Susie
“L’infanzia ha certi modi di vedere, di pensare, di sentire del tutto speciale;
niente più sciocco che volere sostituire ad essi i nostri”
J. J. Rousseau.
Immagino che sia capitato a tutti, come figli o come genitori, di sentire o fare questa domanda: “Cosa hai fatto oggi a scuola? cosa hai mangiato all’asilo?”Le ultime due risposte che ho sentito sono state indimenticabili:
Sara (Roma, 4 anni): Mi spieghi perchè a voi grandi interessa sempre cosa mangiamo?!!?
(Ecco, benvenuti nel mondo di Sara!)
Adele (Livorno, 2 anni): moticità
(Psicomotricità, unica risposta che la bambina dà alla mamma, tutti i giorni!)
Ora. I genitori e gli insegnanti davanti a queste risposte possono arrabbiarsi (mamma di Adele), stupirsi (mamma di Sara), o chiedersi cosa sta succedendo (la mamma linguista lo fa di mestiere, la mia è una deformazione professionale: spero possa essere utile
).Partiamo dalle risposte. Cosa ci stanno dicendo queste bambine? che la domanda è ormai un rito, di cui non capiscono il senso. O che assolvono come tale. Per i bambini, capire le nostre intenzioni più profonde può essere quasi un istinto ma, e qui c’è un contrasto che la dice lunga sulla complessità della comunicazione, capire le ragioni più strettamente linguistiche può essere difficile.
Quindi, come suggerisce la citazione, dobbiamo partire da quello che i bambini ci dicono e non da quello che ci aspetteremmo. Perchè la comunicazione è anche fatta da riti, da abitudini che incrostano o usurano le parole che usiamo, ma i bambini spesso non hanno queste abitudini e ci mettono davanti al senso vero. Penso a quando in inglese si dice “How are you?” senza aspettare la risposta dell’altro: ormai non si tratta più di una domanda, ma di un saluto equivalente al nostro ‘salve’ o ‘ciao!’ Non è facile però le prime volte che ti senti fare la domanda e ti ritrovi a rispondere al muro mentre il tuo interlocutore è già a chilometri di distanza (esperienza very newyorker).
Più o meno la stessa sensazione devono provarla i bambini: perchè la mamma mi fa sempre questa stessa domanda? cosa mi sta chiedendo?
E i genitori cosa stanno chiedendo? stanno assolvendo ad un rito, ad una pratica di cui a volte nemmeno loro sanno più il senso. Da un lato, si tratta di aprire una finestra di dialogo, come dire: “Raccontami di te, mi interessa sapere come stai, cosa fai quando non ci sono.” Può anche voler dire: “mi sento in colpa per doverti mandare all’asilo, sto male ogni minuto che non ci sei.” Oppure semplicemente: “Dimmi se ci sono rogne. Se devi fare compiti che sconvolgeranno i miei piani per il pomeriggio, se sarò di nuovo chiamato a parlare con le maestre.”
Insomma, un vero caos. Una pratica quotidiana che prende mille sfumature e significati. Può essere che tra genitore e figli si instauri una buona intesa, che ci si intenda sul significato. Susie nella vignetta ha deciso che per lei e sua madre è più soddisfacente chiudere il discorso, dicendo che è andato “tutto bene” (esattamente come nel nostra saluto “Come stai”, a cui si risponde, ma per lo più in modo non problematico e non sincero, dicendo sempre e solo “Bene grazie”).
Se i bambini danno risposte irrituali, non attese, è perchè non hanno ancora imparato lo schema, non sono ancora arrivati al punto di assolvere alla ritualità come fa Susie. O di condividere sinceramente il loro vissuto (c’è qualcuno che lo fa-spero).
Se dunque i bambini, a questa o altre domande, rompono lo schema, ce lo svelano e denaturalizzano, non ci resta che rinnovarlo in qualche modo.
Il primo passo (semplificando a scopo illustrativo la mia proposta), è quello di chiedersi cosa stiamo davvero chiedendo (voglio sapere se è stato/a bene, voglio sapere se ci sono compiti da fare) e poi, possibilmente, fare la domanda più diretta possibile (Ci sono compiti da fare per domani?).
E se il nostro primo pensiero è sapere come stanno o cosa provano i nostri bambini, il mio consiglio è quello di chiedere “Cosa ti andrebbe di fare ora? se hai tanto da studiare, perchè prima non facciamo una torta insieme?”
La condivisione di esperienze è il modo migliore per fare venire fuori in modo spontaneo i ricordi e le emozioni, e non solo quelle dei bambini.
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Immagine: Gocomics