«È una vicenda dolorosa, ma è anche l’occasione per fare una riflessione ulteriore non solo sul nostro diverso modo di procedere rispetto alla maggioranza, fatto di fiducia nella magistratura, passi indietro, uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, ma anche sul fatto che dobbiamo mettere ogni impegno nel migliorare l’esigibilità dei nostri codici etici e del nostro Statuto. E ci stiamo lavorando. Ma la nostra gente ci chiede anche di reagire a teorie che vanno oltre le legittime critiche, e che descrivono il Pd come un corpo malato. Abbiamo fatto partire un po’ di denunce. Né accettiamo che si faccia di tutta l’erba un fascio e che si indebolisca per questa via l’unico strumento che gli italiani hanno per il cambiamento». (P. Bersani, intervista all’Unità, 3 settembre 2011.)
C’è tutto Bersani e tutta la weltanschauung piddina in questo ragionamento. La pretesa della diversità
per se e quasi come dogma, la riflessione – che si porta su tutto – e lo “stare lavorando” al posto del prendere un’iniziativa, dell’azione, del
fare delle scelte; il farsi scudo dei militanti che “ci chiedono di reagire” e la dichiarazione finale, insopportabilmente ricattatoria, di autoinsostituibilità di una classe dirigente, l’ineluttabilità del cambiamento che può solo passare attraverso di essa o sul suo cadavere. Après nous le dèluge. Come B. che pensa di essere eterno.
Per Bersani, che il capo della sua segreteria politica dal 2009 Filippo
Penati sia indagato per corruzione e finanziamento illecito al partito per vicende spalmatesi negli ultimi dieci anni è solo una “vicenda dolorosa”. Aggettivo che sarebbe congruo solo se si trattasse di uno sciagurato che si è arricchito alle spalle del partito ingannando cani e porci, compreso il suo segretario, ma che è assolutamente inadeguato se per caso la corruzione era parte di un sistema, di un modo per tenersi buoni gli uni gli altri tra imprenditori, politici e partiti al fine di avvantaggiarsene reciprocamente, con Penati a quel punto solo pedina fra le tante sulla scacchiera.
Sono tutti fatti da dimostrare in sede giudiziaria, è ovvio, però il sospetto è brutto e, più che di macchina del fango, ho paura che si tratti di cannoni sparaneve caricati a merda.
Per questo ci vorrebbe meno indecisione nel rendere conto di fatti precisi. Meno supponenza da
“noi siamo diversi” e tendenza al risentimento quando qualcuno fa giustamente delle critiche
. Invece Bersani continua solo ad
incazzarsi, a fare il piangina e a minacciare querele invece di rispondere alle domande. Come il suo gemello settembrino in
fondotinta. Sarà colpa del sole in Bilancia.
Basterebbe intanto che Bersani ci rassicurasse sullo scambio di telefonate – testimoniate da intercettazioni pubblicate fin dal 2006 – tra lui, il gruppo Gavio e Penati.
Tutta la storia dell’affare
Milano Serravalle è raccontata da
Gianni Barbacetto in un libro del 2007, ma diciamo solo come si è conclusa: nel 2004 la Provincia di Milano guidata da Penati, acquisisce il 15% delle quote di proprietà del Gruppo di Marcellino Gavio della Milano-Serravalle, pagandole quasi quattro volte oltre il loro valore. Una cifra enorme, 238.000.000 di euro di denaro pubblico, contenenti quindi una plusvalenza per il venditore di € 179.000.000. Un amministratore pubblico che fa questi regali ai privati non pare molto auspicabile ma ciò che incuriosisce i magistrati è ciò che accade dopo. Nel 2005 Gavio partecipa a fianco di Consorte (Unipol) alla scalata di BNL, con una quota di € 50.000.000. Non sarà che quella partecipazione è un ringraziamento, un modi per sdebitarsi con il partito per l’affarone fatto con la Serravalle?
Si dirà, sono tutte maldicenze del centrodestra che aveva osteggiato l’affare nelle persone di
Ombretta Colli e
Gabriele Albertini. Sarà, tuttavia l’intermediario di Gavio è tale Binasco, nientemeno che colui che inguaiò Primo Greganti e il PCI nel corso delle indagini di Tangentopoli, e che videro alla fine dei relativi processi condannati sia il concusso che il concussore.
Un personaggio al quale un dirigente DS, visti i trascorsi tangentopolitani dell’interlocutore, non avrebbe dovuto nemmeno rivolgere la parola per paura di inguaiare di nuovo il partito.
Ecco, il punto è che Gavio ha bisogno di parlare con Penati per sbloccare l’affare Serravalle e telefona invece a Bersani il quale gli risponde che può parlare direttamente con Penati. Qualche giorno dopo Penati telefona a Gavio:
Penati: «Buon giorno, mi ha dato il suo numero l’onorevole Bersani…».
Gavio: «Sì, volevo fare due chiacchiere con lei quando era possibile…».
Penati: «Guardi, non so… Beviamo un caffè».
