Non mi azzardo a commentare il dato elettorale, se non con una battuta: era prevedibile. Non poteva andare diversamente e questo perché – al contrario di quel che han sempre pensato a sinistra – gli italiani non sono poi così deficienti: sanno perfettamente chi hanno votato e perché lo hanno votato, ivi compreso il voto dato a Grillo.
Ciò detto, la colpa dell’esito elettorale del 24-25 febbraio non è certo degli italiani, che hanno scelto secondo il loro gusto e la loro coscienza. Anche perché, paradossalmente, sarebbe un po’ come dare la colpa ai clienti di un ristorante della cattiva organizzazione e della inefficienza del servizio di ristorazione. Impensabile.
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Dunque, a chi dovrebbe essere attribuita la colpa per la ingovernabilità fuoriuscita da questa consultazione elettorale? Se io fossi un sinistro ottuso, la attribuirei a Berlusconi, reo di avere “osato” fare campagna elettorale e aver ridato speranza a un popolo oppresso dalla tasse e da una recessione senza fine (vedasi IMU e abbassamento della pressione fiscale). Oppure a Grillo, reo di aver denunciato la Casta e i suoi giochi di potere e di aver “minacciato” di mandarla a casa.
La verità è che la colpa è di tutti e di nessuno. Indubbiamente è della Casta politica che in questa melma istituzionale, chiamata democrazia parlamentare, ci sguazza bene e a suo agio da decenni. Conseguentemente, è della forma della nostra Repubblica, di un parlamentarismo inetto e ottuso che non permette la nascita di Governi forti, autorevoli e capaci di programmare politiche economiche e sociali a lungo termine, perché i loro membri sono impegnati in una campagna elettorale permanente, dove fanno a gara a demonizzare il proprio avversario politico.
Dunque, se è vero che la cultura politica in Italia è quella che è, la situazione è aggravata da un’architettura istituzionale pessima, direi persino dozzinale, dove il dato storico che l’ha generata tradisce più il tentativo di “punire” gli italiani, per avere questi consegnato il paese a Benito Mussolini e al suo Partito Fascista, che la reale necessità di garantire un governo autenticamente democratico.
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Del resto, se entriamo nel dettaglio, come sarà mai possibile garantire un Governo stabile e autorevole:
- Se il Governo – secondo Costituzione – deve ottenere la fiducia non del popolo italiano, tramite l’elezione diretta del Capo del Governo, ma di un Parlamento capriccioso, lunatico e sempre soggetto a maggioranze variabili e agli ormai certificati salti della quaglia?
- Se il Parlamento è caratterizzato da un assurdo bicameralismo perfetto che triplica i tempi di approvazione delle leggi, fino ad allungare i processi legislativi di anni, se non addirittura di decenni?
- Se il Parlamento è composto da 945 parlamentari, il cui numero palesemente eccessivo e ingiustificato non garantisce affatto la partecipazione democratica dell’intero paese, ma solo il caos legislativo e il moltiplicarsi dei privilegi?
- Se il Capo del Governo non ha la possibilità di nominare i propri ministri e di revocarli se incapaci, sgraditi o comunque non all’altezza della situazione?
- Se il Parlamento può addirittura sfiduciare un singolo ministro, vanificando magari le politiche del Governo?
- Se il Governo non ha strumenti normativi capaci di dare pronta esecuzione al programma politico prefissato?
E ora la legge elettorale. Agli inizi degli anni ’90 il popolo italiano si espresse per l’abolizione del metodo proporzionale nell’assegnazione dei seggi al Parlamento, optando per il sistema maggioritario, e questo per indirizzare il nostro paese verso una versione bipolare (e auspicatamente bipartitica) della competizione politica. La Casta politica disattese in parte quel dato referendario, creando un sistema ibrido: il mattarellum. Poi, arrivò la legge Calderoli – il cosiddetto porcellum – che cancellò definitivamente il maggioritario in favore di un ritorno al proporzionale, seppure tramite un meccanismo di liste collegate, senza le preferenze e con un premio di maggioranza che garantisse comunque il bipolarismo ormai acquisito.
Ebbene, semplicemente un pasticcio senza uno straccio di modifica dell’architettura istituzionale. Il nostro sistema parlamentare è infatti terreno sfavorevole alla cultura bipolare ed è ostile a qualsiasi vocazione maggioritaria o proporzionale con correttivi vari. Inserire una legge che forzi verso il bipolarismo in un sistema segnatamente pluripartitico, è una semplice porcata. E tanto per renderci conto della portata dell’affermazione prendiamo a esempio i risultati alla Camera: 29,53% al centrosinistra; 29,13% al centrodestra; 25,55% al M5S. Cioè, si è affermato un sistema tripolare, nel quale le differenze di consenso sono minime. Eppure, in un’ottica forzatamente bipolare, il premio di maggioranza ha assegnato al centrosinistra il 51% dei seggi nonostante oggi il PD+SEL rappresenti solo 1/3 degli italiani.
Indubbiamente non vi può essere soluzione con la modifica della sola legge elettorale, anche perché questa modifica dovrebbe andare verso un sistema che rispetti la vocazione costituzionale del nostro sistema di governo: parlamentarismo e pluripartitismo. Altrimenti saremmo nuovamente punto e a capo. Perciò, la vera via da seguire è un’integrale riforma istituzionale che trasformi la nostra repubblica parlamentare in una repubblica presidenziale, dove il capo del governo viene eletto dal popolo, rappresenti la nazione e dove i ministri siano da lui nominati e revocati. Dove il parlamento sia caratterizzato da un bicameralismo imperfetto e dove i tempi di approvazione delle leggi siano contingentati. Dove il sistema elettorale parlamentare sia proporzionale e garantisca il pluralismo partitico pur con uno sbarramento d’area che impedisca i salti della quaglia.
Diversamente, continueremo a vedere ancora per chissà quanti anni il tristo teatrino di questi giorni, con un Bersani funereo incapace di vincere una tornata elettorale, un Grillo che non si sa esattamente cosa voglia dalla politica, e un Berlusconi soddisfatto ma comunque indebolito da un massacro mediatico senza precedenti. Insomma, per farla breve, il caos che rischia di bloccare per l’ennesima volta le legittime speranze degli italiani di vivere in un paese normale.