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Dossier Iran: Chi vuole la guerra e perché; L’embargo del petrolio, i retroscena politici e le conseguenze economiche per l’Europa

Creato il 05 marzo 2012 da Tnepd
Dossier Iran: Chi vuole la guerra e perché; L’embargo del petrolio, i retroscena politici e le conseguenze economiche per l’Europa Il 31 dicembre, su pressione della Israel Lobby, il presidente americano Barack Obama firmava una legge che imponeva nuove sanzioni economiche contro la Banca Centrale Iraniana – una mossa strategica che aveva lo scopo principale di dissuadere gli alleati degli USA a proseguire i rapporti economici con l’Iran (pena il negato accesso alle istituzioni finanziarie statunitensi) e di punire le banche e imprese che avessero continuato a importare il greggio dell’Iran e a servirsi del suo istituto finanziario per eventuali transazioni. In altre parole, si trattava di «un’offerta che gli alleati non potevano rifiutare» : gli USA avevano già escluso le proprie banche da qualsiasi trattativa con la Banca Centrale Iraniana, e le potenze alleate venivano «invitate» ad aggregarsi in uno «spirito di cooperazione internazionale» che mirava a mettere in riga un paese, l’Iran, che ha l’ardire di sfidare la volontà di Washington e Tel Aviv, conservando la propria indipendenza politica a differenza dei vari signori del petrolio nella regione del Golfo asserviti ai padroni USA/GB/Israele. Di conseguenza, il 23 gennaio 2012 i ministri degli esteri europei (da notare: non i ministri dell’economia) hanno approvato le sanzioni contro l’Iran che comprendevano: l’embargo al petrolio iraniano con divieto a tutte le compagnie petrolifere europee di importare il greggio dell’Iran, il congelamento dei beni della Banca Centrale Iraniana in Europa, e il divieto di fornire all’Iran diamanti, oro e altri metalli preziosi.   Come è noto, il pretesto ufficiale per le sanzioni è costringere l’Iran a chiudere gli impianti nucleari dove, a dire di USA e Israele, sarebbe in atto un presunto tentativo di produrre armi atomiche. In realtà le sanzioni mirano al collasso dell’economia iraniana nella speranza che il popolo si rivolti contro il governo attuale. Si vuole, insomma, una ripetizione della storia degli anni ’50, quando il leader democratico Mossadech è stato rovesciato perché punito dai servizi segreti di USA e Gran Bretagna con sanzioni per avere osato nazionalizzare il petrolio iraniano. All’epoca, la CIA e la MI6 riuscirono a portare al potere lo scià Reza Palewi, che ha di fatto consegnato l’economia iraniana nelle mani delle potenze occidentali in cambio di ricchezza personale e potere. Per il popolo iraniano iniziava un periodo di grande sofferenza: per 25 anni l’odiato scià e la sua terribile polizia segreta instaurarono un regno di terrore. La rivoluzione Islamica del 1979 ne fu l’inevitabile conseguenza. Il popolo iraniano non ha dimenticato gli orrori sotto lo scià imposto dal nemico, e sembra improbabile che la storia possa ripetersi secondo gli schemi del passato. Le sanzioni comunque sono un espediente per provare a Israele che gli USA fanno sul serio in merito all’Iran e di fatto rappresentano il surrogato ad un attacco militare, fortemente voluto da Israele, ma per ora solo in cantiere per i motivi che illustreremo di seguito. Come sappiamo, in seguito alla decisioni della UE di aggregarsi alle sanzioni imposte dagli USA, l’Iran ha reagito prontamente annunciando una serie di contromisure nei confronti dei paesi europei. Infatti, l’Unione Europea prevedeva di interrompere l’import del petrolio iraniano a partire dal  1° luglio – e non prima – per dare ai vari paesi e alle rispettive compagnie petrolifere il tempo di organizzarsi in merito a nuovi fornitori e alle disposizioni logistiche. E invece l’Iran ha sorpreso tutti, annunciando l’intenzione di tagliare subito le forniture di greggio ad alcuni paesi europei, tra cui anche l’Italia. Alcuni giorni dopo tale dichiarazione, l’Iran annunciava ufficialmente l’interruzione immediata della fornitura di greggio a Francia e Inghilterra, le due potenze europee più aggressive nel promuovere le sanzioni all’Iran e nel minacciare pubblicamente con interventi militari, peraltro illegali secondo le convenzioni internazionali, che consentono azioni belliche contro un altro paese solo per difendersi da un attacco militare. E sappiamo che l’Iran – o la Persia – non ha attaccato un paese straniero da oltre due secoli. Dossier Iran: Chi vuole la guerra e perché; L’embargo del petrolio, i retroscena politici e le conseguenze economiche per l’Europa

Commentava l’autore e storico americano Webster Griffin Tarpley durante un’intervista rilasciata al canale news RT: «L’Iran ha deciso di contrattaccare boicottando le potenze europee più minacciose, a iniziare dai due grandi bulli nel cortile della scuola imperialista, gli inglesi e i francesi, che ora sono talmente deboli da potere agire solo in tandem su una sorta di bicicletta imperialista costruita per due. Con ciò, l’Iran ha assestato un colpo formidabile ai due regimi arroganti, cogliendoli di sorpresa quando non si erano ancora organizzati per forniture alternative a quelle del greggio iraniano».

