A distanza di 44 anni dalla legge 898/1970 (detta “Fortuna-Baslini”) confermata dal referendum del 1974 la politica sembra voler mettere mano alla legge sul divorzio e si preannuncia un altro duro colpo per i cattolici italiani. Infatti la commissione giustizia della Camera ha approvato all’unanimità il testo base sul divorzio breve che, se diventerà legge, ridurrebbe a dodici mesi (invece che agli attuali tre anni) i tempi della separazione: in caso di accordo tra i coniugi ed in assenza di figli minori il termine è invece di nove mesi.
Se la legge sul divorzio ancora non è stata digerita dalla Chiesa italiana, una sua modifica fa ancora di più allarmare i vescovi italiani. Il giornale della Conferenza episcopale italiana Avvenire titola “Divorzio breve, Pd e Fi ci riprovano” con un articolo a firma di Angelo Picariello che descrive il sostegno a questo disegno di legge di tutte le forze politiche dell’arco parlamentare. Una delle relatrici (Alessandra Moretti del Pd) vede uno sponsor addirittura in papa Francesco: «Anche i cattolici saranno più disponibili visto che questo Papa parla molto di accoglienza dei divorziati». Lapidario il commento su questa frase di Picariello: «ancora una volta si mescolano in modo un po’ grezzo questioni molto diverse fra loro».
Non è mancato l’intervento diretto dell’arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana cardinale Angelo Bagnasco: «I tempi più lunghi tra la separazione e il divorzio sono in una funzione di aiuto, non vogliono essere una coercizione». Un tipo di “aiuto” un po’ strano se si considera che non ci si può rinunciare.
Secondo il porporato i tre anni attualmente necessari sono «a parte della società e dello stato, una possibilità perchè le persone coinvolte possano far decantare l’emotività, le situazioni di conflitto per un tempo di maggiore riflessione e di pausa in modo da affrontare con maggiore serenità un passo così grave». Il presidente della Cei aggiunge: «Accorciare questo tempo apparentemente può essere una maggiore considerazione della libertà degli individui ma sarebbe, dall’altra parte, una facilitazione ad una decisione così grave, non solo per i coniugi ma per il paese intero perchè se due persone stanno insieme con un progetto comune questo è molto importante per tutta la società e non è un fatto meramente privato».
Come riporta l’agenzia Zenit a Radio Vaticana don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio Nazionale Cei per la Famiglia, ha affermato che una simile legge andrebbe «ancora di più a minare l’istituto del matrimonio, cioè a rendere più difficile la sfida del ‘per sempre’, che continua però ad affascinare tanti giovani, tanti conviventi, tanti che vivono la forma delle unioni di fatto e che però chiedono molto spesso alla Chiesa di offrire l’orizzonte del ‘per sempre’». Resta difficile da capire come il percorso delle tante coppie che vogliono continuare a stare assieme possa essere reso più difficile da una legge che permette (ma di certo non obbliga) a divorziare in tempi più brevi ed anche se don Paolo Gentile pensa che tanti chiedono «alla Chiesa di offrire l’orizzonte del ‘per sempre’» sono sempre di meno le coppie che scelgono la formula del matrimonio religioso optando per quello civile.
Molto acceso è Tommaso Scandroglio sulla Nuova Bussola Quotidiana che si scaglia contro la legge del 1970: «Vogliamo cioè dire (plularis maiestatis, ndr) che il divorzio breve è l’esito prevedibile delle premesse contenute nella legge sul divorzio (lungo) del 1970: accettata la possibilità di divorziare, poi i tempi per ottenere il divorzio sicuramente si sarebbero accorciati. Nel 1989 gli anni che dovevano trascorrere erano cinque, ora tre, domani uno e dopodomani salterà addirittura lo stesso istituto della separazione (così preconizza Diego Sabatinelli, segretario della Lega italiana per il divorzio breve)». Insomma secondo Scandroglio per opporsi al divorzio breve bisognerebbe abolire in toto la possibilità di divorziare come possibile da 44 anni: un po’ difficile che si possa concretizzare.
