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"È anche colpa mia"

Creato il 18 marzo 2013 da Ilpescatorediperle
Qualche tempo fa, leggendo per la prima volta l'ultimo corso di Michel Foucault ad essere pubblicato, Del governo dei viventi del 1980, avevo notato che, nella bibliografia di cui il filosofo si serviva, a proposito della confessione, che è il tema del corso, c'era un articolo del 1957 di Joseph Ratzinger, "Originalità e tradizione nel concetto di confessione di Agostino".La cosa mi aveva incuriosito e un po' colpito. Incuriosito perché tutti noi sappiamo chi è poi diventato il giovane Ratzinger, colpito perché nel 1980 era già un cardinale, ordinato da Paolo VI, arcivescovo di Monaco-Frisingia, e l'anno successivo sarebbe stato nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede da Giovanni Paolo II. Insomma, a quei tempi non era più il teologo progressista che di lì a poco avrebbe partecipato al Concilio Vaticano II, ma il famigerato "Panzer-Kardinal" che abbiamo imparato a conoscere tutti.Tuttavia non era di questi fatti che volevo parlare, essendo io, come vaticanista, ancor più improbabile di Concita De Gregorio. L'articolo mi aveva colpito e siccome nel lavoretto che sto scrivendo (molto male) ho deciso di occuparmi della confessione, mi interessava leggerlo. Sono riuscito a farlo solo oggi, dopo tutto quel che è successo da quella prima lettura. Mi ha fatto pensare alcune osservazioni che, forse, potrebbero dirci qualcosa sugli ultimi tempi in Italia (o forse no, ma le scriverò comunque).
L'articolo di Ratzinger vuole esaminare in che cosa il concetto di confessione di Agostino riprende il senso tradizionale della parola "confessio" e in che cosa lo approfondisce. Ho scoperto così che "confessio" non indica solo la confessione nel senso dell'ammissione di una colpa, ma anche un elogio. Ratzinger riporta un episodio accaduto al vescovo di Ippona: una volta tornato in Africa e dicendo ai fedeli che occorreva "confessio" subito questi si erano precipitati a battersi il petto, mentre Agostino alludeva in quel momento al secondo significato. Insomma, la confessione non implica solo una mortificazione di sé ma anche una lode dell'altro (in questo caso dell'Altro). Secondo Ratzinger Agostino avrebbe approfondito questi significati secondo due binari: da un lato, avrebbe inteso la confessione come un "fare la verità", che però non indica una produzione autonoma dell'uomo ma un riconoscimento di aver bisogno della grazia di Dio. Dall'altro, avrebbe dato a questo termine il senso di "far venire alla luce", del rendere chiaro e conosciuto da se stessi ciò che rimaneva nell'ombra e che Dio conosce già. Molti di questi elementi richiamano l'influenza sull'autore di Paolo, penso almeno all'idea del vedere "come in uno specchio" (che ai tempi significava vedere in modo confuso, gli specchi erano per lo più oggetti di metallo politi) mentre nella vita ultraterrena accederemmo ad una conoscenza occhi negli occhi, senza mediazioni, della verità. Ecco, mi pare che la confessione permetta, in questo quadro, una forma di conoscenza completa, immediata, dell'uomo su se stesso, che si avvicina a quella che, dell'uomo, ha Dio. Forse è questo che permette di unire colpa, verità, luce e lode nel concetto di "confessio".L'articolo di Ratzinger sarà forse utile per quel che sto scrivendo, vedremo. Per ora mi fa pensare che potremmo forse leggere l'ultimo mese italiano secondo la chiave della confessione.Intanto, le dimissioni di Ratzinger, che da giovane studioso di Agostino era poi diventato papa (Foucault non ha potuto vedere tutto ciò, chissà che cosa ne avrebbe pensato). Ecco, questo gesto non è forse pensabile come un estremo atto di confessione? Certo, anche leggendo il testo latino di quel pronunciamento non troviamo il termine "confessio" o una sua variante; eppure, l'annuncio è come scandito da un lessico dell'ammissione, del riconoscimento: sono conscio, comunico, esaminando la mia coscienza, ecc. La confessione non è forse qui un'ammissione di colpa, tuttavia contiene molti elementi che indicano un senso di fragilità e di limite. La confessione del proprio limite è ciò che ha portato alle dimissioni. Per questo, esse hanno avuto, secondo molti, un senso rivoluzionario. È molto probabile che Benedetto XVI sia stato un papa sottovalutato dai più, del resto a tutti noi piacciono i simpaticoni, mentre utilizziamo il termine "intellettuale" come se fosse qualcosa di cui giustificarsi. Io penso che si potrebbe proporre anche una lettura contraria, che