Tuttavia, l’Iran lasciava aperta la porta alle altre nazioni europee messe sull’avviso (Spagna, Olanda, Grecia, Portogallo e Italia), specificando che il flusso del petrolio sarebbe proseguito verso quei paesi che acconsentissero a firmare contratti import a lungo termine con condizioni di pagamento a vista e saldo  tempestivo degli arretrati. Subito i media si sono dati da fare per rendere note le dichiarazioni rassicuranti dei portavoce europei in reazione all’aut-aut presentato dall’Iran. L’Italia si è affrettata a dichiarare che l’interruzione della fornitura del greggio iraniano non avrebbe creato alcun problema. Vedremo di seguito, se tale ottimismo sia davvero giustificato, oppure se si tratta di dichiarazioni irresponsabili. Una cosa è certa: il pubblico italiano (e non solo quello italiano) viene tenuto all’oscuro delle reali conseguenze di uno stop del flusso del greggio iraniano, sia che entri in vigore subito o tra mesi. In questo post alcuni esperti ci racconteranno la verità sul reale scenario che i pesi europei (e non solo quelli europei) si troveranno ad affrontare se saranno talmente folli da proseguire sulla linea dell’embargo per obbedire ai veri padroni dell’Italia e di altri paesi europei. Dossier Iran: Chi vuole la guerra e perché; L’embargo del petrolio, i retroscena politici e le conseguenze economiche per l’Europa

Meno risalto nei media hanno avuto invece le dichiarazioni di Mario Monti, che ammette le difficoltà che l’embargo creerà per l’economia italiana, tuttavia giustificando la decisione di aderire alle sanzioni contro l’Iran adducendo una serie di ragioni che hanno dell’incredibile a dir poco. In altre parti di questo post citeremo le parole di Monti raffrontarle alle dichiarazioni degli esperti che ci mettono in guardia contro l’ostilità verso l’Iran.

Intanto, l’annuncio dell’embargo del petrolio iraniano ha mandato in fibrillazione le borse e i mercati economici. Già si registra un aumento del prezzo di listino del greggio su base quotidiana.  Nel giro di una settimana, il prezzo del Brent è salito da 119 a 125 dollari per barile. Da quando Obama ha firmato l’embargo al petrolio iraniano due mesi fa, in USA il prezzo della benzina è aumentato del 10 percento. Per non parlare del fatto che la Vitol, la più grande società di commercio di greggio nel mondo con sedi in Rotterdam e Ginevra e operativa nel Canale di Suez, prevede che il prezzo del Brent arriverà entro breve a 150 dollari al barile, e che tale prezzo  è destinato a non scendere in un futuro prevedibile, anzi ad aumentare ulteriormente. A meno che … … A meno che non si metta fine immediatamente alla escalation delle tensioni intorno al “caso Iran” – un caso montato artificialmente e arbitrariamente da parte di Washington (+ Francia e Gran Bretagna) su istigazione di Israele e della sua Lobby che tiene il parlamento americano e quello britannico ben saldo nella sua morsa micidiale. Gli esperti onesti che leggiamo e ascoltiamo regolarmente, concordano tutti che il prezzo del petrolio è destinato a salire alle stelle – certo anche in conseguenza dell’embargo import-export del greggio iraniano destinato a provocare un collasso economico nell’Occidente, ma soprattutto per via delle costanti minacce di un attacco militare all’Iran, che appunto secondo gli esperti onesti provocherebbe una catastrofe di proporzioni tali da mettere a serio rischio le condizioni di vita del genere umano per come le conosciamo. E’ soprattutto la minaccia di una prospettiva bellica e la percezione di insicurezza che ne consegue, a rendere nervosi i mercati e le borse.
Dossier Iran: Chi vuole la guerra e perché; L’embargo del petrolio, i retroscena politici e le conseguenze economiche per l’Europa

Secondo un rapporto pubblicato sul sito della CNN, che cita le analisi degli esperti in energia fossile: «Il fattore più importante per l’aumento del prezzo del petrolio, e di conseguenza del carburante, è la preoccupazione che le tensioni con l’Iran possano sfociare nella guerra, con la chiusura dello Stretto di Hormuz e quindi l’interruzione del flusso di petrolio dall’area del Golfo Persico».

Il rapporto fa notare, che dallo Stretto di Hormuz passano ogni giorno 17 milioni di barili di greggio, che ammontano ad un quinto della produzione mondiale. Un quinto della produzione mondiale di petrolio che una guerra contro l’Iran impedirebbe di raggiungere le economie occidentali. Eppure, sia Israele che Washington, come anche l’Agenzia dell’Onu per l’Energia Atomica e ogni governo al mondo, sono ben consapevoli che l’Iran non possiede armi nucleari, non le sta producendo, e non ha intenzione di produrle. E tanto per fugare ogni dubbio in proposito, il 23 febbraio un articolo del Los Angeles Times rivelava che secondo un rapporto congiunto presentato dalle 16 agenzie di intelligence americane “Tehran non sta tentando di produrre armi nucleari”. Addirittura il rapporto del 2007 e del 2011 presentato dal parte dell’agenzia americana NIE (National Intelligence Estimate) esprimeva “fiducia elevata” nella natura pacifica del programma nucleare iraniano. Per non parlare del fatto che L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, i cui ispettori da anni stanno monitorando costantemente gli impianti nucleari dell’Iran, non ha mai trovato prove che avvallino la tesi secondo cui il programma nucleare civile di Teheran sia stato deviato verso la produzione di armi nucleari. E allora, perché l’Iran viene costantemente minacciato di attacco militare? Urge dunque una risposta a due quesiti importanti, tra loro collegati: 1 – Chi, da decenni ormai, vuole attaccare l’Iran’ e perché – pur comprendendo le conseguenze disastrose per tutti noi, ovunque nel mondo? E chi invece sta tentando di evitarla? 2 – Quale sarà l’impatto dell’embargo iraniano sul sistema energetico e sull’economia mondiale, specie quella  europea e compresa ovviamente quella italiana? Ma la domanda più intrigante, che nei media non viene affrontata, è sicuramente questa: 3 – A chi gioverà in ultima analisi l’embargo del petrolio iraniano imposto dall’Occidente? La risposta a questa domanda è davvero sorprendente, come si vedrà in seguito, in altre parti di questo post. E quindi, prima di dare la parola agli esperti che illustrano le conseguenze disastrose dell’embargo al greggio iraniano per le economie occidentali, analizziamo brevemente le ragioni reali delle minacce di guerra e delle continue sanzioni arbitrarie e illegali contro l’Iran – che sono ragioni politiche e non di prevenzione nucleare, e sono la conseguenza della ferma volontà dell’Iran a conservare la propria sovranità politica, economica e militare conseguita con la rivoluzione del 1979.
