Arriverà nelle sale il prossimo 30 maggio grazie all’impegno di Microcinema e alla tenacia della regista Barbara Rossi Prudente, che dopo quattordici anni di vani tentativi – da quel 1999 in cui vinse il premio Solinas per la miglior sceneggiatura – riesce a portarlo sul grande schermo attraverso un’ operazione di autoproduzione. “Esterno sera” è il racconto di un Sud profondo e ancestrale, ma soprattutto di un amore tragico e a tratti shakespeariano.
L’amore in questo film emerge in modo violento, così come le dinamiche familiari, di coppia e di amicizia. Che cosa provi nei confronti del mondo che racconti?
Barbara Rossi Prudente: Sento più amore che odio, sento di aver girato questo film così crudo, diretto e violento, perché nasce dalla pancia, da un’interiorità molto forte. Raccontando questa storia ho voluto mantenere l’autenticità delle emozioni che ho provato nello scrivere questo film e ho fatto in modo di emozionarmi molto anche nel girarlo. La famiglia raccontata in questa storia di un Sud un po’ inedito se da un lato protegge dall’altro ferisce, ed è la famiglia in generale ad avere queste caratteristiche: ha e si basa su queste regole, che poi sono un po’ quelle del clan. In una famiglia ci sono dei patti molto forti e dei compromessi necessari perché si resti uniti, e molto spesso sono evidenti e vanno aldilà di una verità accertata. È un film su un amore: racconta sicuramente un Sud, che altro non è se un contenitore all’interno del quale si svolge una storia d’amore. E l’amore per me non conosce filtri, misure o mediazioni, ma slancio, pulsione e talvolta può arrivare a conseguenze imprevedibili, forse tragiche.
Come hai girato il film? Ci spieghi la dinamica della scena della processione?
B. R. P.: L’ho girato in cinque settimane tra Caserta e Napoli. Essendo un low budget ho dovuto fare delle scelte: la processione ad esempio era quella vera di un paesino e per girare quella scena abbiamo approfittato delle persone in strada, ma è stata divisa in due giorni.
Nella prima parte infatti, abbiamo girato tutto ciò che non prevedeva l’arma da fuoco, volevamo che fosse tutto naturale e per questo non avevamo avvisato nessuno del fatto che stessimo girando: immaginate cosa avrebbe significato tirare fuori una pistola nel bel mezzo di una processione! Perciò il secondo giorno abbiamo girato la scena dell’omicidio solo con gli attori. Molte location ce le siamo dovute guadagnare in questo modo, abbiamo avuto il sostegno della Campania Film Commission e della Caserta Film Commission e abbiamo avuto la possibilità di trovare dei luoghi a nostra completa disposizione, ma spesso per la fretta di dover terminare entro le cinque settimane di lavorazione siamo stati costretti a girare anche senza permesso, in particolare la scena della corsa tra le macchine girata all’uscita di alcune persone da un cinema.
Ottenere l’effetto realtà era il mio scopo. La scelta di girare in luoghi in cui i miei lavori sono conosciuti, mi ha permesso di avere a disposizione quasi tutto ciò che volevo.
Quali difficoltà ci sono state nel metterlo in piedi? E come hai scelto il cast?
B. R. P.: La sceneggiatura di questo film vince il Solinas nel 1999 ed è stata opzionata da due produttori diversi, con diritti ceduti per quattro anni più quattro; però non se ne è fatto mai nulla.
Sono passati quattordici anni, ma la mia idea rimaneva comunque quella di realizzarlo. L’ho voluto fortemente e alla fine ci siamo riusciti da soli, non abbiamo avuto aiuti dal Ministero.
Il casting è stato lungo, ho cercato soprattutto tra attori di teatro, perché a Napoli c’è una lunga tradizione teatrale. Ho voluto Salvatore Cantalupo sin da subito.
Poi ho visto Emilio e quando ho saputo che aveva una sorella, Valentina, ho voluto vederli recitare insieme e alla fine ho scelto loro, anche se da un lato mi spaventava perché dirigere due fratelli in questa storia non era semplice.
Che modelli registici hai seguito?
B. R. P.: Adoro John Cassavetes, compare anche tante volte nel film, spesso in foto. Vado molto al cinema e guardo tanti film, ma non mi piace fare nomi così altisonanti, fa anche un po’ paura perché non si è mai all’altezza del modello registico che si ha.
Siete fratelli come i vostri personaggi… Questo ha cambiato qualcosa nella preparazione dei rispettivi ruoli?
Valentina Vacca: Ogni ruolo ha sempre qualcosa di diverso. Per me è stata la prima esperienza alle prese con un ruolo di così grande portata, da protagonista. Io e mio fratello ci siamo incontrati altre volte a teatro, ma questa era la nostra prima esperienza al cinema; abbiamo cercato di lavorare molto sui tempi teatrali e di capire come arricchire certe scene. A parte qualche imbarazzo è andata bene, perché siamo abituati a lavorare in teatro. Mio fratello per me è soprattutto un attore.
Emilio Vacca: Dico sempre che in quel provino abbiamo ‘volato’. Come attori ci siamo dati man forte. È stato un lusso lavorare con Barbara, perché ha preteso che ci fossero delle prove prima di andare sul set.
B. R. P.: Abbiamo fatto un mese di prove, provando tutto il film dall’inizio ala fine, perché le scene cosi sarebbero diventate molto più digeribili.
Come hai vissuto questo doppio ruolo di regista e produttrice?
B. R. P.: Da un lato è stata una fortuna perché ho avuto una grande libertà: di provare un mese prima, di preparare il film a lungo, sulla scelta degli attori e su come girare, e tutto ciò è impagabile.
Invece come regista è stato faticoso, non è facile far conciliare le due cose.
di Elisabetta Bartucca