Magazine Diario personale
DEGUSTI PUS?
A volte ancora mi sforzo, vanamente, di cercare di capire come diavolo ragionino gli italioti quando valutano l’arte. Per una volta, per non sembrare fissato e paranoico, non parlerò del mio libro. Non parlerò proprio di libri. Parlerò di cinema. Ieri sera da un amico ho visto un film. S’intitolava Machete. Un fumettone in fin dei conti quasi godibile, se per due ore ti sforzi di tornare ragazzino. Un pulp action pieno di violenza, figa e buoni sentimenti per il popolino in platea, popolino aizzato nella parte iniziale dall’uccisione a sangue freddo di una ragazzotta incinta – mentre per far incazzare di più il protagonista gli hanno “solo” decapitato la moglie, così, per gradire. (“Toh! Ciapa!” diceva la mia povera nonna quando alla fine di un film western il cattivo moriva. Ma in questo pastrugno per gente di bocca buona di “Toh! Ciapa!” ce ne starebbe uno ogni venti secondi…) Applausi finali per una bellagnocca vendicatrice: un cattivo le aveva piantato un proiettile in un occhio, ma nei fumetti dietro l’occhio non c’è mica il cervello, quindi lei ricompare semplicemente con una bella benda nera, molto sexy, e un mitra in mano. Vabbè.
La sera prima, invece, ho rivisto un film bellissimo. Ho potuto farlo perché possedevo un reperto archeologico: una cassetta vhs per fortuna non troppo smagnetizzata, perché di quel film, pur essendo abbastanza recente, non c’è ormai più traccia, nemmeno in dvd. S’intitolava Shadrach (Il profumo di un giorno d’estate era il titolo italiota, prolisso ma per una volta perdonabile, persino bello). Una deliziosa storia di formazione, agrodolce, struggente e divertente, ambientata nella bollente umida estate del 1935, protagonisti dei simpatici bambini, un vecchio negro di 99 anni tornato nei luoghi in cui nacque (da schiavo) per ritrovare l’innocenza dell’infanzia, morire e farsi seppellire dove vuole lui in barba a certe stupide leggi, una madre di sette figli sofficemente alcolizzata, un padre disoccupato (un bravuomo che odia Roosevelt, sacramenta a getto continuo e tira a campare distillando whisky) e sullo sfondo un'altra madre, quella del figlio unico di famiglia più agiata – l’io narrante della storia – che passa le notti a tossire e si prepara a morire di cancro. Un Harvey Keitel strepitoso, una bravissima Andie MacDowell. Ma perché ho iniziato questo mio pezzo dappoco parlando di come diavolo (diciamo pure come cazzo) ragionano gli italioti? Perché per curiosità sono andato a vedere i giudizi critici su un dizionario dei film che non sto nemmeno a nominare, dico solo che è considerato molto autorevole e prestigioso.
Be’, non ci crederete, o forse, essendo come me italiani e rassegnati a esserlo, ci crederete fin troppo: il fumettone splatter aveva tre stelle e mezza. (Per me una e mezza sarebbe già troppo). Mentre all’altro meraviglioso film (quattro stelle come minimo, per me) ne venivano miseramente assegnate due, e quel che è peggio senza sprecarci sopra mezza riga di riassunto e di commento. I motivi? Probabilmente sociopolitici: il fumettone stava dalla parte degli immigrati (in quel caso messicani) mentre il film meraviglioso era una favola che non si “interrogava” abbastanza a fondo sulle ingiustizie del razzismo, del capitalismo e della schiavitù. Sì, va bene, d’accordo, ma il motivo per valutare due film soltanto in chiave boliddiga, attraverso queste ammuffite lenti della lotta di classe da sezione rionale di partito anni Settanta? Si chiama italiA. Il motivo si chiama, semplicemente e stupidamente, italiA. Scoraggiante. Davvero scoraggiante. Categorie interpretative in suppurazione (le stesse che oggi portano certa estrema veterosinistra a confondere oppressori e vittime, schierandosi col racket rom delle occupazioni abusive violente e contro i vecchietti sbattuti fuori dalle loro case). Dimenticavo: alla fine del fumetto, la granfiga (un’altra, con tutti e due gli occhi) se ne va via in moto abbarbicata al pene del protagonista (vecchio e brutascél, ma in compenso “mitico”) abbandonando accesa in mezzo alla strada la sua macchina: una macchina della polizia. Questo simbolismo grossolano dev’essere stato il colpo di grazia, deve averli mandati in brodo di giuggiole, i nostri critici rivoluzionari. Voto a questo tipo di critica: mezza stella. Voto a questo tipo di italiA: mezza stalla.
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