Ci sembrava importante fornire la possibilità di capire
se i dolori che risulteranno dalla probabile crisi energetica prossima ventura saranno da imputare all’Iran, oppure ai governi irresponsabili che scelgono di accontentare gli USA e Israele invece di fare gli interessi dei cittadini che sono chiamati a servire con responsabilità, lealtà e onestà. Parte 1
Chi vuole la guerra contro l’Iran e perché Con la rivoluzione del 1979 l’Iran è riuscito ad affrancarsi dal giogo del regime imperialista americano/britannico, uscendo dalla sua nefasta sfera di influenza nella regione. Due fattori importanti hanno da allora caratterizzato la nuova Repubblica Islamica dell’Iran sul piano internazionale, modificando gli assetti economici e sociali e le alleanze politiche, nell’area mediorientale. 1- L’Iran entrava in aperto conflitto con Israele, rovesciando le politiche filo-israeliane adottate dal precedente governo fantoccio dello Scià di Persia asservito agli USA, ed erigendosi a paladino della causa palestinese insieme a due alleati affini, Libano e Siria: gli unici governi arabi che ad oggi hanno resistito alla pressione di Israele e al ricatto di Washington di accettare l’egemonia di Israele nella regione. 2 – L’Iran prendeva controllo delle proprie risorse petrolifere, che durante l’era dello Scià Reza Palehwi erano a piena disposizione per lo sfruttamento da parte delle compagnie petrolifere occidentali, in particolare quelle britanniche. Sia Washington che Tel Aviv hanno da allora messo in atto strategie aggressive nel tentativo di rovesciare il nuovo governo iraniano e sostituirlo con un regime piegato al volere dell’impero e con connotati filo-sionisti, alla stregua dei vari “dittatori da quattro soldi” (per citare Lendman) che opprimono i popoli arabi. Sì, perché a differenza delle dittature coloniali occidentali, quelle arabe non mirano all’espansione coloniale e al dominio politico in paesi lontani per sfruttarne le risorse. Tutto ciò che quei despoti arabi da operetta chiedono, è intascare personalmente i proventi del petrolio per godersi la vita nel lusso più sfrenato, vivere di sfarzi e di feste e di festini, giocare nei casinò e accumulare ricchezze favolose che potrebbero fare vivere nella prosperità popoli interi. Per contro opprimono i loro popoli imponendo le regole scaturite da una mentalità oscurantista wahhabi che è l’antitesi dei valori dell’Islam. Il prezzo da pagare per i loro privilegi è la “sottomissione alla volontà di Washington e Israele” – la nuova religione che ha sostituito quella del Profeta – e la rinuncia a contrastare Israele, abbandonando i fratelli palestinesi al loro terribile destino, di fatto condannandoli ad essere spazzati via dall’entità sionista. Da ormai un anno, in ognuno di questi regimi cleptocratici produttori di petrolio  – Bahrein, Yemen, Arabia Saudita, Kuwait, Oman, Qatar, Giordania – è in atto una rivolta sistematica, una rivoluzione sanguinosa ma invisibile perché ignorata dai media per proteggere gli alleati dei neo-con di Washington, i complici di Tel Aviv.
In totale contrasto
con gli altri paesi produttori di petrolio della regione, la Repubblica Islamica post-rivoluzione dell’Iran è fondata su princìpi sociali che rispettano la sovranità del popolo riconoscendo ai cittadini la partecipazione ai proventi del petrolio, e inoltre si pone sulla scena politica mediorientale in opposizione al regime sionista di Israele, che l’Iran vede e denuncia apertamente per quello che di fatto rappresenta per il mondo arabo: il brutale oppressore del popolo palestinese, il nemico alieno trapiantato in Terra Santa, nel cuore delle terre arabe, scatenando l’inferno. Fin dagli anni ’80, Washington e Israele hanno tentato sistematicamente, e senza successo, di rovesciare il governo iraniano post-rivoluzione.
