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Dolci e tradizioni pasquali: “la pupazza ” e “ju cavallucciu”.

Da Marisa

 

pupazza_pasquale

La pupazza ” e “ju cavallucciu” sono due dolci di pasta biscottata a forma, appunto, di bambola  e di cavallo che a Roviano, ma anche negli altri paesi della Valle dell’Aniene, venivano donati ai bambini per la merenda della Pasquetta o della domenica successiva in Albis, come a Ciciliano.

Essi erano adornati con canditi rossi o ciliegie al posto delle bocche e chicchi di caffè o pezzettini di carbone al posto degli occhi ed avevano la singolare caratteristica  di avere collocato nella pancia un uovo tenuto fermo grazie a due cordicine di pasta intrecciate.

L’usanza di donare questi particolari tipi di dolci si perde lontano nel tempo e, mancando una vera e propria documentazione scritta, a parte notizie riportate in diversi testi da studiosi locali, l’unico mezzo che abbiamo per averne la testimonianza è cercare nella tradizione orale, nei ricordi delle persone anziane.

La bambolina, cui spesso veniva dato l’aspetto di donna matura con tanto di seni e braccia incurvate sui fianchi nella tipica posa in cui venivano ritratte le contadine nelle stampe sette-ottocentesche, poteva inoltre portare collanine fatte di confettini di zucchero.

Pupazza pasquale

Queste piccole opere d’arte commestibili presentavano delle sensibili differenze a seconda dei paesi e, quindi, dei diversi contesti socio-economici in cui venivano “scolpite” (un conto, ad esempio, se le impastava la nonna in casa, un altro se le confezionavano i forni locali!) sia  per quanto concerne la fattura, il nome e il tipo d'animale che rappresentavano.

Così, nei villaggi prossimi ai pascoli montani, in cui il principale mezzo di sussistenza era l’allevamento di equini e bovini, la rappresentazione più usata era quella del cavallo (ad eccezione di Cervara di Roma che, nonostante la sua collocazione ad oltre mille metri di altezza, risentiva del profondo legame culturale che aveva con Subiaco, situata sul fiume). Nei paesi più a valle, al contrario, in cui si trovavano soprattutto animali di piccola taglia, predominavano galli e lepri.

A Subiaco la bamboletta veniva chiamata “pigna”  e per i bambini, anziché “ju cavallucciu”, si modellava “ju valle” (gallo) con coda e cresta alzate. A Jenne, invece, i due tipi di dolci venivano chiamati “mammoccétta” e “cavajo”, mentre a Cervara di Roma il profumo de “la pignatèlla” e de “ju calluzzittu” (galletto)  appena sfornati riempiva le piccole strade del paese. A Marano Equo, caso unico,  per i bambini si confezionava “ju lèpere” (lepre) e per le bambine la “palommèlla” (donna paffuta, rotondetta) con braccia intrecciate sul ventre a reggere l’uovo.

 

  • Ingredienti

 

10 uova
750 gr di zucchero
farina q.b.
¾ dl. di vino
¾ dl di olio extravergine d'oliva
2 cubetti di lievito di birra
½ litro di latte
succo e scorza di 1 arancia
scorza di 1 limone
1 pizzico di sale
1 pugnetto di semi d'anice
1 uovo sodo
chiara d'uovo
confettini colorati, chicchi di caffé etc.

 

Preparazione: 15’ + 45’ di cottura.

  • Impastate tutti gli ingredienti, dopo avere sciolto il lievito nel latte tiepido e avendo l'accortezza di aggiungere il sale per ultimo, per non inibire la lievitazione.
  • Lasciare riposare coperto per un'oretta. Lavorare la pasta la forma di “pupazza” (con braccia, seni, grembiule etc.) oppure di cavalluccio (con maniglia).
  • Inserire l'uovo sodo nella pancia, fermandolo con una croce di pasta.
  • Spennellare tutto di chiara d'uovo e cospargere di confettini, chicchi di caffè a piacimento.
  • Cuocere in forno a 180° per circa 45 minuti.

 

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