da “Documento” (1966-1973)
I fiori vengono in dono e poi si dilatano
una sorveglianza acuta li silenzia
non stancarsi mai dei doni.
Il mondo è un dente strappato
non chiedetemi perché
io oggi abbia tanti anni
la pioggia è sterile.
Puntando ai semi distrutti
eri l’unione appassita che cercavo
rubare il cuore d’un altro per poi servirsene.
La speranza è un danno forse definitivo
le monete risuonano crude nel marmo
della mano.
Convincevo il mostro ad appartarsi
nelle stanze pulite d’un albergo immaginario
v’erano nei boschi piccole vipere imbalsamate.
Mi truccai a prete della poesia
ma ero morta alla vita
le viscere che si perdono
in un tafferuglio
ne muori spazzato via dalla scienza.
Il mondo è sottile e piano:
pochi elefanti vi girano, ottusi.
Reduce da vicende spiacevoli durante il corso della sua vita, Amelia Rosselli, la poetessa italiana appartenente alla generazione degli anni Trenta, offre ai lettori, con la sua raccolta “Documento”, uscita nel 1976 da Garzanti, il lato più enigmatico della sua poetica e che più si avvicina a quei testi dallo stile arduo e oscuro. In questa raccolta la poesia si fa “documento” (secondo quanto scrive Daniele Piccini), in quanto espone da un lato puri riferimenti autobiografici o storici, dall’altro carica la parola di espressionismo e di vitalità propria di un “Poeta della ricerca”, citando i versi della stessa poetessa riportati in “Una scrittura plurale” (2004). La poetessa, nata a Parigi, vive un forte shock psicologico a causa dell’omicidio politico del padre e dello zio per volere del regime fascista, e tale evento risuona in numerose raccolte che svelano anche la nevrosi e l’irrazionalità a cui spesso Amelia Rosselli conduce i suoi versi.