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Nel 1980 Washington fornì al dittatore dell’Iraq, Saddam Hussein, il supporto economico e militare per invadere l’Iran. Nel settembre del 1980 l’esercito e l’aviazione dell’Iraq attaccarono l’Iran contemporaneamente, iniziando una guerra di aggressione che durò nove anni. Ma il governo iraniano ne uscì fortificato nella propria posizione di resistenza contro i predatori occidentali. Da allora, la guerra di USA/Israele contro l’Iran si articola su diversi fronti: tentativi di sabotaggi informatici e industriali, multipli cicli di sanzioni economiche, tentativi di paralizzare la Banca Centrale Iraniana e le esportazioni di petrolio, omicidi mirati – specie degli scienziati nucleari – attentati per mezzo di esplosivi, stragi nelle moschee, spionaggio con l’uso di droni e satelliti, false accuse, e soprattutto sistematiche campagne diffamatorie mirate all’isolamento politico e diplomatico di Tehran. Commenta l’autore americano Stephen Lendman: «Quando le sfere neo-con sioniste di Washington decidono di rovesciare un governo, non si fermano di fronte a niente; ogni mezzo, anche il più spregiudicato, diventa lecito per dichiarare “missione compiuta”. Contro la Siria e l’Iran stanno letteralmente rischiando di scatenare la terza guerra mondiale, vista la probabilità che Cina e Russia interverrebbero per difendere i propri interessi vitali». Continua Lendman: «USA e Israele minacciano la guerra per scopi illegali che i leader mondiali dovrebbero denunciare. L’America vuole un regime filo-Occidentale che sostituisca il governo iraniano indipendente. Israele vuole il dominio indisturbato sulla regione. Invece di opporsi, la maggioranza dei governi si accoda servilmente nonostante i rischi per i rispettivi paesi. Di conseguenza, l’umanità è in bilico». Con il pretesto di volere impedire una presunta e mai provata intenzione dell’Iran di produrre armi nucleari, Israele e la sua potente Lobby continuano a spingere Washington ad attaccare l’Iran. Sono ben consapevoli che senza l’appoggio della super-potenza militare di Washington l’esito di un attacco militare all’Iran sarebbe rischioso per il regime sionista.
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Commenta Stephen Lendman: «Sembra tuttavia che non tutti nelle alte sfere politiche in USA e in Israele siano disposti a correre i rischi dell’assoluta follia che rappresenta un attacco all’Iran e alla Siria. Per ora, i più ragionevoli sembrano prevalere sulle teste calde irresponsabili. Ricordo che nell’epoca della guerra fredda, specie ai tempi di Reagan, c’erano quei mentecatti in certe sfere di influenza del potere americano – le stesse di oggi – (neo-con sionisti) che volevano a tutti i costi un attacco nucleare all’Unione Sovietica. Ma per fortuna si trovavano in inferiorità numerica e non hanno prevalso. E spero con tutte le mie forze che non prevalgano neanche questa volta, perché le conseguenze sarebbero catastrofiche. E che non ci siano dubbi: sarebbero catastrofiche per il mondo intero – nessun paese sarebbe al riparo dal conflitto su vasta scala che ne scaturirebbe». Era proprio durante l’era Reagan che l’America ha visto l’ascesa al potere della corrente dei neo-conservatori, la cui paternità viene attribuita all’ebreo Irving Kristol, di origini europee ma nato in USA. Oggi, uno degli esponenti più influenti nelle sfere neo-con sioniste è proprio William “Bill” Kristol, figlio dell’ideologo dei neo-conservatori,  che possiamo vedere regolarmente la sera nel salotto politico del canale americano Fox News di Murdoch, insieme ad un altro sionista radicale, Charles Krauthammer, sputare sentenze contro l’Iran e tutto ciò che si oppone al dominio di Israele. Di fatto, è importante specificare, che sono soprattutto gli esponenti americani della Israel Lobby che spingono per l’attacco all’Iran. Loro osservano la scena politica da una miope prospettiva americana. Per via della privilegiata posizione geografica, gli USA sono inespugnabili: nessuno si sognerebbe di invadere i cieli sopra Washington, ben sapendo che verrebbero abbattuti all’istante (ecco perché nell’immaginario di Hollywood solo gli alieni attaccano l’America); né è possibile invadere gli USA via terra, considerando che al Nord il paese confina con il Canada, il cui governo è filo-americano e filo-sionista; e al Sud confina con il Mexico, che certo non rappresenta un pericolo.
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La Lobby dunque spinge per un intervento militare contro l’Iran. Lo conferma in un articolo il politologo ebreo americano M. J. Rosenberg, che commenta: «Le sfere neo-con sioniste che rappresentano gli interessi di Israele a Washington stanno facendo pressione su Obama perché si decida ad attaccare l’Iran o acconsenta che lo faccia Israele». Rosenberg, che era il direttore del Israel Policy Forum aggiungeva: «Questo è un anno di elezioni e nessuno a Washington si azzarda a dire NO a Netanyahu nel periodo pre-elettorale». Riferendosi al congresso della AIPAC che inizia proprio oggi e come ogni anno vedrà il presidente israeliano protagonista nella capitale americana parlando di fronte al parlamento USA e con ciò umiliando il presidente degli Stati Uniti, Rosenberg commentava: «L’entusiasmo per la guerra salirà alle stelle in Marzo, quando la AIPAC si riunirà per la convention annuale». Ma in Washington e in Tel Aviv non tutti sono d’accordo sull’attaccare l’Iran – che certo non è un paese isolato e può contare sull’appoggio di Russia e Cina – le due potenze mondiali ammiraglie del polo di opposizione a quello occidentale. Il giornale israeliano Haaretz pubblicava giorni fa le preoccupazioni espresse dal presidente israeliano Shimon Peres, che metteva in guardia i falchi israeliani contro un attacco all’Iran. Non che Peres sia una “colomba” – ma come tanti in Israele non chiude gli occhi sulla realtà che l’Iran negli ultimi anni ha sviluppato potenti strumenti bellici dotati delle tecnologie più avanzate in grado di rispondere efficacemente al fuoco israeliano creando gravi danni al regime sionista. Dalia Dassa Kaye della influente RAND Corporation americana – un istituto di ricerca nel campo delle strategie politiche, di impronta conservatrice filo-sionista – commentava in un articolo pubblicato sul Los Angeles Times : «i sostenitori di un attacco all’Iran devono considerare che le conseguenze a lungo termine saranno disastrose per Israele sul piano della sicurezza» Gli esperti che leggiamo e ascoltiamo ci fanno notare che a nessun paese arabo verrebbe mai in mente di lanciare un attacco militare contro Israele – tantomeno lo farebbe l’Iran, ben consapevole che si tratterebbe di una missione suicida, visto che interverrebbe immediatamente la super-potenza militare USA. Ed è proprio questo che la corrente politica più ragionevole di Washington e del Pentagono vuole evitare. Chi segue i media americani ha potuto sentire le recenti dichiarazioni di allarme espresse da vari funzionari delle sfere militari e dei servizi segreti con conservano un minimo di senso della realtà.
