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El Salvador: Beatriz sta bene, l’aborto non è mai necessario

Creato il 23 agosto 2013 da Uccronline

EL SALVADOR-ILL WOMAN-ABORTIONAnche in El Salvador gli abortisti non ce l’hanno fatta. Saranno dispiaciuti, ma Beatriz, la donna malata di lupus e incinta di una bambina malformata al centro di una polemica internazionale, ha partorito grazie ad un parto cesareo e sta benissimo. La bambina, purtroppo, non ce l’ha fatta ed è morta dopo poche ore.

Le associazioni promotrici dell’aborto, come “Amnesty International”, hanno voluto sfruttare questo caso drammatico per introdurre una legislazione favorevole all’interruzione di gravidanza in El Salvador, dove l’aborto è completamente vietato. Aiutate dai quotidiani internazionali hanno pressato per giorni l’opinione pubblica sostenendo che il divieto di aborto avrebbe condotto alla morte la donna. Per farlo hanno dovuto raccontare un’infinità di bugie, come è stato opportunamente documentato.

A rovinare il piano degli abortisti è stata la Corte Suprema, che ha respinto la richiesta della donna di procedere con l’interruzione di gravidanza con la motivazione chiara, rispettosa e logica che «il diritto di scelta non può prevalere sul diritto alla vita». E sopratutto, «non esiste una ragione medica per interrompere la gravidanza» ha stabilito l’Istituto di Medicina Legale di San Salvador. “Amnesty” si è battuta dicendo di voler «salvare la vita della donna», ma il lupus di Beatriz è stato tenuto «sotto controllo» e la gravidanza, pertanto, non avrebbe implicato «un imminente rischio di vita per la donna». E così è stato, Beatriz ha partorito e sta bene, anche se purtroppo la sua bimba è morta poco dopo essenda anencefalo.

A rispondere alle menzogne femministe e di “Amnesty International”, fabbricate appositamente per usare il “caso Beatriz” come grimaldello per l’aborto legale, si sono levate numerose persone. Una di queste è Natalia López Moratalla, presidente de la “Asociación Española de Bioética”, la quale ha studiato il caso spiegando: «il caso non è il dramma che dicono». Gador Joya, portavoce di “Derecho a Vivir” (DAV), ha spiegato che «il fatto che Beatriz ha dato la vita ed è ancora in vita dimostra che non era vero che l’unico modo per salvare la sua vita era l’aborto. Beatriz non ha sottoposto sua figlia alla cruenta e violenta iniezione salina che le avrebbe bruciato il corpo, ed ha anche evitato i rischi che l’interruzione di gravidanza comporta sempre alla salute della madre. Beatriz non ha aggiunto al dolore per la morte di un figlio la lacerazione personale che rappresenta il trauma dell’aborto».

Una vera figuraccia internazionale per la lobby abortista ed infatti, ora che la donna sta bene, nessuno osa più parlarne dopo l’asfissiante campagna mediatica, come è stato osservato. «Questa bimba», ha detto Julia Regina de Cardenal, presidente della “Fondazione Sì alla vita El Salvador”, «in così poco tempo, è venuta al mondo con una missione più grande di quella di molti di noi, perché con la sua breve vita ha salvato chissà quante vite di bambini e delle loro madri, dimostrato che non è medicalmente necessarie l’aborto per salvare la vita della madre». L’aborto oggi non è più necessario per salvare la vita della madre, anzi mette a rischio la sua salute fisica e psicologica. Nei Paesi in cui esso è vietato (o fortemente limitato), come Cile, Irlanda e Polonia, la salute materna segnala ottimi tassi al contrario dei Paesi in cui l’aborto è legalizzato come la Gran Bretagna o l’America.

L’aborto è sempre stato regolamentato attraverso la menzogna, anche in Italia. Lo ha spiegato Paola Bonzi, responsabile del Centro Aiuto alla Vita della Clinica Mangiagalli di Milano: «la Legge 194 è del 22 maggio 1978, e all’epoca fu condotta una pratica quasi terroristica sulle donne che morivano a causa di gravidanze o di malformazioni. Le statistiche presentate allora su questi casi indicavano numeri spropositati, ben lontani dalla realtà. In questo modo si è aperta la strada per l’emanazione della legge sull’aborto».

La redazione


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