storie di giovani vittime delle angherie dei propri coetanei,che in più occasioni, per una foto su Facebook o roba simile, si sono tolti la vita. Questo film prova a spiegare, senza approfondire troppo, come questo possa accadere ed il ruolo di internet nelle nostre vite. Che siano una chatroom, Facebook, un cellulare o dei siti web, internet è costellato di pericoli. Nel film, il regista ci illustra, anche in modo molto violento, come il web sia diventato un mezzo attraverso il quale gli sciacalli riescono a manipolare le persone più vulnerabili, mettendoli al corrente dei loro segreti più intimi.

La sceneggiatura fa leva sulla paura della tecnologia e di un sistema che, seppur apparentemente regolato da password, non riesce a garantire la privacy degli utenti. Difficile immaginare che ci siano persone ancora inconsapevoli di questi pericoli ma di certo Disconnect crea grande suspense nonostante le sue ovvie osservazioni sulla tecnologia e la società. Quand’anche il tema avrebbe potuto rivelarsi una paranoia da talk show, Rubin evita questo rischio ricorrendo ad un tono sobrio e paziente che permette agli attori di fare la loro parte con la convinzione necessaria. Fin da subito con i titoli di apertura sulle note della bellissima Sail degli Awolnation, la pellicola si presenta molto accattivante e sofferta, catapultandoci nel mondo del sesso a pagamento.

Davvero toccante l’interpretazione di Bateman che, dopo aver esplorato il lato comico di internet nella commedia Io Sono Tu, è qui un avvocato il cui figlio è un teenager introverso che, a seguito di un episodio di cyber bullismo, tenterà di togliersi la vita. Molto intense le sequenze che lo vedono affrontare il duro colpo della verità. L’ottimo lavoro di due giovani attori come Jonah Bobo e Colin Ford (uno dei due bulli) sottolinea come la solitudine, specialmente in tenera età, possa risultare in delle cattive azioni, mettendo in discussione la linea di confine tra vittima e carnefice. Sebbene molti dei protagonisti del film appaiano piuttosto stereotipati e le loro vicende talvolta prevedibili, Disconnect è un film riuscito poiché rievoca in modo convincente la repressione e l’alienazione del Web. Nonostante non vi sia paragone con modelli del cinema insuperabili come Quelle due di William Wyler o Gioventù Bruciata di Nicholas Ray, Disconnect è perfettamente calato nel reale, fotografando, che ci piaccia o no, il nostro presente e, forse, anche il nostro futuro. Dopotutto, Disconnect vuole dirci proprio questo: il Web non fa male alle persone, le persone feriscono altre persone. Dunque il problema risiede più negli utenti che nella tecnologia stessa.

Di Rosa Maiuccaro per Oggialcinema.net

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