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  “Mi piace qui, è tranquillo”, dice Daria. “E’ morto”, risponde Mark.
Zabriskie Point è una delle pellicole più famose e apprezzate del regista italiano Michelangelo Antonioni. E’ il
primo di tre lungometraggi che il cineasta italiano, conosciuto in tutto il mondo, girò in lingua inglese utilizzando
degli attori stranieri.
Nel 1970, anno di uscita del film, il messaggio di Zabriskie Point toccava profondamente lo spirito e la
quotidianità di un’intera generazione di ragazzi, in particolare negli Stati Uniti.
Antonioni ci portava allora, come spettatori, nella Death Valley, una delle zone più desertiche degli States dove
il punto più basso ,Badwater Basin, raggiunge gli 85 metri sotto il livello del mare, per raccontarci la ricerca
disperata di una libertà altra da quella che la società del tempo proponeva.
Erano i primi anni settanta, il movimento studentesco stava già da un po’ combattendo la sua guerra di ideali e
l’intera civiltà occidentale stava mettendo in dubbio i propri valori morali e si preparava ad affrontare un grosso
cambiamento. In questo quadro sembrava fondamentale, per gli individui, sacrificare molto di ciò che si era fatto
o si sarebbe fatto, in nome di una libertà diversa, quasi utopica che per l’autore italiano prendeva vita proprio
lì, nel pieno deserto, dove la società civile non poteva arrivare, dove il sentirsi liberi di essere ed agire diventava
una realtà lunare da vivere scollegati dal tempo e dallo spazio. Così Mark e Daria, i due protagonisti del film di
Antonioni, fuggivano dalla loro vita quotidiana ritrovandosi per caso insieme a Zabriskie Point, una delle zone più
suggestive della Death Valley, a vivere una sorta di sogno ad occhi aperti nel quale i due si scoprivano liberi di
amarsi, anche essendosi appena conosciuti, per poi abbandonarsi e riprendere ognuno la propria strada.
Antonioni ci mostrava un paesaggio desertico e libero. Uno spazio isolato dove il tempo sembrava sospendersi
per dare modo, a chi osava avventurarvisi, di vivere la propria esperienza lontano dal mondo. Nessuno passava
di là e ciò lo rendeva al tempo stesso un paesaggio naturale sconfinato e un luogo protetto dal resto del mondo.
Oggi, a quarant’anni da quella pellicola, Zabriskie Point è uno dei luoghi turistici più visitati della Death Valley,
al confine tra lo stato del Nevada e quello della California. Esso prende il nome da Christian Brevoort Zabriskie
che nei primi anni del ventesimo secolo attraversava la Death Valley con pariglie composte da diciotto muli per
trasportare i morbidi cristalli bianchi di borace, composto del boro estratto dalle miniere, attraverso quelle terre
desolate.
A Zabriskie Point i turisti arrivano da ogni parte del mondo. Pochi metri prima del punto di osservazione, un largo
e asfaltato parcheggio ospita grandi autobus per gite organizzate. Gli autisti fumano nervosamente all’ombra
dei grossi mezzi in attesa che i gruppi di turisti e turiste, che non temono di affrontare il deserto indossando
anche tacchi a spillo, scattino foto ricordo degli innumerevoli calanchi scavati da fiumi di cui oggi rimane solo
l’impronta del letto.
Ma la magia non è del tutto scomparsa. L’avvento dell’età contemporanea e del turismo invadente non hanno
intaccato l’espressionismo totalizzante di quell’ambiente. Salendo su fino al punto più alto della “balconata”
di pietre, da cui si può osservare l’intera zona, si ha ancora la sensazione di osservare un paesaggio lunare,
totalmente libero e scampato all’urbanizzazione. L’aria stessa ha un odore e una consistenza diversi, si ha
la sensazione di respirare per la prima volta. E’ così, dunque, che, nonostante i quarant’anni trascorsi e i
cambiamenti che essi hanno apportato in queste zone desertiche, raggiungendo Zabriskie Point si ha la viva
sensazione che quella disperata ricerca di libertà di cui Antonioni ci parlava non fosse solo un sogno ad occhi
aperti, ma un’esperienza vera che il deserto ci regala chiedendoci solo di aprire gli occhi, il naso, le orecchie e di
lasciarci trasportare.
Nicola Paccagnani

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