di Martina Tulimiero
Gli ultimi tragici eventi di Lampedusa hanno riportato l’attenzione politica sulle condizioni dei rifugiati e dei richiedenti asilo presenti nel territorio italiano. Nel cosiddetto Rapporto di Ferragosto il Ministro dell’Interno aveva comunicato che dal 1 agosto 2012 al 10 agosto 2013 le persone sbarcate sulle coste siciliane erano circa 24.277 [1]. La causa principale che spinge una persona a fuggire dal proprio Paese è l’incubo della guerra. Lo dimostra il fatto che 55 rifugiati su 100 provengono da cinque Paesi coinvolti in conflitti: Afghanistan, Somalia, Iraq, Siria, Sudan; a questi si aggiungono coloro che fuggono dal Mali e dalla Repubblica Democratica del Congo. Dove non c’è la minaccia della guerra ci sono la fame, la disperazione e la speranza di costruire una vita migliore in Europa. I profughi che lasciano le coste africane per sbarcare in Sicilia vedono l’Italia come unica via di passaggio per raggiungere i Paesi del nord Europa, dove risiedono familiari ed amici e dove le possibilità di un lavoro e del riconoscimento dei diritti fondamentali sono più alte.
Nell’ultimo decennio il numero di rifugiati diretti verso il continente europeo è cresciuto esponenzialmente tanto che a livello internazionale la cifra complessiva di rifugiati e sfollati ha raggiunto livelli che non erano sfiorati dal 1994. Secondo il Global Trends Report 2012 dell’UNHCR, le persone coinvolte in migrazioni forzate alla fine del 2011 erano 42,5 milioni, nel 2012 avevano raggiunto i 45,1 milioni e ad oggi sono in costante aumento. Di questi oltre 15 milioni erano rifugiati, quasi un milione i richiedenti asilo [2] e gli altri – circa 28,8 milioni – erano sfollati, persone costrette a lasciare la casa ma rimaste nel proprio Paese. Tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013 vivevano sul nostro territorio circa 64.800 rifugiati, una cifra che colloca l’Italia al sesto posto tra i Paesi europei, dopo Germania (589.700), Francia (217.900), Regno Unito (149.800), Svezia (92.900) ed Olanda (74.600).
Nonostante il crescente numero di richiedenti asilo e rifugiati negli ultimi decenni, l’Unione Europea non è riuscita a dotarsi di una politica comune in materia di immigrazione e di asilo per quanto spinte in questo senso sono state promosse dopo la comunicazione della Commissione “Verso una politica comune di immigrazione” del dicembre 2007. La questione immigrazione ed asilo continua ad essere tuttavia un tema troppo caro alle campagne politiche dei partiti nei singoli Stati membri per essere lasciata alla politica comune europea. L’unico strumento comunitario che l’UE possiede per gestire le richieste di asilo è il Regolamento Dublino, entrato in vigore per la prima volta nel 1990, sostituito nel 2003 dal Dublino II e ulteriormente modificato nello scorso giugno con il Dublino III. L’obiettivo principale del Regolamento era decidere e valutare lo Stato competente ad esaminare la domanda dei richiedenti asilo, evitando che uno stesso richiedente potesse presentare più domande in diversi Stati membri.
Il problema che si poneva di fronte ad un’Europa a due velocità e che ancora oggi, in piena crisi economica, continua a impedire al nostro continente di avere realmente una politica comune sull’immigrazione erano le condizioni più dignitose che alcuni Paesi riuscivano a garantire ai rifugiati rispetto ad altri, concentrando le migliaia di richieste asilo sul loro territorio. Il Regolamento Dublino, infatti, identifica lo Stato competente ad esaminare la domanda di asilo nel primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata, che solitamente è anche il primo Stato di transito, rendendo ai migranti praticamente impossibile muoversi legalmente in Europa. Questa regola non è obbligatoria per i minori non accompagnati che vogliono ricongiungersi ai loro familiari regolarmente soggiornanti in un altro Stato membro o a cui sia già stato riconosciuto l’asilo politico.
Il 1 gennaio 2014 entrerà in vigore il Dublino III (Regolamento 604/2013 pubblicato il 29 giugno 2013 sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea) e, benché fosse stato concepito proprio per regolare e controllare meglio le frontiere meridionali europee evitando gli spostamenti dei rifugiati verso le regioni settentrionali, il sistema Dublino ha finito per trattenere migliaia di profughi nei Paesi dell’Europa meridionale, per ingolfare la burocrazia con respingimenti delle richieste asilo e continui ricorsi dei richiedenti.