non ho visto molto avanzare, e cioè che queste dimissioni siano state, anche, un estremo atto di conservazione. In fondo Benedetto ha applicato una norma prevista e, adducendo i motivi dell'età, non ha messo in discussione la gerarchia. Ma non si potrebbe invece pensare che sia il carico di potere chiesto ad un papa ad essere eccessivo, a qualunque età, che sia l'eccessivo verticismo ad impedire il governo della Chiesa più che i limiti di questa o quella persona che lo incarnano? Se avesse voluto davvero compiere un gesto di rottura, Ratzinger non avrebbe forse potuto, in ragione dei motivi delle sue dimissioni, battersi per una rottura del centralismo e per una impostazione collegiale, conciliare, del suo ruolo? Facendosi da parte, Ratzinger ha in fondo confermato lo stato delle cose, ha deciso non che lo stato delle cose non si adatta agli uomini, ma che gli uomini (un uomo, lui) talvolta non si adattano a quello che i parlamentari grillini chiamerebbero "il sistema".Detto questo però, ho pensato un po' più alla questione della confessione in generale. Mi sono chiesto se il fatto veramente esemplare del gesto di Ratzinger (e lo so, me ne occupo ora che parliamo tutti del successore, ma io penso, per quel che vale, sia giusto prendere tempo) non risieda proprio nel fatto di dire: "il problema sono io." Lo metto in relazione all'Italia.Ora, credo che, a livello nazionale, siamo uno dei paesi che ha più difficoltà a pensare "il problema sono io", insomma a confessarsi. In Italia la colpa è sempre degli altri, che si tratti dell'euro, dell'arbitro, della Germania, dei giudici, dell'avversario politico, del vicino di casa, dell'oroscopo, dei figli di, della fortuna altrui.Nessuno dice mai: forse è perché mi sono laureato in Filologia bizantina, forse è perché non sono bravo, forse è perché non ho chiesto lo scontrino, forse è perché non so le lingue, forse è perché non ho voglia di sbattermi, forse perché non voglio rinunciare alle lasagne di mamma, forse è perché preferisco vivere di sussidi, forse è perché non è colpa di nessun altro. Siamo insicuri di molte cose, in Italia, ma poco di non avere mai la colpa dalla nostra parte, o anche solo dei limiti. In fondo io interpreto così anche il successo del Movimento 5 Stelle, che è senz'altro pieno di persone di buona volontà (e me lo auguro soprattutto nel ramo senatorio) ma che improvvisamente ha calamitato un terzo del paese, credo, anche perché si presenta come il movimento (recupero il contesto biblico) dei "puri di cuore". I grillini mi sembrano un po' il Movimento "la colpa è degli altri", che si tratti, come si diceva, dell'euro, della Germania, delle multinazionali o del fantomatico "sistema". Come se, di colpo, un terzo degli italiani avesse deciso che no, loro con lo stato del Paese, in cui hanno vissuto per anni, loro non c'entrano, loro sono solo cittadini onesti, i malfattori sono gli altri, o meglio, tutti gli altri, il resto che resta sia chi sia.Non che le altre forze in campo siano esenti da variazioni su questo tema: Berlusconi è chi dice "non abbiamo nessuna colpa, noi", ma anche: "la colpa sarà anche vostra, ma la farete franca", mentre il Pd è stato ed è in parte ancora vittima del punto di vista esprimibile con una celebre affermazione di D'Alema, secondo il quale se votassero solo quelli che leggono libri la sinistra sarebbe sempre maggioranza. Insomma, la colpa è degli elettori non lettori.Questo, evidentemente, è un problema che abbiamo come Paese, e che vediamo in tante cose (Grasso ha ricordato nel suo discorso d'insediamento la necessità di far luce sui misteri d'Italia - misteri che restano tali anche per la renitenza alla confessione, al "chi sa parli"). Sarebbe bello se imparassimo a confessare, ad avere uno sguardo onesto su noi stessi, prima di stabilire i torti altrui. Sarebbe bello perché, tornando all'articolo del giovane Ratzinger da cui siamo partiti, la confessione non è solo mortificazione, ma lode: fare la verità, far venire alla luce, riconoscersi, significa una rinascita (come sapeva bene Agostino). Sarebbe costituirsi, che vuol dire autodenunciarsi, confessare la propria parte di responsabilità, certo, che sta anche nell'omissione, ma anche produrre qualcosa di nuovo, costituirsi come soggetti nuovi, come un paese nuovo. Sarebbe questa forse la "costituzione materiale" di cui si parla. Ci farebbe molto bene. E poi tutti a Castel Gandolfo a bere un Frascati.da TEMPI FRU FRU http://www.tempifrufru.blogspot.com

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