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Una settimana fa, nella trasmissione politica condotta da Fareed Zakaria sulla CNN, ha suscitato scalpore l’analisi del capo di Stato Maggiore americano, il Generale Martin Dempsey, che nel commentare le tensioni crescenti intorno all’Iran faceva notare che : «A nostro avviso, l’Iran è un attore razionale nell’arena politica internazionale», e che un attacco al paese, oltre a rappresentare un fattore di alto rischio, sarebbe ingiustificato in quanto «i funzionari americani non credono affatto che l’Iran sia intenzionato a produrre armi nucleari».

Il Generale Dempsey con ciò non faceva che ripetere il messaggio già personalmente espresso alla leadership israeliana durante la sua visita in gennaio di quest’anno. Le parole del gen. Dempsey circa il comportamento razionale dell’Iran venivano spiegate da Jeff Steinberg della Executive Intelligence Review, dicendo: «l’Iran sta attivamente producendo uranio arricchito del 20%, che è del tutto legale secondo il Trattato di Non-Proliferazione a cui l’Iran ha aderito. Tale processo di arricchimento avviene peraltro sotto la costante vigilanza dell’Agenzia Atomica internazionale. Altrettanto è legale il programma di modernizzazione dei missili balistici dell’Iran. Si tratta degli stessi sistemi di difesa che possiede la maggioranza dei paesi ovunque nel mondo. Continua Steinberg: «Il caso che si tenta di montare contro l’Iran segue gli stessi schemi di falsa propaganda che hanno preceduto l’invasione illegale dell’Iraq, quando veniva ventilato lo spauracchio delle armi di distruzione di massa, dell’intenzione di Saddam Hussein di attaccare l’Occidente e di una prossima nube nucleare sopra l’Europa. Sappiamo tutti cosa è successo in seguito. Si spera che questa volta i popoli non si facciano ingannare. Ma siccome non ci sono garanzie, persone come il Gen. Dempsey stanno cercando di contrastare la disinformazione che proviene soprattutto dai media e da parte di certe sfere oligarchiche in USA e Gran Bretagna che vogliono la guerra. Le guerre da sempre rappresentano un mezzo efficace per tentare di salvare un’economia sul collasso senza modificare gli assetti del potere». Alcuni giorni prima, il 16 febbraio, il direttore della National Intelligence, James Clapper, appariva di fronte alla Commissione per i Servizi Armati del Senato americano al fianco del neo-direttore della CIA, il Gen. David Petraeus, per testimoniare sul “caso Iran”. James Clapper confermava le conclusioni del rapporto congiunto delle 16 Agenzie di Intelligence che facevano capo all’Agenzia da lui diretta, dichiarando: «Secondo le nostre stime, l’Iran non ha intenzione di produrre armi nucleari». Durante la stessa sessione nel Senato americano, sia Petraeus, che il ministro alla Difesa e capo del Pentagono, Leon Panetta, che lo stesso Gen. Dempsey (capo di Stato Maggiore), confermavano le conclusioni del direttore Clapper: pur non escludendo la possibilità che in un futuro non prevedibile l’Iran possa decidere di produrre armi nucleari, la presunta minaccia iraniana è per ora solo una montatura. Ma perfino il presidente Obama, intervistato da Matt Lauer delle NBC durante il Superbowl, esprimeva la speranza di potere risolvere il “problema” iraniano per mezzo della diplomazia. Come mai tanti personaggi competenti si affrettano a sgonfiare “la minaccia Iran”, e come mai un rapporto di alto profilo della comunità dell’Intelligence americana viene consegnato al Los Angeles Times e al New York Times  per rivelarne il contenuto? E ancora: se in USA si è consapevoli che l’Iran non rappresenta una minaccia, perché vengono imposte sanzioni economiche al paese?

