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Finalmente il premier incaricato ha terminato di sistemare la lista dei componenti del suo primo governo, che non contiene politici perché pare che qualcuno gli abbia fatto notare che Giuliano Amato, con quel po' po' di curriculum che si ritrova era difficile farlo passare per un tecnico al di sopra delle parti.
La prima cosa che mi viene in mente è quella di pensare che è veramente strano averci messo tutto questo tempo per scrivere 12 nomi su un pezzo di carta, visto che il Corriere della Sera aveva affidato l'incarico di formare il governo a Monti già cinque mesi fa e da allora ce n'era stato di tempo per preparare la lista dei ministri.
Proprio il Corriere della Sera, in compagnia de La Repubblica e la Stampa, è il giornale che più si spende per magnificare le doti del neo presidente del consiglio (La Stampa con la sua Chiara Berie di Argentine ci rivela addirittura che Monti sarebbe un Calvinista (sic), anche se non ha mancato di andare a baciare la pantofola del Papa in Vaticano), mentre critici e fortemente critici sono i quotidiani di orientamento politico sia di destra sia di sinistra.
Non è difficile nemmeno capire il perché i tre grandi quotidiani borghesi sono così vicini a Mario Monti. Come si sa il primo è controllato dalle maggiori banche italiane e, guarda un po' il caso, tra i neo ministri c'è l'attuale a.d. di Banca Intesa, il secondo è edito dall'Ingegner Carlo Debenedetti (cosi dovrebbe essere scritto il nome) e il terzo appartiene da sempre alla famiglia Agnelli.
A proposito de La Stampa, chissà cosa scriverà sulle prossime disposizioni governative Massimo gramellini, che tanto si lamentò per la subito abortita proposta di Tremonti di un prelievo forzoso sui redditi oltre i 90mila euro all'anno.
Ma quello che è più interessante è notare che la maggior parte di neo ministri provengono da un mondo accademico e culturale di matrice cattolica, nonostante i riferimenti della Berie di Argentine all'ideologia di Calvino (il pensatore Francese , non lo scrittore italiano) il che fa pensare più che altro alla restaurazione di un potere politico di ispirazione religiosa che è sicuramente minoritario nell'attuale panorama sociale italiano.
Non può essere nemmeno considerato un caso l'uscita di stamattina di Giuseppe De Rita, l'antico democristiano da decenni dirigente e poi presidente del censis, che la quale non solo lancia lodi al professore lombardo, ma assicura che si sta per abbandonare la stagione del libertinismo e per tornare ad un più sobrio (l'aggettivo più usato in questi giorni per descrivere Monti e la sua condotta di vita) stile di vita, anche se non esclude i pericoli di una deriva populista.
Pare la descrizione di un mondo inesistente, se non nella mente del presidente del censis, il che fa più che altro concludere che a quasi 80 anni anch'egli dovrebbe pensare alla pensione.
Intanto le borse continuano con i loro alti e bassi, movimenti che gli esperti definiscono "acchiappapolli", mentre lo spread tra Btp e Bund continua a rimanere altissimo, oggi a 520 punti, ma a dimostrare che il problema non è tanto o non solo italiano, è la crescita dei differenziali anche degli analoghi titoli spagnoli e, soprattutto, francesi, che sono oggi a 189 punti contro i Bund tedeschi.
Che la Francia sia ormai sotto il tiro della speculazione lo hanno ormai capito tutti, perfino Sarkozy, che si è affrettato a dichiarare che lo spread tra titoli francesi e tedeschi non rispecchia la reale situazione economico finanziaria della Francia, una frase che è ormai diventata familiare ai lettori, dal momento che è stata pronunciata da ognuno dei premier di tutti i paesi che a turno sono rimasti vittime della crisi finanziaria.
Sono ormai ben 12 su 17 i paesi dell'area dell'Euro sui quali la crisi e la conseguente speculazione si è abbattuta, a testimoniare che il problema, il peccato originale, è la moneta stessa e che se non si decideranno manovre decise e efficaci a livello centrale europeo, come l'istituzione degli Eurobond, da lungo tempo invocati e anche oggi richiesti dal commissario europeo Barroso, la possibilità che anche la Germania debba farci i conti è tutt'altro che improbabile, perché la grande finanza anglosassone non si fermerà alla frontiera del Reno, come magari i tedeschi sperano.
Per le misure non lacrime e sangue, ma di sacrificio, annunciate in questi giorni da Monti bisognerà ancora aspettare, anche se non sembra ci siano dubbi sulla patrimoniale e sul prelievo forzoso dai conti correnti. L'unico dubbio verte sui tagli alla spesa pubblica e sui costi della politica, unici provvedimenti che farebbero accettare agli italiani l'ennesima tassa per L'Europa da pagare.
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