Sono nata tra i fili e l’odore inconfondibile dell’olio delle macchine da tessitura. Da piccola sperimentavo, giocando, su manichini nudi, li vestivo di stoffe cucendole solo di spilli e disegnandole di gessi. Inventavo ricami e forme nel laboratorio di mia mamma – senza attitudine ne desiderio di essere una stilista ma solo per gioco – costretta ad occupare il tempo che mi restava tra la scuola e il catechismo mentre intorno a me quelle mani di donne realizzavano vestiti veri. Intere collezioni commissionate o singoli completi su misura per corpi “deformi” o anche “troppo in forma” di donne decise a spendere abbastanza per lusingarsi, magari solo per distrarsi. Insomma, la moda c’è sempre stata nella mia vita, è sempre stata un interesse preciso, indotto dalla genetica forse o solo educato dalla presenza di chi quel mestiere sapeva proprio farlo. Crescendo ho acquisito il gusto e la coscienza delle proporzioni, capito l’importanza di ogni abbinamento, accettato (non senza fatica) quello che il mio corpo poteva permettersi e quello che proprio invece non doveva contemplare. Soprattutto da adulta, ho capito l’importanza della Signora Moda nella nostra società, quanto rappresenti la storia e i suoi innumerevoli girotondi.
La moda è specchio della realtà che ci circonda ed è stata arte eccelsa nelle mani di menti sensazionali e brillanti.
“un abito non è solo stoffa: un abito è un pensiero”
Mai citazione fu più vera! La scriveva una donna eccezionale, che ha fatto della moda la sua vita attraversando lo storico e da esso prendendo come si dovrebbe sempre per creare, inventato un colore, esprimendo posizioni personali e pensieri unici nelle sue collezioni, collaborando con personaggi di sensazionale spessore artistico, rivisitando il ruolo della donna negli abiti e dunque nel suo tempo, vincendo lotte e perdendo poi tutto senza però mai più oscurarsi d’importanza. C’era il tempo tra le due Guerre, la moda di quel tempo e due donne che seppero crearla: Gabrielle Bonheur Chanel e Elsa Schiaparelli. Elsa nacque nel 1890, figlia del benessere e di tutte le obbligate limitazioni che questo comporta, l’arte fu subito un’amica con cui camminare a braccetto…
“Avevo un pensiero fisso in testa: salvarmi dalla monotonia della vita di salotto e dall’ipocrisia borghese. Per le mie idee d’avanguardia venivo considerata una folle”
Pubblicò a ventun’anni una raccolta di poesie, che fu anche apprezzata ma che comunque turbò l’aristocratico perbenismo della sua famiglia, tanto che per non correre rischi con questa figlia “folle”scelse di esiliarla in un convento svizzero. Ma giustamente, l’animale in gabbia si ribella. Elsa fece un lungo sciopero della fame contro la forzata reclusione finché non le fu accordato il trasferimento a Londra. Nella capitale inglese conobbe quello che poi divenne “sciaguratamente” marito e padre dell’unica sua figlia Gogo (mi fa sorridere l’assonanza di questo nome con quello della sua antagonista per eccellenza Coco). Questo insieme di tre, prima di sfasciarsi, si trasferì a New York dove poi Elsa rimase sola e con Gogo molto malata. Non le rimaneva che tentare la sopravvivenza usando quella caparbietà scaltra che solo certe donne possono avere. Questo lei fece. A New York conobbe e frequentò gli artisti d’avanguardia dadaista, Man Ray, Baron De Meyer, Alfred Stieglitz e Marcel Duchamp, e nel 1922 ospitata dai coniugi Picabia, si trasferì a Parigi.
Madre/donna/ creativa
A Parigi un incontro illuminò il suo destino…
“Un giorno accompagnai una amica americana ricca nel piccolo hotel straripante di colori che Poiret aveva in Faubourg Saint-Honorè. Era la prima volta che entravo in una Maison de Couture. E mentre la mia amica sceglieva degli abiti, mi guardai intorno abbagliata. Silenziosamente provai dei vestiti e, dimenticando completamente dove mi trovavo, passeggiai, molto contenta di me, davanti allo specchio. Misi un mantello dal taglio ampio e largo, che sembrava fosse stato fatto per me. Era di velluto d’arredamento nero con grosse bande lucenti, doppiato in crepe de Chine blu vivo. Era magnifico. – Perché non lo acquistate, signorina? Si direbbe fatto per voi. – Il grande Poiret in persona mi guardava e io sentii lo choc delle nostre due personalità. – Non posso, risposi. E’ certamente troppo caro, e quando potrei metterlo? – Non vi preoccupate del denaro, riprese [...]. E poi, voi potreste portare qualsiasi cosa in qualsiasi posto. – Poi con un affascinante saluto me lo offrì. Nelle mie stanze scure, il mantello somigliava a una luce del cielo.”