Gavio non poteva telefonare direttamente a Penati in Provincia? In ogni caso l’effetto “mi manda Bersani”, sarà un’illusione ottica ma è abbastanza evidente e meriterebbe una spiegazione da parte dell’interessato. Visto oltretutto che Penati fa carriera fino a diventare, nel 2009, capo della sua segreteria politica.
Ora, il problema di fronte a queste ombre ed insinuazioni sull’illibatezza del PD – e prima dei DS – sulla base di pesanti indizi, sono i militanti piddini, che non vogliono sentir parlare di questi fatti, si mettono le mani sulle orecchie facendo bla-bla-bla e reagiscono dicendo che Di Caterina e Pasini, gli accusatori di Penati, sono vicini al centrodestra, quindi non attendibili. Che tutte le maldicenze sulla vicenda Milano Serravalle sono una vendetta di Ombretta Colli. Che Bersani non deve rendere conto di alcunché a Sallusti che grufola nello scandalo scrivendo paginate e paginate sull’affaire Penati. E soprattutto, che parlare di queste cose è il solito autolesionismo tafazziano della sinistra e che in questi momenti bisogna essere uniti e che questa è antipolitica.
Vedete, amici, se Sallusti grufola è perché gli se ne dà modo.
Non si può nascondere la testa sotto la sabbia e negare a priori che possa esistere e non da oggi un sistema di gestione degli affari da parte della sinistra che assomiglia molto ai metodi della destra.
Ho l’impressione che, siccome la vittoria alle prossime elezioni pare probabile, visto il disastro berlusconiano, i piddini intesi come base non abbiano alcuna voglia di rifondarsi, dandosi finalmente una dirigenza nuova in vista della Terza Repubblica ma siano disposti a tenersi questa, anche se chiacchierata e più logora di un calzino bucato. Con i Bersani lanciaquerele, i D’Alema – e dicendo D’Alema si è già detto tutto, i Fassino abbiamo-una-banca e
i Letta abbiamo-un-banchiere.* Più le varie beghine che vorrebbero trasformare il
Partito Democratico in Partito Democristiano.
I fans del PD sono talmente attaccati alla vecchia dirigenza che non riescono ad immaginarne un ricambio. In questi casi ti chiedono: “E chi ci mettiamo al posto di Bersani?” come se stessimo parlando di un Berlinguer. Renzi no, per carità,
Ciwati nemmeno – i rottamatori, muhahaha!, Zingaretti – uhm si farà ma per ora lasciamolo dov’è, meglio Bersani; la
Serracchiani – troppo inesperta povera cocca, meglio Bersani.
E’ così importante fare un nome piuttosto che un altro se l’unico che accetteranno mai è il segretario del partito perché pensano ancora che bisogna votare chi dice il partito? Non dite che non è così. Meno male che gli elettori di sinistra invece cominciano ad essere più autonomi nelle scelte e sempre più sovente eleggono nomi che non erano quelli designati dalla segreteria del PD. Vedi Pisapia e Zedda.
L’immobilismo, la tetraparesi da centralismo democratico di questo partito di mummie che credono di essere ancora vive, contagia anche la base, che accetta tutto purché si vinca e si torni al governo. Non per mandar via Berlusconi, ma per mettersi al suo posto. Cambiar gestione ad un ristorante purché serva sempre le stesse polpette avvelenate. Polpette che mangiano tutti e che finiscono anche nei nostri piatti.
Non è qualunquismo ma più di un sospetto che possa trattarsi di una triste realtà. Pensare che un partito possa aver vissuto in un paese con la corruzione al posto del DNA senza farsene contagiare è un ragionamento molto ingenuo. E’ come quando uno viene morsicato dal vampiro, si vampirizza anche lui.
Detto questo, io mi auguro di cuore che Penati abbia solo fatto la cresta come le colf disoneste che vanno a far la spesa all’Esselunga con il borsellino della padrona, e che Bersani e il PD siano puri siccome angeli, perché sentire gli sfottò e le prediche di Sallusti e di tutta la merda stampata e televisiva berlusconiana mi sarebbe ancora una volta, dopo la Commissione Mitrokin, intollerabile.
Una preghiera, però, amici del PD. Se dovessero emergere responsabilità precise della dirigenza PD negli episodi di corruzione attualmente sotto indagine della magistratura, se venisse dimostrato il finanziamento illecito, non voglio sentire lagne che “noi siamo diversi” e “bisogna distinguere”. Se avete le palle dovete andare da Bersani e dirgli di levarsi dai coglioni e con lui tutti gli altri residuati bellici del partito sopravvissuti dalla prima repubblica. Anche se lì per lì non saprete chi mettere al loro posto.
Se vogliamo veramente
cambiare e salvare questo paese dal
cancro della corruzione, questa volta, a differenza degli anni novanta, non dovremo avere nessuna pietà. Tanto meno per quelli della nostra parte.
Ho paura però che gli elettori e simpatizzanti del PD siano come certi mariti innamorati ai quali portano le fotografie della moglie in atteggiamento inequivocabile con un altro e loro rispondono: “Non è possibile, lei non farebbe mai una cosa simile e poi questa qui nelle foto non è lei.”
* grazie Gianguido.