In questo contesto l’Italia si è dimostrata incapace di ricoprire la posizione che anche solo per collocazione geografica le spetterebbe. Tornano alla mente i molti casi in cui l’Italia è stata definita “Terra non per rifugiati”: ne sono un esempio i respingimenti verso la Grecia di rifugiati che avevano tentato di raggiungere le coste adriatiche per essere poi riportati in un Paese dove solo a pochissimi fortunati sarà concesso l’asilo politico. Sono dell’aprile scorso alcune pronunce del Tribunale di Francoforte, che definisce l’Italia “terra pericolosa per i rifugiati” e perciò inadeguata a riprendere in carico le domande di alcuni richiedenti asilo, che vanno ad aggiungersi alle accuse di trattamenti inumani per le pessime condizioni nelle quali vivono i rifugiati. I centri di accoglienza sono al collasso, strutture da 300 persone arrivano ad ospitare fino a 1000 richiedenti, la lentezza del sistema decisionale lascia i richiedenti asilo abbandonati a se stessi e, anche dopo il riconoscimento dell’asilo politico, lo straniero si trova senza casa, famiglia e lavoro. Nel dicembre 2012 il New York Times ha pubblicato un articolo dal titolo “The Italian paradox on Refugees” che illustrava il “doppio volto” del nostro Paese: ospitale, accogliendo circa il 40% delle richieste d’asilo, ma incapace di assistere ed integrare queste persone nel tessuto sociale, culturale ed economico. Dopo la fine dell’“Emergenza Nord Africa” nel dicembre 2012, l’Italia, nonostante il continuo arrivo di rifugiati, non si è confrontata con nuove politiche e non ha cercato di porre rimedio alle mancanze nazionali ed europee in tema di immigrazione e di asilo.
In Italia nel 2012 sono state presentante 15.700 domande d’asilo, circa la metà dell’anno precedente (quando vi era stato un deciso incremento rispetto al 2010), mentre per il 2013 è previsto un aumento del 20% [3]. Il calo significativo del 2012, determinato prevalentemente dalla fine della fase più drammatica delle violenze in Nord Africa, riportava il numero di domande in media con il dato degli ultimi dieci anni. A ridurre il flusso migratorio verso l’Italia, sostiene l’UNHCR, era stata la fine della fase più drammatica delle violenze in Nord Africa. Ma se le rivolte della cosiddetta “Primavera araba” attraversano una fase meno convulsa, le tendenze globali sono comunque preoccupanti.
Richieste di asilo (2011 e 2012) – Fonte: UNHCR
Il sistema rifugiati in Italia non pesa tanto per i numeri, che se confrontati con le richieste d’asilo in Germania o Francia sono stime al ribasso, ma con una pesante assenza di volontà politica di organizzare, strutturare e migliorare il sistema immigrazione, nonostante le riforme promesse dopo la tragedia di Lampedusa. E appaiono ancora più grandi le mancanze italiane ed europee se si pensa alla solidarietà internazionale dimostrata da Paesi come Libano e Giordania che accolgono circa un milione e mezzo di rifugiati siriani. Questi numeri permettono di capire quanto sia importante la volontà politica, quanto l’Europa necessiti di condividere i problemi e di distribuire le responsabilità e le risorse economiche finora investite in forze di polizie e uso di tecnologia satellitare per controllare l’ingresso irregolare dei migranti.
Se da una parte l’Italia non ha saputo confrontarsi con la questione rifugiati, non riconoscendo l’inadeguatezza delle politiche nazionali, dall’altra l’Unione Europea non ha alzato la voce per ammonire gli Stati membri sulle loro lacune e non si è per ora dimostrata realmente disponibile ad imprimere una marcia significativa sulla comunitarizzazione delle politiche di immigrazione, limitandosi in prima battuta all’adozione del Regolamento del sistema di sorveglianza transfrontaliero “Eurosur” che aspettava di essere implementato dal 2008.
Spetta all’UE e alle sue Istituzioni non solo assistere gli Stati che si affacciano sul Mediterraneo controllando gli sviluppi sui confini, ma anche fornire linee guida chiare in merito a tratta, asilo, regole di mobilità legale in Europa e favorire il ripensamento del Regolamento di Dublino gestendo le pratiche in maniera condivisa. L’obiettivo deve essere quello di porre fine alle scelte politiche arbitrarie dei singoli Stati membri, spesso addirittura in violazione delle leggi.
Diventa difficile, però, ripensare ad una politica di asilo vista solo come ad una politica di emergenza, fatta di episodi drammatici ma isolati, alla quale correre ai ripari nel momento della tragedia. La politica di asilo va inserita in una più ampia riorganizzazione della politica nazionale e comunitaria in tema immigrazione, nella quale l’Europa istituzionale si ponga in prima linea allargando il dialogo anche alle organizzazioni internazionali e ai Paesi dai quali partono i richiedenti asilo.
* Martina Tulimiero è Dottoressa in Scienze Internazionali (Università di Firenze)
[1] Dal Viminale, Un anno di attività del Ministero dell’Interno, 15.08.2013
[2] Il richiedente asilo è un cittadino straniero che cerca protezione fuori dal proprio Paese di provenienza e che, dopo aver espresso la propria volontà di chiedere asilo, è in attesa di una decisione da parte delle autorità competenti. La Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951 all’art.1 definisce rifugiato “chiunque, nel timore giustificato di essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole, domandare la protezione di detto Stato”.
[3] Dal secondo Rapporto annuale Eurostat sui richiedenti asilo
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