Era iniziata l’avventura di Schiap, soprannome affibbiatole per semplificare quel cognome fin troppo italiano e divenuto poi il suo vero nome d’arte. Nel 1927 venne presentata la sua prima collezione, si trattava di maglieria ispirata al Futurismo e a Poiret. Un golf fu la porta che si spalancò sulla moda. Realizzato con un particolare punto a maglia bicolore, che Elsa modificò creandoci sopra i più disparati disegni. L’idea del golf trompe-l’oeil fu premiatissima, il primo lo indossò lei stessa poi liberò la sua fantasia e nel tempo di un giro sul posto tutte le signore alla moda avevano un maglione trompe-l’oeil.
Indossava personalmente le collezioni più stravaganti, l’abito era un’azione concreta sulla sua epoca e sulla cultura delle donne. Il vestito diventava comunicazione interpersonale. Nei primi anni trenta la produzione di Schiap crebbe assieme al suo coraggio. Rischiava. Si sentiva un’artista e proprio per questo fecondava di senso ogni sua creazione. Stabilì una silhouette femminile capace di rappresentare la donna che stava emergendo, decisa a creare abiti in grado di proteggerla dai contrattacchi del maschio, contro il quale era ormai viva una sfida di superiorità. Creava gli abiti e loro creavano una rivoluzione sociale. Aveva vissuto e subito il fallimento del suo matrimonio ed era rimasta sola con una figlia da crescere, per tutto questo la “sua” donna – diffidando degli uomini – doveva essere un universo autonomo. Ideava per la “nuova” donna degli anni trenta vestiti con imbottiture, dalle linee dritte e verticali e dalle spalle larghe e squadrate, pulsanti di decori che fossero femminilità ma irrinunciabile armatura.
Ingrandì nel trentuno la sua Maison, ogni settore aveva un responsabile e vantava ormai una serie di collaborazioni. Questa coraggiosa donna ce l’aveva fatta! Nel 1935 Elsa scelse di non limitare più la sua produzione agli abiti; voleva proporre alle clienti tutto. Abiti, accessori, profumi Schiapparelli. Sfogò liberamente la sua teatralità sfruttando l’intuizione che lei per prima ebbe, quella di creare nella sfilata lo spettacolo, la proposta, l’aspettativa. In poco tempo la sua boutique fu famosa per la nuova formula di pret a porter. Proporre taglie standard e abiti pronti, accessori solo da provare e scegliere. Sperimentava Schiap e si divertiva, creava, provocava. A Copenaghen un giorno, passeggiando al mercato del pesce, vide donne sedute sui canali con in testa cappelli fatti con fogli di giornali ripiegati. Tornata a Parigi ritagliò articoli che parlavano di lei e li mise insieme per farci stampare seta e cotone. Era il 1935 e quella stoffa stampata divenne la sua nuova collezione… la chiamò: “FERMATI, GUARDA E ASCOLTA”.
Voleva l’individualismo Schiap, anche osando contro l’alta moda. Era sempre presente il contatto avuto anni prima con gli artisti Dada e i Surrealisti. Nel 1936 sull’azione creativa di Elsa fu forte la presenza di due importantissimi artisti del surrealismo: Cocteau e Dalì con i quali cercò di proporre un parallelismo tra linguaggio del corpo e abiti.
Dalì disegnò per Schiap un tailleur su cui furono cucite delle bocche che nell’immaginario dell’artista rappresentavano l’organo genitale femminile, con il tailleur fu presentato un cappello a forma di scarpa proposto come simbolo fallico. Attraverso questi accostamenti il capo poteva esprimere autenticamente qualcosa che fino a quel momento si era invece voluto celare. Comunicazione dall’interno verso l’esterno passando attraverso l’abito.
Restando alla comunicazione nel 1937, Schiap creò il profumo “Shocking” e con esso tra genio e naturalezza nacque quello che sarà per sempre il rosa shocking…
“Nacque la bottiglia di profumo a forma di donna [...] il colore d’un tratto mi si palesò davanti agli occhi: brillante, impossibile, sfrontato, piacevole, pieno d’energia, come tutta la luce, tutti gli uccelli e tutti i pesci del mondo messi insieme, un colore proveniente dalla Cina e dal Perù, non occidentale; puro e non diluito. Così chiamai il profumo Shocking. La presentazione sarebbe stata Shocking e la maggior parte degli accessori e degli abiti, sarebbero stati shocking. [...] Il colore shocking si impose per sempre come un classico.”
Nel trentotto la ricerca di questa sensazionale donna cambiò ancora una volta, si rese conto che la concettualizzazione di Dalì le stava ormai stretta e che la strada da percorrere doveva essere ancora più “surreale, ancora più libera. Vestiti come pagine bianche da riempire. Si ispirò a quello che era stato l’esempio di Duchamp e dei suoi ready-made. La collezione “circus” del 1938 fu la massima espressione di tutte le sue ricerche, la sfilata fu davvero uno spettacolo fatto da acrobati tra capi che erano ormai gioielli.
Poi venne la seconda guerra mondiale e tutto quello che una guerra fa… questa storia la lascio così, come avesse ancora l’orlo da cucire. E’ stato bello raccontarvi di lei, chiamarla per nome come fosse un’amica, sorridere e in qualche modo invidiarla. Come spesso mi capita di invidiare certe donne che stimo e che per me diventano esempio da seguire, bellezza a cui tendere.
“Il vestito perfetto che resiste alla moda e alla vita è solo uno: il vestito della libertà”