L’analisi di Franklin Lamb

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L’analisi più pertinente viene fornita dal giurista americano Franklin Lamb, che durante un’intervista rilasciata al canale di news internazionale Press-TV commentava: «E’ molto significativo che il rapporto congiunto della comunità dei servizi segreti (NIE) – che è il livello più alto di intelligence prodotto negli Stati Uniti – dopo visione da parte del presidente Obama, sia stato  distribuito anche al Parlamento e alle testate più influenti. Soprattutto considerando, che la conclusione unanime delle Agenzie è la totale assenza di prove che l’Iran abbia intenzione di produrre armi nucleari. «Questo è un fatto senza precedenti e solleva molti interrogativi sulle intenzioni del governo Obama in merito all’Iran. «Prima di tutto viene da chiedere: significa che le sanzioni imposte dagli USA saranno revocate? «E che farà l’Europa? – visto che hanno aderito alle sanzioni solo perché imposte dagli USA che dicevano di avere tutte quelle “prove schiaccianti” … «Oppure – come qualcuno sospetta – significa che non è mai stato il nucleare iraniano la ragione delle sanzioni, ma che si mira a rovesciare il legittimo governo iraniano? «Personalmente penso che la consegna del rapporto al New York Times per la divulgazione del contenuto, sia mirata a inviare un segnale di disapprovazione a Israele. «Come sapete, Netanyahu arriverà in USA il 4 marzo per il convegno della AIPAC, e porterà nuove prove da Israele a sostegno della tesi sulla presunta produzione di armi nucleari in Iran, dicendo che sono prove inconfutabili raccolte dal Mossad. Ma con tutte le dichiarazioni dei funzionari americani di questi giorni, Netanyahu non verrà preso sul serio dal parlamento USA che ha potuto intanto leggere il rapporto dell’Intelligence. «Credo che l’amministrazione Obama e il Pentagono abbiano concluso che appunto l’Iran sia “un attore razionale”, come ora ammetteranno tutti in Washington, arrivando alla conclusione che invece sia Israele a non essere affatto razionale – anzi, che sia Israele il vero fattore di rischio nell’intera equazione.
«E quindi, penso che il rapporto dell’Intelligence
e le dichiarazioni dei funzionari USA a pochi giorni dall’arrivo di Netanyahu servano proprio per preparare il terreno in vista dell’incontro tra Obama e il premier israeliano. E credo che sarà un incontro più teso del solito. Alle strategie di Obama, Netanyahu opporrà i risultati di un rapporto che Abe Foxman, della ADL (Anti-Defamation League), sta divulgando ad alta voce, secondo il quale il 52% degli ebrei americani questa volta intende votare per il candidato Repubblicano che vincerà la primarie: Gingrich, Romney, o Santorum (che fanno a gara con invettive contro l’Iran per ingraziarsi Israele e la AIPAC). E si sa che finora l’85% degli elettori ebrei ha sempre votato per i Democratici. Foxman cerca di influenzare il voto ebraico in USA, dicendo a gran voce che un secondo mandato di Obama rappresenterebbe pericoli senza precedenti per Israele. Conclude Franklin Lamb dicendo: «Nei prossimi giorni vedremo come evolverà la situazione. Ma se alla luce delle rivelazioni e dichiarazioni che arrivano da Washington le sanzioni contro l’Iran non verranno revocate, saranno da considerare alla stregua di un vero e proprio atto di guerra, a mio avviso». Dopo lo scalpore mediatico suscitato dai commenti del Capo di Stato Maggiore Dempsey nella trasmissione molto seguita di Fareed Zakaria sulla CNN, la reazione di forte disapprovazione da parte di Israele non si è fatta attendere. Il messaggio a Israele: parla Zbigniew Brzezinski A questo punto è arrivata la bomba mediatica che nessuno si aspettava
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Per ribadire a Israele e al mondo come la pensa la Casa Bianca, nella trasmissione di Fareed Zakaria della settimana successiva all’intervista del Gen. Dempsey è intervenuto, questa volta, uno degli uomini più influenti e carismatici delle sfere Democratiche di Washington: Zbigniew Brzezinski - che ha servito come consigliere di stato per la sicurezza nazionale sotto due presidenti americani, Kennedy e Carter, ed è tuttora una delle figure diplomatiche più influenti sulla scena politica mondiale.

Alla domanda del conservatore filo-sionista Zakaria su “come si svilupperà la crisi dell’Iran” – Brzezinsky rispondeva senza mezzi termini dichiarando: «Tutto dipenderà da quanto saremo determinati, lucidi ed espliciti qui a Washington. Se saremo ambigui, potrebbe finire molto ma molto male davvero.
«Dobbiamo essere chiari
con l’Iran in merito al nucleare. … Ma soprattutto dobbiamo essere molto chiari con i nostri amici in Israele, dicendo che non vogliamo la guerra, che una guerra non è necessaria. Che noi non faremo la guerra. E che loro non faranno la guerra servendosi del nostro spazio aereo sopra l’Iraq (da notare: “nostro”, per ribadire l’arroganza di qualunque politico americano).
«Se loro decideranno di fare la guerra,
noi non li appoggeremo: saranno soli e ne subiranno tutte le conseguenze. Perché il prezzo che pagheremo se Israele inizierà una guerra massiccia, che l’Iran interpreterà come una decisione presa con la connivenza degli Stati Uniti, sarà disastroso per noi nella regione, soprattutto in Afghanistan e in Iraq. E sarà disastroso per il flusso del petrolio, e in generale per gli equilibri nel Medio Oriente.
