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Ore 9:25 del 14 luglio 2012: il treno regionale 2855 Voghera-Rimini esce dai binari all'altezza di Lavino di Mezzo, comune del bolognese situato tra Anzola dell'Emilia ed il capoluogo regionale.
Fortunatamente l'incidente non ha causato vittime, solo una trentina di feriti, ma è stato l'epicentro di una serie di ritardi e disservizi che si sono propagati a onde concentriche tanto geograficamente che temporalmente, scatenando una vera e propria giornata di passione per i viaggiatori della tratta che segue la Via Emilia e da lì prosegue verso Lombardia e Piemonte - e viceversa.
Questa è una di quelle storie.
Malgrado siano passate diverse ore dall'incidente, alle ore 15 il tabellone dei treni alla Stazione Centrale di Bologna evidenzia ancora pesanti ritardi sui treni che attraversano la tratta Castelfranco Emilia - Bologna, a volte anche superiori ai 60 minuti.
La speranza che il treno regionale 2132 Ancona-Piacenza sfugga a questo destino è destinata a restare vanificata: sebbene infatti il mezzo sia arrivato in orario a Bologna Centrale e le porte si siano chiuse all'orario prestabilito, subito una voce dagli altoparlanti gela i passeggeri: "Il treno partirà con 10 minuti di ritardo a causa del ritardo accumulato da altri mezzi."
Il messaggio non è molto chiaro, non si capisce se si deve attendere una coincidenza oppure se semplicemente bisogna dare strada a treni con maggiore diritto di precedenza; in ogni caso alla fine i minuti di ritardo saranno 25, un numero che salvo variazioni minimali si manterrà costante per l'intero, surreale, viaggio.
Al momento della partenza, improvvisamente, l'aria condizionata si spegne di colpo in alcuni vagoni; le lamiere, sotto il sole implacabile di Minosse, diventano fornaci, aumentando il disagio dei passeggeri.
Il treno procede a velocità - giustamente - ridotta fino al superamento del mezzo deragliato in mattinata, ancora nel bel mezzo dei binari ad oltre 6 ore dall'incidente, per poi procedere a pieno regime lungo la tratta: Castelfranco Emilia, Modena, Reggio Emilia, Parma, Fidenza, Fiorenzuola, e infine Piacenza.
L'asse Bologna-Piacenza è vitale per gli spostamenti tra Emilia Romagna e Piemonte, in particolare per le zone dell'alessandrino, dell'astigiano e del cuneese che non possono usufruire dell'Alta Velocità. Alcuni collegamenti tra Torino e Ancona sono diretti, altri prevedono appunto un cambio a Piacenza: il treno 2132 ricade proprio in questa seconda categoria: secondo l'orario delle Ferrovie dello Stato deve arrivare a Piacenza alle ore 17:02, mentre alle 17:17 parte il treno 2066 alla volta del capoluogo piemontese.
In questo sfortunato 14 luglio, il treno 2132 arrivava a Piacenza alle ore 17:23. Alcuni agenti delle forze dell'ordine, unitamente ai controllori, si informano su chi debba proseguire alla volta del Piemonte, allo scopo di bloccare la partenza del 2066 di quei minuti necessari ad attendere l'arrivo del 2132 e permettere il passaggio dei viaggiatori da un mezzo all'altro. "Chi prosegue per Torino troverà la coincidenza sul binario 1," è la comunicazione che i controllori spargono nei vagoni.
All'arrivo a Piacenza, tuttavia, il primo binario è vuoto, il treno già partito.
Una cinquantina di persone accaldate ed esauste si scaglia contro la biglietteria, anche con toni veementi, ma si ritrova dinanzi il classico muro di gomma: "non possiamo farci niente, non sono decisioni che prendiamo noi, attendete il prossimo treno." Già, due ore di attesa.
Ma le città toccate dal treno non sono le sole che devono essere raggiunte dai viaggiatori: c'è chi ad Alessandria o ad Asti deve prendere coincidenze per raggiungere i paesini della provincia, chi una volta a Torino deve proseguire perla Val di Susa, il Canavese o altre mete. Coincidenze saltate, e spesso il treno successivo non offre le medesime possibilità.
C'è chi chiede autobus sostitutivi, chi un treno speciale, chi, impossibilitato a raggiungere la meta, vorrebbe almeno il pernottamento a Piacenza. Tutte le richieste vengono rudemente declinate dietro il mantra delle responsabilità altrui; dell'azienda, dei dirigenti. Ma dei dirigenti nemmeno l'ombra.
Sono i tutori dell'ordine a rompere il piccolo assedio alla biglietteria di Piacenza: mentre uno riporta la calma tra i passeggeri furiori, il secondo si mette in contatto con Bologna per cercare di comprendere quale sia stato il disguido che non ha fatto sì che il 2066 attendesse il 2132.
Dopo un'ora di attesa, l'amara e surreale spiegazione: poiché i due treni fanno capo ad aziende diverse, rispettivamente del Piemonte e dell'Emilia Romagna, un "banale" errore di comunicazione ha fatto sì che Piacenza non ricevesse da Bologna l'ordine di far attendere il treno 2066.
Errore di Trenitalia, soluzione a carico di Trenitalia, direbbe la logica: e invece no. Approntare un treno speciale? Impossibile. Un bus sostitutivo? Ci vorrebbe troppo tempo, almeno quanto attendere il successivo treno per Torino. Pernottamenti per chi non potrà raggiungere la propria destinazione? I dirigenti che dovrebbero fornire le autorizzazioni misteriosamente diventano introvabili. Almeno dei taxi che conducano dalle stazioni di sosta del treno successivo ai paesi di destinazione i passeggeri? Anche qui servono autorizzazioni da parte dei dirigenti, anche qui chi deve fornire le autorizzazioni non si fa trovare. Rimborsi del biglietto? Nemmeno a parlarne.
Persino gli agenti, che si sono spesi con impegno a sostegno dei viaggiatori, escono sconfitti e frustrati dal confronto con la macchina amministrativa ostile e molliccia di Trenitalia, dove il gioco dello scaricabarile diventa evidenza palese della volontà di non pagare per le proprie mancanze ed i propri errori.
Il sistema ferroviario ha commesso due disservizi: il primo è stato nei ritardi prolungati a tutta la giornata seguiti all'incidente del treno 2855, ed il secondo è stato legato alle mancate comunicazioni che hanno fatto sì che il treno 2066 partisse senza attendere il treno 2132. Se il primo evento è stato dettato da cause impreviste, il secondo è piena responsabilità dell'azienda. Azienda che invece che pagare per i propri errori, oppone il più classico dei muri di gomma.
E così... e così si attende il treno successivo, si chiamano in preda al panico amici e parenti per organizzare missioni di recupero alle stazioni più vicine tra quelle toccate dal treno, mentre Trenitalia, chiusa nella sua vergognosa incomunicabilità, ride sotto i baffi per i soldi risparmiati in termini di rimborsi, spese di approntamento di mezzi supplementari e pernottamenti.
Forse Trenitalia avrà vinto questa battaglia contro questa sparuta cinquantina di viaggiatori ormai vinti e rassegnati, una battaglia giocata su poche migliaia di euro; ma di certo l'Italia sta perdendo la guerra, la guerra che ha come posta in palio i diritti, i buoni servizi e in ultima analisi quella che chiamiamo comunemente civiltà.