Grandi dibattiti sotto il sole, vero? Tra Amazon, DRM, self-publishing, non si è mai parlato così tanto di libri come di questi tempi. Di solito, più un settore è in crisi e maggiori sono i dottori al suo capezzale.
Per parlarne a ragion veduta bisognerebbe conoscere a menadito questo mondo, che non conosco affatto, come si può intuire. Mi limito a una considerazione piuttosto generale.
In tutto questo bailamme, che fine sta facendo l’editore?
Lo so, non è importante perché siamo tutti presi dal nuovo che avanza e che travolgerà (?) il vecchiume.
Ne siamo certi?
Come ho già scritto, i grossi gruppi editoriali hanno la soluzione per superare crisi e rivoluzioni. Si chiama “denaro”, e se non viene gestito da incompetenti garantirà loro la sopravvivenza. Per questa ragione possono snobbare certe discussioni. Affrontarle con sufficienza: sanno che se non hanno le competenze, possiedono le risorse per acquisirle. Possono restare alla finestra, oppure schierarsi, ma in entrambi i casi ci sarà un prima e un dopo e la loro azione non passerà inosservata.
Non è di questo che desidero scrivere però, volevo solo fissare la cornice, un po’ alla carlona forse…
La malattia dell’editoria italiana, grande o piccola che sia, è la mancanza di un ecosistema efficiente. Che funzioni insomma.
Il nuovo che avanza o risana il tessuto leso e malato, oppure è un nuovo che puzza di vecchio.
Che io sappia, esiste un solo modo (forse), per immettere sangue nuovo in circolazione. Ed è quello di sostenere la piccola editoria.
Predico bene e razzolo male, si dirà, ed è vero. Ho almeno una dozzina di libri da leggere, e solo un paio di editori (piccoli), italiani.
Però la mia esterofilia non mi impedisce di ragionare su cosa non va.
Un ecosistema fatto solo di grossi gruppi editoriali, di catene di librerie che mostrano i muscoli, non è sano. È squilibrato perché ha fatto attorno a sé il vuoto. L’alternativa esiste e si chiama appunto accendere le luci sulla piccola editoria italiana. Non tutta però.
Un editore deve fare il suo lavoro: che vuol dire investire se e quando ne vale la pena. Non sempre.
Chi al contrario agisce in questa maniera è uno stampatore che ama definirsi editore.
Un editore di Lecce, Aldo Moscatelli, ha individuato da tempo il problema. Il problema risiede nei libri che NON si comprano e NON si leggono. Punto. Il resto sono chiacchiere.
Amazon, Kindle o iPad riguardano i colossi, i loro uffici legali e via discorrendo. L’unico modo che abbiamo di cambiare un poco l’andazzo generale, è spostare l’attenzione dai soliti best-seller, a tutta quella produzione di nicchia e di qualità che non decolla.
Sarò ridicolo, ma tutto parte dalla volontà del singolo. Costui in mano può avere l’iPad, oppure la penna d’oca, ma si tratta di utensili con qualche utilità se oltre alla mano, al braccio, al torace, al collo, si approda a quella parte del corpo umano conosciuta anche a chi non bazzica l’anatomia con il nome di “cervello”.
È un periodo di crisi. Durerà anni e nessun salvatore arriverà a proporci l’ennesima soluzione con uno schiocco di dita.
Per almeno un decennio, ci siamo abituati alle cose facili, semplici, “tanto, che ci vuole?”.
È stato bello, vero? Ha funzionato e ci siamo divertiti moltissimo. Qualcuno ha fatto fortuna (tanta), qualcun altro no. Pazienza. Però non basta più.
Questo andazzo ha attecchito soprattutto nell’editoria, ma non solo. Adesso, la prima cosa da fare secondo me, è l’atto più sciocco, inutile e dannoso per questo mondo balordo che rantola.
Ricominciare a scegliere. Non accontentarsi più di forma, apparenza, ma “scavare”.