«Gli israeliani saranno tentati di attaccare
nel periodo che precederà le elezioni presidenziali degli USA, che si sta avvicinando. «Per questo penso che il presidente (Obama) quando incontrerà Netanyahu il 5 marzo, dovrà prima di tutto tenere a mente come è stato umiliato l’anno scorso durante lo stesso evento (congresso AIPAC) dal premier israeliano. Un presidente degli Stati Uniti non dovrebbe accettare una simile umiliazione. «Obama dovrà ricordarsi che lui rappresenta gli interessi nazionali dell’America e dovrà essere molto chiaro (con Netanyahu) su quali sono questi interessi. Che un attacco israeliano all’Iran non è compatibile con i nostri interessi. Che ci danneggerebbe. Che gli iraniani ci riterranno responsabili e agiranno di conseguenza e  noi ne pagheremo il prezzo. Che questo non è accettabile. «Non dimentichiamo che in Israele molti sono realisti e non vogliono questa guerra. E parlo dei vertici nel Mossad e nell’Intelligence militare. «Ma anche la comunità ebraica in America è contraria alla guerra contro l’Iran. Solo quelli nelle alte sfere simpatizzanti della Likud (destra israeliana) spingono per la guerra (come appunto la AIPAC). «E quindi Obama (nel suo incontro con Netanyahu) dovrà ricordarsi di avere un certo grado di credibilità politica non solo in USA, ma anche in Israele». Nel rispondere ad una domanda sulla Siria, Brzezinski commentava che la situazione è molto complicata, per via dei molteplici interessi regionali e globali coinvolti, che vedono soprattutto Iran e Arabia Saudita schierati rispettivamente a capo dei due poli contrapposti. Si dichiarava anche contrario ad un intervento diretto degli USA. «Ma la vera complicazione - specificava Brzezinski – risiede nel fatto che “anche” gli israeliani hanno un interesse nella questione della Siria. Israele certo non vuole vedere una Siria forte e unita emergere dal conflitto». Brzezinski inoltre rispondeva a domande su Obama e sulla situazione in Palestina.«Obama capisce il mondo meglio di qualsiasi altro politico. E non starò a sprecare tempo per illustrare il divario tra lui e i candidati Repubblicani che dicono cose talmente primitive da essere imbarazzanti.«Mi chiedo tuttavia se Obama sia dotato della necessaria determinazione e fiducia in sé per agire con saggezza. E lo dubito, visti i risultati ad esempio nel Medio Oriente.
«Nell’affrontare la questione Palestina/Israele, ha parlato tanto ma al momento cruciale si è tirato indietro. E ora la situazione è questa: se non ci sarà una soluzione di pace entro breve, i Palestinesi pagheranno un prezzo molto alto; ma a lungo termine, sarà Israele a essere a rischio. E nel frattempo sono i nostri interessi a soffrire le conseguenze». * * * Brzezinsky - che non dimentichiamo, è uno dei falchi nelle file Democratiche – non ammetterebbe mai che in realtà la soluzione al problema “Israele” sarebbe davvero semplice. Basterebbe, ad esempio, che gli USA smettessero di porre il veto ad ogni Risoluzione ONU nei confronti del regime sionista. Tutto il resto verrebbe di conseguenza. Le nazioni ormai sono tutte con i Palestinesi.Brzezinsky ha parlato di molto altro ancora, specie su quale ruolo dovrebbe giocare l’America «nella nuova realtà del risveglio politico globale, alla luce della crisi americana e dello spostamento del centro di gravità del potere dall’Occidente verso l’Est».Tuttavia noi abbiamo estrapolato solo le parti di nostro interesse per il tema che affrontiamo in questo post. Magari si potrà riprendere l’intervista di Brzezinski in futuro. Comunque il video dell’intervista è pubblicato sul sito della CNN, come tutte le puntate del programma di Fareed Zakaria.E’ invece importante seguire lo sviluppo di questa nuova diatriba tra USA e Israele.

Le reazioni di Israele 

La reazione di Israele ai messaggi da Washington non si è fatta attendere. Come di consueto, la leadership politica del regime sionista si è distinta per arroganza e mancanza di senso della realtà.«Non avvertiremo Washington prima di lanciare un attacco agli impianti nucleari dell’Iran». Questo, secondo l’agenzia Associated Press, il messaggio congiunto del premier Netanyahu e del ministro alla difesa Ehud Barak consegnato ai funzionari americani in visita in Tel Aviv.Secondo un articolo del Wall Street Journal del 18 febbraio, in Israele sarebbero furiosi per l’atteggiamento “soft” degli USA in merito al programma nucleare iraniano. Accusano la Casa Bianca di “tentativi intenzionali” per sminuire l’efficacia delle minacce di guerra da parte di Israele contro l’Iran. Secondo l’articolo, Netanyahu avrebbe chiesto a Washington di fare pressione sull’Iran specificando pubblicamente quali limiti Tehran non deve oltrepassare, e avrebbe esortato Obama “a insistere pubblicamente che tutte le opzione contro l’Iran sono tutt’ora valide”. Oltre a Washington, anche altri paesi – tra cui Russia, Cina e Germania – hanno messo in guardia Israele contro un attacco all’Iran, facendo notare che le conseguenze sarebbero state disastrose, non solo per la regione mediorientale, ma per il mondo intero.Il 27 febbraio, il premier russo Putin dichiarava: «se Israele attaccherà l’Iran l’esito sarebbe catastrofico e la portata del disastro impossibile da immaginare».Arrivava prontamente la reazione del ministro degli esteri israeliano, l’estremista di destra Avigdor Lieberman, che in risposta agli avvertimenti provenienti da USA e Russia dichiarava durante un’intervista rilasciata all’emittente israeliana Channel 2 che Tel Aviv non intende tenere conto degli avvertimenti e che le decisioni di Israele «non sono affari loro» (di USA e Russia).Tuttavia il parlamentare israeliano Zeev Bielsky faceva notare che le capacità difensive di Israele non sarebbero in grado di offrire una protezione adeguata in caso di una ritorsione militare iraniana. Perfino il ministro alla difesa Ehud Barak ammetteva la vulnerabilità di Israele nel dicembre scorso, aggiungendo che qualora l’Iran avesse risposto al fuoco israeliano «neanche 500 cittadini israeliani avrebbero perso la vita».Preferiamo non commentare le parole di un ministro alla difesa disposto a sacrificare 500 dei cittadini che è chiamato a proteggere, perché lui e il resto del governo vogliono attaccare un paese che forse – in un ipotetico futuro – potrebbe decidere di avviare la produzione di una testata nucleare.Eppure, Israele continua con la sua retorica che sarebbe l’Iran a volere attaccare Israele. E in Occidente viene fatto credere ai cittadini che sia proprio l’Iran a volere la guerra.