Il giornalista non manca di tirare in ballo il matrimonio per le coppie dello stesso sesso: «Così come i “matrimoni” gay di certo non sono voluti dalla maggioranza delle persone omosessuali: infatti dove lo Stato li ha legalizzati si registra a lungo andare un flop gigantesco. A margine: curioso che si sudino sette camicie per far passare il divorzio breve e se ne sudino altrettante per far “sposare” i gay. In altri termini, ci si impegna per rompere un legame che non si può rompere e per saldare un legame che non può venire ad esistenza. Contraddizione solo apparente: il minimo comun denominatore è infatti la lotta alla legge naturale (sintassi di Scandroglio, ndr)». Cosa c’entri il matrimonio per le coppie gay con la legge sul divorzio resta un “mistero della fede” anche se Scandroglio vede una strategia comune: «Un altro tratto di questo processo di sovvertimento dell’ordine morale naturale è dato dall’attacco alla famiglia. Aborto, contraccezione, fecondazione artificiale, eutanasia sono anche poderosi colpi d’ariete all’istituto familiare. Così pure e prima di tutto, come intuitivo, il divorzio. Anzi è a causa del divorzio che poi – anche cronologicamente – si sono diffuse altre pratiche perniciose. Distruggi questa cittadella fortificata che si chiama matrimonio e i nemici avranno facile accesso all’interno della sue mura ormai in macerie per spargere i semi di idee inique». Restano fuori le fantomatiche scie chimiche per fortuna.
Il divorzio sarebbe la causa di molti mali per Scandroglio: «Il divorzio uccide la felicità dei coniugi e dei figli. In merito ai primi, il lettore avrà notato che quando si dà notizia di un femminicidio nove volte su dieci si sta parlando di un ex: un ex coniuge o un ex fidanzato. La rottura del vincolo non è la soluzione ai problemi ma ingenera problemi». Quindi basterebbe eliminare il divorzio (e magari la possibilità di lasciarsi per le coppie che sono solo fidanzate) per risolvere il problema.
Ad ogni modo è ottimistica la chiusa di Scandroglio: «Prima i coniugi arriveranno al divorzio e prima questo vaso di Pandora si scoperchierà. Il vero nome del divorzio breve è dunque infelicità istantanea».
Ugualmente “apocalittico” Danilo Quinto sempre sulla Nuova Bussola Quotidiana: «Nei tempi che attraversiamo, potrebbe sembrare che questa discussione lasci un po’ il tempo che trova. Sono altri e più consistenti i colpi di scure che vengono dati – in nome della libertà! – ai principi sui quali per secoli si è formata la società. In realtà, l’ideologia che vuole divenire egemone usa la banalizzazione dell’istituto matrimoniale per scardinarli, quei principi e per introdurre piano piano, ma con strategia certa – in nome della “civile” legislazione degli altri paesi europei – vulnus irrimediabili».
Ha le idee molto “chiare” l’avvocato Massimo Fiorin che in una intervista all’organo di Comunione e liberazione Tempi propone la sua idea per una vera riforma della legge sul divorzio: «Se non ci sono motivazioni oggettive per arrivare al divorzio e c’è solo la volontà dei coniugi, allora è previsto per gli sposi un percorso obbligatorio di mediazione famigliare, per aiutarli a trovare una soluzione e spiegare loro le conseguenze. Questa sarebbe una vera riforma». Quella di Fiorin sembrerebbe solo una “boutade” ma è condivisa in un’intervista a Radio Vaticana anche da Alberto Gambino, ordinario di diritto privato all’Università Europea di Roma (quella dei Legionari di Cristo, ndr), che aggiunge: «Velocizzare a tutti i costi delle procedure, che hanno a che fare con la carne viva delle persone, lo trovo un aspetto molto delicato e molto affrettato che, tra l’altro, non tiene ben presente invece quella che è la concezione generale del nostro matrimonio e della nostra famiglia, come costituzionalmente indicato».
Parlando di Costituzione e famiglia è illuminante l’intervento del professor Pugiotto, ordinario di diritto costituzionale all’università di Ferrara, riguardo l’articolo 29 della Costituzione: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». Per il giurista il senso di questo articolo «non è in un presunto fondamento della famiglia sul diritto naturale, bensì su una preesistenza della famiglia allo Stato, una sua originarietà declinabile giuridicamente in termini di autonomia». Aggiunge Pugiotto: «Lo chiarì bene Costantino Mortati alla Costituente: “La stessa definizione della famiglia come società naturale, se ne analizza il significato, rivela il suo carattere normativo. Con essa si vuole infatti assegnare all’istituto familiare una sua autonomia originaria, destinata a circoscrivere i poteri del futuro legislatore in ordine alla sua regolamentazione”». Una tesi fatta propria anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza 138/2010 secondo cui con l’espressione “società naturale” «come si desume dai lavori preparatori dell’Assemblea costituente, si volle sottolineare che la famiglia contemplata dalla norma aveva dei diritti originari e preesistenti allo Stato, che questo doveva riconoscere». Nonostante Bagnasco sia del parere che il matrimonio non sia un «fatto meramente privato» per i nostri Padri Costituenti la famiglia doveva essere autonoma nei confronti dello Stato: nell’unirsi ed anche nel dividersi.
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