Un’altra pagina di storia si chiude. Finalmente il simbolo della tirannia libica è stato catturato e ucciso. I video girati con i cellulari dagli stessi guerriglieri mostrano che il raìs è stato preso vivo e ucciso dopo pochi minuti. Dobbiamo gioire, perché la lotta per la democrazia segna un altra vittoria. Come sempre le rivoluzioni finiscono così e così si conclude anche la guerra. Inizia la vita della nuova Libia.

Questa è la fine violenta di chi usa la violenza. Esce di scena di uno dei protagonisti principali dell’indipendenza araba, Muammar Gheddafi, divenuto nei decenni di potere, dittatore spietato come molti dei suoi simili in altri Paesi. La sua morte segna il capitolo decisivo, anche dal punto di visto simbolico, della rivoluzione. ”La voce della soddisfazione è palese, tutti speravano andasse così, ma stride con la morte di un uomo, afferma Mentana – il trofeo del cadavere è un epilogo già visto. L’oltraggio al cadavere è la firma del mondo arabo, perché i dittatori non possono sopravvivere ai loro regimi” – “Obama: “E’ la fine di un doloroso capitolo”, Berlusconi: “Sic transit gloria mundi” (che significa sostanzialmente che le cose terrene sono passeggere).


Forse un processo regolare, pubblico mediatico, sarebbe stato il passaggio dalla vendetta alla giustizia. In questo scenario mediorientale turbolento e contrastato in cui si mescolano le spinte innovative, promosse in primo luogo dalle nuove generazioni. In queste circostanze così drammatiche della storia è difficile indicare la via più giusta. E non è mai pacifica o morbida la condotta collettiva che segue alla cattura di un dittatore odiato e temuto