Ma vediamo se questa è un’ipotesi realistica. Tanto per cominciare, l’Iran avrebbe motivi validi per vendicare le uccisioni dei vari scienziati nucleari iraniani eseguite in tempi recenti e meno recenti. Ora che la Clinton ha pubblicamente dichiarato l’estraneità degli USA alle uccisioni, l’unico sospettato plausibile rimane il Mossad (servizi segreti israeliani). Sappiamo inoltre che il giornalista di inchiesta Mark Perry aveva rivelato su Foreign Policy che agenti del Mossad si fingevano agenti della CIA, a Londra, usando dollari americani per reclutare i terroristi dell’organizzazione Jundallah, responsabile di tanti attacchi terroristici contro l’Iran.Per non parlare del fatto che l’Iran avrebbe tutte le ragioni per ritenere un vero atto di aggressione le sanzioni economiche imposte dall’Occidente per forzare la chiusura degli impianti nucleari – che gli USA stessi ammettono non essere destinati alla produzione di armi nucleari, come è ben consapevole ogni governo di questo mondo.In altre parole, l’Iran avrebbe tutte le ragioni per chiudere lo Stretto di Hormuz (nell’area del Golfo Persico) in risposta all’embargo del petrolio e il boicottaggio della Banca Centrale Iraniana. Se l’Iran volesse la guerra, con la chiusura dello Stretto la otterrebbe nel giro di ore, perché USA e Gran Bretagna sono presenti da mesi nel Golfo Persico con le minacciose porta-aerei per paura della ritorsione iraniana alle sanzioni ingiustificate. Per non parlare del fatto che la 5a Flotta della Marina Militare americana è stazionata proprio di fronte allo Stretto di Hormuz, nel Bahrein, pronta a entrare in azione immediatamente se gli USA vogliono attaccare l’Iran.Ma l’Iran si guarda bene dal provocare una guerra con gli USA – o con Israele, che sarebbe la stessa cosa.Come scrive Patrick J. Buchanan in un articolo per il famoso sito AtiWar.com dal titolo “Chi vuole la guerra con l’Iran?”:«La guerra con gli Stati Uniti sarebbe un disastro per l’Iran. … La Marina Militare iraniana, la maggior parte dell’arsenale militare, la difesa anti-aerea e anti-cacciatorpediniere e il sistema dei missili strategici, verrebbe distrutta; come anche gran parte delle infrastrutture della nazione. L’orologio strategico dell’Iran tornerebbe indietro di molti anni». Ecco spiegato il VERO motivo per cui Israele vuole la guerra contro l’Iran: perché accada proprio lo scenario appena descritto. Come menzionalo in alto, Israele vuole dominare la regione incontrastata. Se cade l’Iran, cadono i suoi protettorati, Libano e Siria, e Israele si può espandere indisturbata.
E la guerra la vogliono anche tutti i vari sedicenti “amici” di Israele negli Stati Uniti: i neo-con sionisti ai vertici della Israel Lobby; i neo-con sionisti cristiani evangelici, che sono tanti e sono ricchi e influenti e determinano le politiche del partito repubblicano; i tre candidati repubblicani che ora si scannano a vicenda per vincere la nomination e opporre la propria candidatura a quella di Obama nelle presidenziali di novembre – parliamo di Romney, Gingrich e Santorum (ribattezzato “Sanatorium” da George Galloway, per motivi ben noti a chi segue nei media le dichiarazioni da “sanatorio” del triumvirato repubblicano.
La campagna elettorale americana si sta configurando proprio intorno alla questione dell’Iran. Se a novembre vinceranno i repubblicani, le probabilità di una guerra contro l’Iran aumenteranno in modo esponenziale.Ma il regime sionista e i suoi compari in USA insistono di volere attaccare l’Iran perché rappresenterebbe “una minaccia esistenziale” per Israele.Davvero!? Vediamo.Israele possiede almeno 200 testate nucleari e la capacità di lanciarle con tre mezzi diversi, tra cui i vari sottomarini nucleari generosamente regalati a Israele dalla Germania.Mentre l’Iran non ha mai costruito, né tantomeno testato un’arma nucleare. Anche volendo, impiegherebbe anni per produrre armi nucleari a partire dal momento in cui decidesse di iniziare la produzione.
Chi rappresenta una “minaccia esistenziale” per chi, allora?Potrebbero rispondere i palestinesi, i libanesi e i siriani, che l’hanno assaggiata sulla propria pelle, una versione della minaccia esistenziale di cui parliamo. La conoscono bene, la minaccia nucleare, in Libano e in Palestina, visto che hanno subìto gli effetti delle armi all’uranio impoverito che impiega la “difesa” israeliana.
E non dimentichiamo la famosa “Opzione Sansone” (da “muoia Sansone con tutti i Filistei”) che Israele da sempre minaccia di mettere in atto, se messa all’angolo.E’ l’Iran la minaccia esistenziale per Israele, o viceversa? Andiamo ora ad analizzare la questione dell’embargo al petrolio iraniano: quali saranno le conseguenze e a chi gioveranno.

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